Nietzsche politico: un secolare problema
Si è discusso molto a lungo circa i variegati utilizzi e controutilizzi di Friedrich Nietzsche in filosofia e in politica. Progressisti e reazionari, anarchici e totalitari, liberali e socialisti, sessantottini e conservatori; i sostenitori di tutte queste barricate hanno, almeno una volta, ripreso il filosofo di Röcken.
Non si può certamente sperare né di mettere in crisi queste assodate interpretazioni divergenti con un articolo né di andare a tratteggiare i lineamenti di un “vero Nietzsche” che disinnescherebbe gli altri “falsi”. Ciò che è possibile fare è problematizzare alcune letture ponendo in luce gli elementi dei testi nietzscheani che evidentemente stridono con le tesi avanzate.
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In questo senso, i molti usi di Friedrich Nietzsche al servizio di ideologie nazionaliste (specialmente, come è logico, del nazionalismo tedesco) devono essere messi in dubbio in nome di quei numerosi passi, contenuti nella Gaia Scienza e in Al di là del bene e del male, in cui il filosofo di Röcken denuncia tutto il suo disprezzo per il nazionalismo ed esalta, invece, una dimensione sovranazionale ed apolide di stampo europeo.
Nell’aforisma 377 della Gaia Scienza, intitolato “noi senza patria”, Nietzsche esordisce con una vera e propria dichiarazione di principio:
«Non mancano tra gli Europei di oggi taluni che hanno il diritto di chiamarsi, in un senso eminente e onorifico, senza patria, ed espressamente nel loro cuore sia posta la mia segreta saggezza e gaya scienza!» (Gaia Scienza, tr. it. F. Masini, a cura di G. Colli, Adelphi, Milano 1977, p. 312)
Il non sentirsi a proprio agio in nessun luogo, l’essere apolide, l’assenza di un possibile radicamento geografico va di pari passo con la contraddistintiva “inattualità” che Friedrich Nietzsche rivendicava, l’impossibilità di un attecchimento storico-temporale.
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I “senza patria” sono, prosegue Friedrich Nietzsche nell’aforisma, coloro che, nel quadro culturale dell’epoca, trovano insoddisfacente sia la filosofia francese che quella tedesca. In questo senso, l’aforista si scaglia contro il «gallico eccesso d’eccitabilità erotica e d’impazienza amatoria» (Gaia Scienza, p. 312 [corsivo nel testo originale]), ovvero il pensiero francese dell’epoca, specialmente nella formulazione di Saint-Simon, che prescriveva “l’amore per l’umanità” come massima storico-morale.
La presa di posizione di Friedrich Nietzsche è netta e duplice: «no, noi non amiamo l’umanità: e d’altro canto siamo ben lontani dall’essere “tedeschi”» (Ibidem), dove, con questo termine, Nietzsche identifica il crescente nazionalismo e odio di razza che interessava la cultura della Germania del suo tempo. Nazionalismo e razzismo sono forme attraverso cui si cerca di trarre gioia dallo stato presente, che viene assolutizzato e posto assiologicamente in alto, finendo per trarre gioia dalle più piccole idiozie per il solo fatto che esse sono “nazionali“.
Il carattere prospettico dell’esistenza
La netta presa di posizione contro il nazionalismo è coerente con uno dei capisaldi teoretici della filosofia di Nietzsche: il prospettivismo. Al di là della celebre (troppo celebre) frase su fatti ed interpretazioni, il filosofo espande in numerosi passaggi la sua analisi del prospettivismo. All’inizio del III capitolo de La genealogia della morale il filosofo afferma:
Esiste soltanto un vedere prospettico, soltanto un «conoscere» prospettico; e quanti più affetti lasciamo parlare sopra una determinata cosa, quanti più occhi, differenti occhi sappiamo impegnare in noi per questa stessa cosa, tanto più completo sarà il nostro «concetto» di essa, la nostra «obiettività»
F. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 113
Ogni oggetto, ogni ente, ogni elemento è tale solamente in forza dell’angolo da cui appare, soltanto in quanto prodotto di un dato taglio della realtà, solamente in forza dell’angolo da cui appare.
Nell’aforisma 374 della Gaia Scienza il discorso sul «carattere prospettico dell’esistenza» (p. 309) viene ripreso proprio a partire dal concetto-guida di “angolo“. Da un lato, Friedrich Nietzsche afferma l’assoluta impossibilità di abbandonare il proprio punto di vista, di inquadrare le cose da un angolo che non sia il nostro; enfatizzando la peculiare tragicità (e, al contempo, bizzarria) di ogni tentativo della nostra curiosità di immaginare un’esperienza che nega i caratteri fondamentali della nostra esperienza (ad esempio, afferma Nietzsche, di immaginare creature per cui il tempo scorre a ritroso).
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Al contempo, il filosofo si prodiga in un raro apprezzamento per la sua epoca, affermando:
Io penso che oggi per lo meno siamo lontani dalla ridicola presunzione di decretare dal nostro angolo che solo a partire da questo angolo si possono avere prospettive. Il mondo è piuttosto divenuto per noi ancora una volta «infinito»: in quanto non possiamo sottrarci alla possibilità che esso racchiuda in sé interpretazioni infinite.
