Il noir è uno dei generi più facilmente riconoscibili e al tempo stesso uno dei più sfuggenti: dietro a un’apparente facilità di definizione il noir nasconde una materia viva in continua trasformazione, un elemento di imprevedibilità che lo rende un oggetto di studio sfuggente, enigmatico. Sarà che il grande elemento caratterizzante del noir sta, più che nelle tematiche o nelle tecniche utilizzate, nella sua atmosfera: cupa, cinica, sulfurea, amara.
Ed è proprio nelle ombre e nei chiaroscuri marcati che dominano l’America incapsulata nei film noir che si condensano tutte le tensioni, le fobie e le ossessioni sotterrate nelle fondamenta della società americana: l’avidità, la smania di potere, lo spettro del sesso che si fa carne e minaccia concreta e una generale quanto cronica sfiducia nel prossimo e nel futuro.
Le luci del noir esistono solo in funzione delle ombre: servono per marcarne il profilo, evidenziarne la presenza, renderle reali e concrete, perché nel mondo del noir le paure non sono solo paure, ma pericoli imminenti da cui non si può scappare. Le ombre non sono un effetto collaterale, una deviazione dalla norma, ma sono figli di quella stessa norma che vuole disciplinarle, l’impalcatura stessa della società.
Noir: storie, ambienti, personaggi
Jeff Bailey, vagabondo e piccolo truffatore, viene mandato dal gangster Whit Sterling a recuperare la sua ex fidanzata Kathie, fuggita in Messico con un fagotto di soldi appartenente a Whit. Kathie sta chiaramente tramando qualcosa, ma Jeff se ne innamora lo stesso; come le dice in una delle tante scene memorabili del film, quando lei confessa i suoi peccati passati in un torrente di rimorsi, niente può alterare la sua attrazione per lei. «Baby, I don’t care», dice semplicemente, segnando così il loro destino: sono due amanti condannati in fuga. Ma quando Jeff, stanco degli infiniti doppi giochi di Kathie (e dei suoi diversi inutili omicidi), fa una soffiata alla polizia mentre la coppia tenta l’ultima fuga a bordo di un’auto rubata. Kathie reagisce immediatamente sparando a Jeff all’inguine mentre vanno incontro alla notte. L’auto si schianta contro un albero, uccidendo entrambi.
– Wheeler Winston Dixon su Out of the Past di Jacques Tourneur, in Film Noir and the Cinema of Paranoia
Cosa ci dice allora il noir, creatura prediletta del cinema americano, della società che lo ha prodotto? Qual è l’America che emerge dall’oscurità dello schermo? Per rispondere bisogna fare qualche passo indietro nella storia del cinema statunitense e retrocedere fino alla nascita del noir: siamo tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, con una fioritura del genere che si concentra nel periodo del dopoguerra. Il mondo del noir, trasposto dalla carta dei romanzi hard boiled al grande schermo, è popolato da personaggi ambigui, che vivono in un limbo sospeso tra legalità e illegalità: poliziotti, detective privati, ispettori improvvisati, paladini della legge che nascondono sotto la divisa una fascinazione morbosa per l’immorale e l’illecito e criminali senza scrupoli, dark lady che usano l’arma della seduzione per sbarcare il lunario.
Come osserva Serge Chauvin, il noir è caratterizzato anche dall’emergere di nuove tipologie umane che diventano protagoniste del grande schermo: «Al gangster come tragico self-made man subentra il semplice ingranaggio di un’organizzazione che lo supera, o il perdente in cerca di un impossibile secondo atto; al poliziotto come garante dell’ordine sociale si sostituisce il detective privato, un romantico disilluso che non incarna la legge e mira più alla verità che alla giustizia (Sam Spade, Philip Marlowe), oppure il poliziotto violento (La casa nell’ombra) o che semina disgrazie intorno a sé (Regolamento di conti). Infine, emergono due figure salienti: l’innocente, ingiustamente sospettato, la cui esistenza diventa un incubo (è l’eredità letteraria di Goodis e Irish), ma soprattutto l’uomo comune che si sveglia colpevole, in preda ai suoi desideri , al suo passato o a un destino oscuro, quasi metafisico»
Personaggi complessi e tridimensionali che sfuggono alla dicotomia del buono e del cattivo sono una delle novità portate in scena dal noir: già tra gli anni Trenta e Quaranta, tra le produzioni hollywoodiane segnate da un ostinato quanto artificiale ottimismo che nasconde una profonda ansia di escapismo, iniziano a farsi strada nuovi e cupi orizzonti. La facciata inizia a mostrare le prime incrinature: film a basso budget finanziati da piccole società di produzioni indipendenti raccolgono gli stilemi e le inquietudini proveniente da oltreoceano. I registi tedeschi in fuga dal regime nazista (tra questi Preminger, Lang, Wilder) portano negli Stati Uniti le lezioni dell’Espressionismo tedesco, dalle atmosfere cupe segnate da grandi contrasti fino alla predominanza dell’ombra che si fa personaggio, incarnazione visibile di tutte le paure e le angosce più recondite.
Il noir e le ferite dell’America del dopoguerra
I veterani di ritorno scoprirono che i prezzi erano aumentati sul fronte interno, che il mondo era andato avanti senza di loro, che le mogli avevano acquisito un nuovo grado di indipendenza e sicurezza finanziaria grazie al lavoro di guerra, e che dietro il sogno della casa bianca con la staccionata si nascondeva un vuoto da incubo nascosto alla vista del pubblico. Il noir è la versione più autentica della corruzione e dell’autocompiacimento della vita del dopoguerra, quando il consenso forzato e il conformismo idealizzato sono al di sopra di ogni altra considerazione.
