Allo scrittore e drammaturgo Nikolaj Vasil’evic Gogol (1809 – 1852) già poco dopo la sua morte venne riconosciuta da autori come Fëdor Dostoevskij o Michail Bulgakov la sua grandezza letteraria per aver dato vita, in primo luogo, alla letteratura degli umili che si sviluppò nella seconda metà del secolo (celebre è, infatti, l’affermazione di Dostoevskij:«Siamo tutti nati dal Cappotto di Gogol»), e, inoltre, per essere stato precursore del realismo magico, ovvero intriso di elementi visionari e fantastici.
Nato in Ucraina, trascorse l’infanzia a Vasilevka in una delle proprietà terriere del padre, appassionato del folklore locale, e già dai tempi del liceo coltivò la passione per la recitazione, che poi abbandonò una volta conclusi gli studi nel 1928 per intraprendere la carriera di burocrate a San Pietroburgo. Trovò una via di fuga da questa carriera grigia e monotona nella letteratura: Gogol cominciò dunque a pubblicare racconti e a scrivere opere teatrali e, dopo un primo infelice periodo di insuccesso, negli anni Trenta cominciò a imporsi come letterato e a ottenere la stima da parte di molti circoli letterari del tempo.
Tra tutte le sue opere I racconti di Pietroburgo costituisce un ritratto ironico e fantastico della società pietroburghese ottocentesca: una città al tempo grigia, monotona, intrappolata nell’indistricabile labirinto burocratico nato dalle riforme dello zar Pietro I, nella quale accadono sorprendentemente eventi sovrannaturali al limite della comprensione – come la perdita del naso – che sconvolgono la vita dei grigi e abitudinari funzionari statali che Gogol sceglie come protagonisti di queste avventure al limite tra sogno e realtà.
Questa raccolta che contiene La prospettiva Nevskij, Il naso, Le memorie di un pazzo, Il ritratto e Il cappotto ha dato inizio al ciclo pietroburghese della letteratura russa successiva. La prospettiva Nevskij, racconto del 1835, apre la raccolta offrendo un vastissimo caleidoscopio di tipi umani che si esibiscono sulla strada principale della città: sfilano sulla prospettiva, oltre agli uomini del suo tempo, anche le due generazioni di umili che verranno affrontate dalla letteratura successiva. Dopo aver offerto ai suoi lettori una visuale dall’alto della società pietroburghese, l’autore segue i destini di due personaggi, Piskarev e Pirogov, che proprio sulla via cittadina principale si dividono per inseguire due bellissime donne: attraverso l’infelice esito del sogno amoroso dei due personaggi Gogol riporta sulla pagina l’insano conflitto tra ideale e la realtà quotidiana, volto irrimediabilmente alla delusione delle proprie speranze e all’infelicità.
Più favolistico è sicuramente Il naso, pubblicato nel 1836 sulla rivista Il contemporaneo, tragicomico racconto – a tratti molto simile alla vicenda di Gregor Samsa ne La Metamorfosi di Franz Kafka – in cui, un mattino, l’assessore di collegio Kovalev si sveglia privo del suo naso e, quella stessa mattina, il barbiere Ivan Yakovlevich trova nel suo panino un naso. Fino alla sua conclusione, dunque, il povero Kovalev nell’affannata ricerca del suo naso per le vie della città vive delle situazioni a metà tra il magico e l’allucinato: il suo naso, infatti, acquistata una piena identità autonoma, si muove per Pietroburgo in uniforme dorata (è superiore dunque di un grado a Kovalev) e quando il suo ex proprietario lo supplica di tornare al suo posto, questo, prima di salire su una carrozza, risponde che ormai non è più possibile.
Disperato e senza speranze, l’assessore di collegio di ritorno dal commissariato di polizia viene raggiunto da una guardia con in mano il suo naso, ma i tentativi di riattaccarlo risultano vani. Kovalev, però, si sveglierà alcuni giorni dopo con il naso finalmente e inspiegabilmente al suo posto, dove era sempre stato: «Come se niente fosse, se ne stava sulla faccia del maggiore non dando la minima impressione di essersene mai allontanato».