F. Nietzsche, Gaia Scienza, cit., p. 310
L’immensa forza del prospettivismo risiede, dunque, nella sua capacità di non sostanzializzare ed assolutizzare la realtà, mantenendo un carattere di apertura. Ciò è, secondo Nietzsche, una grande virtù anche in etica, il progetto di una genealogia della morale è volto a scardinare la secolare tendenza per cui
Si è preso il valore di questi «valori» come dato, come risultante di fatto, come trascendente ogni messa in questione; fino a oggi non si è neppure avuto il minimo dubbio o la minima esitazione nello stabilire «il buono» come superiore, in valore, al «malvagio»
Id., Genealogia della morale, cit., p. 9
Essere buoni europei
Come si diceva in precedenza, il nazionalismo è un’assolutizzazione surrettizia in forza unicamente dell’angolo da cui vengono visti, della zolla di terra da cui si parla.
La sagace critica al nazionalismo arriva, di contraltare, a proclamare la “parola d’onore” che gli immoralisti-inattuali devono rivendicare con orgoglio: buoni Europei. Essere “buoni europei” significa essere eredi di un “millenario spirito europeo”; come può il filosofo irreligioso per eccellenza parlare di “spirito europeo”?
Perfino Nietzsche, l’ateo più radicale che la filosofia abbia mai prodotto, è cosciente del fatto che il fondamento dell’identità europea è da ricercarsi nel cristianesimo. In esso, si rintraccia un atteggiamento dello spirito che, nei suoi momento originari, fu in grado di motivare una fede talmente forte che, in suo nome, i cristiani sacrificarono «sostanze e sangue, ceto sociale e patria» (ivi., p.314).
Il cristianesimo ha storicamente unito l’Europa superando le singole identità nazionali, questa sua capacità viene, sorprendentemente, elogiata da Friedrich Nietzsche. Superare il cristianesimo senza cedere nella “divinizzazione della vita”, la battaglia che attraversa tutta l’opera di Nietzsche, e non piombare nella torpida occlusione nazionalista è la missione più ardua che spetta al dotto dell’epoca. La portata dell’imperativo è tale che, secondo l’autore, caratterizza uno dei principali meriti del maestro Arthur Schopenhauer. Il filosofo del Mondo come volontà e rappresentazione viene definito come il primo ateo della cultura tedesca e “pessimista in quanto buon europeo”.
Conclusione: un padre delle nostre istituzioni?
Nelle pagine di Al di là del bene e del male, Friedrich Nietzsche si concentrerà maggiormente su una prospettiva di filosofia politica e sociale, arrivando a vedere nel nazionalismo il «morboso estraneamento» che offusca e nasconde «i segni meno ambigui in cui la volontà che l’Europa ha di unificarsi si manifesta» (Al di là del bene e del male, Adelphi, Milano [data], p. 172).
La traiettoria dell’Europa è, secondo Nietzsche, quella del raggiungimento di una «durevole, tremenda volontà propria, in grado di proporsi mete al di là dei millenni» (Ivi., p. 115). Il superamento del quadro statale europeo, la formulazione di una volontà definita in grado di illuminare l’azione per mille anni è il principale costituente della grande politica che Nietzsche pone come ideale contrapposta alla piccola politica del suo secolo.
Dobbiamo forse leggere Friedrich Nietzsche come un padre filosofico delle nostre istituzioni attuali? D’altronde, la stessa Unione Europea rivendica – pur con molti distinguo – l’eredità del filosofo di Röcken .
Ipotizzare una filiazione diretta appare forzoso. Indigeribile, per le nostre coscienze, è il costante e reiterato attacco di Nietzsche contro la democrazia: nei medesimi aforismi in cui critica aspramente il nazionalismo ed esalta la dimensione sovranazionale dell’Europa il filosofo si scaglia contro «il movimento democratico [che] rappresenta non soltanto una forma di decadenza dell’organizzazione politica, ma anche una forma di decadenza, cioè d’immeschinimento, dell’uomo, un suo mediocrizzarsi e invilirsi» (Ivi., p. 103).
Inoltre, Friedrich Nietzsche afferma chiaramente che il superamento della “congerie di staterelli europei” va di pari passi con l’epilogo dei «velleitarismi dinastici e democratici» (ivi., p.115); sotto questo profilo, la visione nietzscheana rimane senza dubbio “inattuale”. Dopodiché vale l’antica massima per cui ex nihilo nihil fit: lo slancio europeo ad unificarsi, a trovare un’identità collettiva sia culturale che politica, deve aver avuto dei precedenti. Questi possono essere riscontrati nella storia della filosofia occidentale, dove autori diversissimi – tra cui Nietzsche -, hanno, ben prima delle istituzioni, costituito e riconosciuto radici, caratteristiche e destini comuni a tutti coloro che si definiscono “europei“.
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