-W. Winston Dixton, Film Noir and the Cinema of Paranoia
Il noir è un genere (o visione del mondo, come dicevamo prima) che nasce dalle dinamiche storico-sociali del suo tempo: il noir non solo è profondamente radicato nella Storia, ma trova le sue radici in un fortissimo punto di rottura, dove la Storia stessa si è incrinata e ogni certezza è crollata.
Un periodo, quello della Seconda Guerra Mondiale e del dopoguerra che continua a definire la nostra contemporaneità con i suoi spettri, i suoi rimossi e le sue ossessioni. In questo il noir acquisisce il suo valore in quanto genere attuale, capace di riflettere problematiche dell’oggi mostrandocene l’origine e rendendole vive attraverso i suoi personaggi sconfitti, deboli e pateticamente crudeli.
I confini tra legalità e illegalità, lecito e illecito, morale e immorale si fanno sempre più sfocati: la sfiducia nelle istituzioni, la violenza dilagante, l’assenza di speranza per il futuro si condensano nel mondo claustrofobico del noir, fatto di fioche insegne al neon e vicoli bui e fumosi. La città diventa il laboratorio di osservazione delle macerie umane lasciate dalla guerra, dalla crisi e dalla miseria: il reticolato urbano nel campo di battaglia per eccellenza dove ognuno lotta con le unghie e con i denti per assicurarsi la sopravvivenza.
Lo sguardo del noir ci fa ancora paura?
«Questa è l’età del film noir. Nonostante il genere risalga al periodo che va dalla fine degli anni Trenta agli inizio degli anni Quaranta, le sue preoccupazioni di disperazione, fallimento, inganno e tradimento sono per molti versi più preveggenti nel ventunesimo secolo di quanto non lo fossero al loro inizio»: questa è la sentenza con cui Winston Dixon apre il suo Film Noir and the Cinema of Paranoia.
Il mondo del noir presenta, pur nella cristalizzazione degli archetipi, rapporti umani complessi, che recano i segni del contesto in cui si sviluppano: la rappresentazione delle dinamiche tra personaggi maschili e femminili, le famose femme fatale che diventano presto uno dei simboli predominanti del noir, costituisce un cambio di segno significativo rispetto all’immagine più idilliaca e patinata dei film degli studios del periodo antecedente e coevo, nonché una sorta di resistenza al regime morale del codice Hays.
Le relazioni uomo-donna del noir sono una continua ricalibrazione dei rapporti di forza, specchio degli equilibri di potere della società americana degli anni Quaranta e Cinquanta e della riconfigurazione del ruolo delle donne sulla scena pubblica. Ma sono anche rapporti torbidi, che sfuggono alle linee guida morali del codice, intrisi di un erotismo perverso, smisurato, ingovernabile. Il desiderio e l’ossessione prendono il posto dell’amore puro e incontaminato delle storie più edificanti di Hollywood: le storie del noir sono fiamme destinate a bruciare in fretta, desideri viscerali che portano il protagonista verso la follia o la morte.
E custodi e maestre di questo fuoco lugubre e mortifero sono proprio le dark lady: misteriose e seducenti, indipendenti e fragili, volubili e al tempo stesso determinate a perseguire i propri obiettivi a scapito di chiunque altro, le femme fatale sono tra i primi esempi di personaggi femminili ambigui, negativi o addirittura abietti. Ma soprattutto sono personaggi che agiscono, manovrano, assumono il controllo e non hanno paura di esprimere la propria sessualità e di agire seguendo il proprio desiderio, anche se alla fine vengono severamente punite per questo.
Le femme fatale, e il noir con esse, svelano ciò che dovrebbe rimanere nascosto, portano a galla tutto ciò che c’è di più disturbante: l’ingiustizia sociale, il senso di angoscia e di abbandono, l’emergere di pulsioni oscure e irrazionali e una grande solitudine. I detective cinici e solitari alla Humphrey Bogart che lavorano per conto proprio e non hanno bisogno di nessuno diventano l’incarnazione di una caratteristica strutturale della società americana e il suo rovescio e complemento: l’individualismo sfrenato come unica bussola morale e la conseguente solitudine endemica che dilania il tessuto sociale urbano.
Con una trasparenza assoluta il noir smaschera l’ipocrisia che serpeggia nella società americana: più che un ricettacolo di incubi e paure, il mondo fumoso del noir si trasforma in uno specchio lucido in grado di restituire un’immagine terribilmente nitida del vero volto del sogno americano. La smania di potere, il desiderio di scalare la piramide sociale, il denaro come valore predominante e i rapporti umani visti come uno scambio transazionale: tutti questi valori che caratterizzano i personaggi negativi sono gli stessi valori glorificati dalla società capitalista statunitense e qualità considerate necessaria per sopravvivere al suo interno.
Ma in un meccanismo guidato dal sadismo più bieco questi stessi valori subiscono un ribaltamento di segno e coloro che fanno propri questi valori per arrivare a occupare un posto di rilievo nella gerarchia sociale subiscono una punizione esemplare. Il noir mostra anche l’altra faccia dell’ossessione securitaria, della violenza istituzionale, dell’illogicità sistematica di un sistema punitivo la cui logica non rimane confinata alle stazioni di polizia, ai tribunali e alle prigioni, ma pervade l’intera società. Ogni illusione di sicurezza maschera un disperato tentativo di controllo, e la forza del noir sta nello strappare uno squarcio nell’illusione e svelare quello che c’è sotto: disperazione, angoscia, miseria e una profonda, inerstirpabile paura di essere completamenti soli.
Questo articolo fa parte della newsletter n. 44 – novembre 2024 di Frammenti Rivista, riservata agli abbonati al FR Club. Leggi gli altri articoli di questo numero:
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