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Nietzsche e l’incognita “Futuro”: cercasi centro di gravità permanente

7 minuti di lettura

Se il futuro fosse qui? Se ci apparisse in sogno con tutte le sue incognite? L’amor fati di Nietzsche come centro di gravità permanente.

Nietzsche e la visione dell’eterno ritorno: l’amor fati

Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione […] Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? […] Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun’altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?

(Nietzsche, La Gaia scienza, Libro IV, n. 341).

Con questo dilemma Friedrich Nietzsche presenta nella Gaia Scienza il pensiero abissale dell’eterno ritorno. Solo chi apprende ad amare incondizionatamente la propria vita può acconsentire a riviverla eternamente, con ogni suo dolore e sospiro – passato, presente, e futuro – ciò prescrive l’amor fati. In sua assenza, una simile sanzione – «questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte» – suonerebbe come una maledizione, tanto raccapricciante da togliere il sonno e far contorcere dal ribrezzo.

Lasciando da parte ogni rigore filosofico, ciò che conserva un’attualità sorprendente in questo passaggio è l’individuazione dell‘inquietudine come cifra di ogni nostro rapporto con il tempo. Quando si tratta di fare i conti con ciò che è stato (passato), ciò che è (presente) e ciò che sarà (futuro) – «l’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e [noi] con essa, granell[i] di polvere!» – si è difficilmente sereni, tanto meno ben disposti verso noi stessi, gli altri e il mondo. I tempi d’oro passati provocano nostalgia, quelli presenti ahimè non appaiono all’altezza, quelli a venire incombono pericolosamente incogniti con la loro insostenibile pesantezza.

Ecco dunque che, secondo la descrizione evocativa proposta da Friedrich Nietzsche, intrufolandosi nei nostri sogni più intimi per introdurci al suo enigma, il demone ci pone di fronte a un bivio esistenziale. Possiamo o accogliere di buona indole o subire passivamente la sua “eterna sentenza”. Ma che sia ben chiaro; indipendentemente dalla nostra reazione, la giostra della vita continua e continuerà il suo corso, qui e sempre. Della serie, «Hakuna Matata», al cielo piacendo, e simili.

Nietzsche oggi: se il futuro fosse qui?

Ma cos’ha Nietzsche da offrire all’attualità? In quale futuro possibile ci proietta la sua visione dell’eterno ritorno? Per rispondere bisogna cominciare col chiedersi: che accadrebbe, se un giorno o una notte, il futuro strisciasse furtivo nella più solitaria delle nostre solitudini, e ci interrogasse su ciò che ha da essere ancora? Come accoglieremmo le sue premonizioni? Che significato potrebbe avere una simile epifania dell’avvenire? Flettendo un po’ i contorni dell’esempio nietzscheano, potremmo dir così: come ci rapporteremo al futuro qualora bussasse alla nostra porta?

Oggi che viviamo tempi duri, duri come frenetici, frenetici come nervosi, nervosi come violenti, l’idea di futuro – potremmo rispondere – non rassicura, non motiva, né dà di speranza. Tutt’al contrario: sollecita angoscia, produce rassegnazione, induce cinismo. Oggi, che alle grandi narrazioni del passato che fu non crede più nessuno, oggi che è difficile credere per antonomasia, non c’è che presente, un eterno presente, che attenzione non si ama, ma che al più si mal supporta. L’orrore non fa più notizia, accresce l’assuefazione. Il male è così banale da esserci installato sotto pelle al punto che lo vediamo sempre, anche quando non c’è. L’occhio è così allenato a cercare crepe che anche le superfici più lisce diventano ruvide al tatto, e se restano lisce non che è un’illusione creata ad arte, un deepfake AI made. Il futuro fa ribrezzo, fa digrignare i denti, fa urlare maledizioni. E poi, signore e signori, di quale ‘co’ tanto’ futuro parliamo? Di domani, di dopo domani, del di qua a una settimana, al massimo. E di quello che accadrà tra un mese, un trimestre, un anno? Neanche a parlarne. E di qua a un triennio, un lustro, un decennio? Fantascienza.

Sognare futuro oggi, tra cinismo e disincanto

Del resto, tutto fila. Come si fa a pensare al futuro se non si hanno certezze nel e sul presente? Oggi che la percezione della fugacità della vita ha raggiunto l’apice è ben chiaro che la ricerca di un centro di gravità permanente non abbia motivo, né tantomeno speranza d’essere. Oggi che “sognare futuro” è inverosimile, non resta che vivere il presente, e mi raccomando, senza far programmi! Tanto poi ci sono sempre imprevisti, tanto non ne vale la pena, tanto va bene così! Evviva il carpe diem! Sì, ma quello «mordi e fuggi», che non di certo non era quello che intendevano gli epicurei.

Per dirla in toni macchiettistici, se la notte della vigilia un demone in abito da elfo strisciasse furtivo giù per il camino ad attenderlo non troverebbe una tazza di té nero bollente e una fetta di panettone candito, ma una letterina nero pece con scritto: «A Babbo Natale non crediamo più, e del Capodanno amiamo solo le bollicine. Nulla di personale, si intende, ma siamo pur sempre figlie e figli dell’epoca del disincanto.»