Rimane irrisolto il dubbio, dunque, se tutta l’affannata ricerca della propria parte del corpo mancante sia stata una sua allucinazione. La perdita del naso si può anche interpretare come un’amputazione sociale e non puramente fisica: Kovalev, privato di una parte del proprio corpo, pensa di non poter apparire più in società e si aggira per Pietroburgo con il viso ben coperto affinché questa sua perdita di humanitas non sia sotto gli occhi di tutti.
Se la struttura de Il naso inizia con una situazione straordinaria per approdare poi a una normalità quasi assurda ed inspiegabile, ne Il cappotto (1842) il realismo sfocia sul finale nel fantastico: il povero funzionario burocratico Akakij Akakievich Basmackin, costretto a subire le angherie dei propri colleghi ed escluso dalla vita mondana dell’alta società, proietta il suo desiderio di rivalsa sociale sull’acquisto di un cappotto nuovo in sostituzione del suo, ormai vecchio e logoro.
Gogol segue il suo personaggio durante il periodo di meticoloso e quasi ossessivo risparmio per potersi permettere un degno cappotto, il cui acquisto sembra essere un faro di speranza nella sua vita monotona e buia, una gioia che interrompe la routine del suo lavoro e, infine, sembra poter fargli guadagnare il rispetto da parte dei colleghi e, finalmente, una dignità. Purtroppo la felicità di Basmackin è destinata a finire, poiché una sera, di ritorno da una festa, viene derubato del proprio cappotto e morirà per il freddo e lacerato dal dolore: egli, ormai un fantasma, girerà per San Pietroburgo derubando i signori dell’alta società dei loro cappotti, uniformi, divise e cappelli, che sono simboli di una società dove dall’abito della persona si può intuire il rango civile o militare di appartenenza.
Le memorie di un pazzo (1834) a differenza degli altri racconti ripresenta il topos letterario della pazzia e attraverso la forma diaristica presenta la discesa di Aksentij Ivanovic nella follia: egli, attratto dalla figlia del suo direttore e volendo conoscerla in modo più approfondito, sottrae delle lettere scritte dalla cagnolina Maggie. Inoltre, avendo appreso della morte del re di Spagna, si proclama sovrano di quel paese assumendo il nome di Ferdinando VIII e chiede in sposa la bramata figlia del direttore: ormai fuori di sé, alla fine viene ricoverato in un ospedale psichiatrico, che ai suoi occhi però appare come la corte spagnola.
Il ritratto (1834), infine, ha una funzione più pedagogica: approfittando del contesto pittorico, infatti, Gogol inserisce nel tessuto della trama delle teorie estetiche che affondano le proprie radici nell’idealismo di Friederich Schelling. Il protagonista è un giovane pittore povero, Cartkòv, che acquista da un mercante d’arte un vecchio quadro che ritrae un signore dallo sguardo che incute paura. Cartkòv, a causa della cattiva influenza del signore del dipinto, inizia a perdere la sua innocenza ed il suo talento in favore del denaro e verrà punito dalle sofferenze drastiche impartitegli dall’autore.
Nikolaj Gogol, dunque, con questi racconti si erge profeta dell’avvelenamento della terra russa, alleviando la drammaticità degli eventi di questi antieroi che non vincono mai con un tono ironico e leggero e senza una vena patetica: la perdita del naso, il suicidio di un giovane pittore o l’omicidio di un innocente non hanno in sé nulla di drammatico, la vita, come dimostra Gogol mentre segue i suoi personaggi, continua a procedere seppur instabile e talvolta incomprensibile e che lo scrittore osserva e riporta sulla pagina così come essa è. Grazie alla maestria della scrittura, alla forza della finzione narrativa e alla vivacità linguistica di Gogol il lettore si trova così catapultato come per magia nella fredda San Pietroburgo ad inseguire nasi o belle fanciulle sospeso tra sogno e realtà.
Nicole Erbetti
[…] russa dei primi dell’Ottocento, il poeta e scrittore Gogol. Anche in quest’ultimo gli elementi fantastici e magici – vedi I racconti di Pietroburgo – sono impiegati per dare risalto alle ambiguità e […]