Con pandemie, stermini di massa, e guerre all’ordine del giorno si può ragionevolmente pretendere dell’altro?

Riabilitare il futuro: Nietzsche sul valore della storia

Friedrich Nietzsche, che con la malattia fece i conti con tutta la vita, non era un pessimista, ma inneggiava a porre la storia a servizio della vita. Contro ogni ragionevole pronostico, nelle seconda delle sue Meditazioni Inattuali (1874), Sull’utilità e gli Svantaggi della Storia per la Vita, assegnava valore al passato in funzione della sua capacità di rinvigorire il presente e dare forza il futuro.

Viene qui da chiedersi, in primo luogo: che valore ha per il noi il passato? Qual è la funzione, se ve n’è una, che riconosciamo alla memoria storica? Se Friedrich Nietzsche ne ripudiava ogni uso meramente antiquario, monumentale o critico, noi, ben oltre le sue indicazioni abbiamo perso il gusto dell’antico, il fascino per le ricorrenze, il senso della misura nella critica. Molto più incendiari che pompieri facciamo fatica a riconoscere la validità dei punti di vista altrui, né accettiamo di limare gli spigoli dei nostri. Che sia o meno a colpi di tastiera, il nostro sacro santo diritto alla libertà di parola vale più di ogni principio, sia di verità, di tatto, o di buon senso.

E in secondo luogo: che cosa ci aspetta dal futuro? Quali scenari possibili? Se è così stanno le cose, non possono che attenderci percorsi bui, sempre più angusti e accidentati, in cui è facile perdersi, e impossibile ritrovarsi. Terreni aridi in cui i semi non attecchiscono più. Acque rosse in cui è tutt’altro che dolce il naufragio. Strisce di terra rase al suono dalle bombe. Quartieri, città e nazioni vestite a lutto. Scarpette rosse e lame affilate. Il futuro è già qui. Ma c’è dell’altro?

Quale futuro possibile? L’amor fati come centro di gravità

[…] Guai, Si avvicinano i tempi in cui l’uomo non partorirà più stella alcuna […] Un po’ di veleno ogni tanto: ciò rende gradevoli i sogni. E molto veleno alla fine per morire gradevolmente. Si continua a lavorare, perché il lavoro intrattiene. Ma ci si dà cura che il trattenimento non sia troppo impegnativo. Non si diventa più né ricchi né poveri: ambedue le cose sono troppo fastidiose. Chi vuol ancora governare? Chi obbedire? Ambedue le cose sono troppo fastidiose. Nessun pastore e un sol gregge! Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono eguali: chi sente diversamente va da sé al manicomio. «Una volta erano tutti matti» – dicono i più raffinati e strizzano l’occhio. Oggi si è intelligenti e si sa per filo e per segno come sono andate le cose: così la materia di scherno è senza fine. Sì, ci si bisticcia ancora, ma si fa pace al più presto – per non guastarsi lo stomaco. Una vogliuzza per il giorno e una vogliuzza per la notte: salva restando la salute.

(Nietzsche, Così Parlò Zarathustra).

Con il 2025 appena iniziato non resta che augurarsi che la profezia di Zarathustra sia almeno in parte inesatta. Che il futuro partorisca stelle danzanti, che il disincanto non annulli la resilienza, che la speranza non voli sulle ali del solo eccitazione, ma che poggi su fondamenta ben salde. E che altro? Che siano sempre di più le occasioni di dialogo, comprensione e descalation. Che l’ansia non paralizzi l’entusiasmo, che il cinismo non vinca sul sentimento. Insomma, che il futuro, incognite incluse, ci riservi qualcosa di meglio del presente a cui apparteniamo, o che ci insegni, nella peggiore dei mondi possibili, a farci i conti, ma non la collera, ma con il riso.

E quando vidi il mio demonio, lo trovai serio, meticoloso, profondo, solenne: era lo spirito di gravità — a causa sua cadono tutte le cose. Non con la collera ma con il riso si uccide. Orsù, uccidiamo lo spirito di gravità! Ho imparato a camminare: da allora mi lascio correre. Ho imparato a volare: da allora non voglio essere spinto per smuovermi. Ora sono leggero, ora volo, ora mi vedo sotto di me, ora danza un dio attraverso di me

(Nietzsche, Così Parlò Zarathustra).

Tra una manciata di giorni, il demone-futuro verrà da noi, e busserà alla nostra porta. A noi il compito di accogliere questo 2025, e che l’amor fati sia con noi, come nostro centro di gravità permanente.

Illustrazione di Lucia Amaddeo

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Alexia Buondioli

Laureata in Filosofia Teoretica ed iscritta alla magistrale di Scienze Filosofiche presso Unimi, individuo nella scrittura e nel viaggio le mie frontiere esistenziali. Mi nutro di attività sportiva, relazioni interpersonali e caos creativo.

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