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Nessuna giustizia per i gelesi:
Eni rifiuta di rimborsare
le vittime di malformazioni

3 minuti di lettura

A Gela, sede delle più importanti raffinerie in Europa, molti bambini soffrono di malattie e deformazioni causate dalle emissioni dello stabilimento. Nonostante ciò sia confermato da molti studi scientifici, l’Eni, che gestisce l’impianto, ha sempre rifiutato di assumersi le sue responsabilità nei confronti dei gelesi.

Scorcio di Gela
Scorcio di Gela

Il comune siciliano di Gela è sede di uno dei poli petrolchimici più grandi d’Europa. Attualmente dismesso in via definitiva da circa un anno, il complesso industriale era stato avviato nel 1963 su iniziativa di Enrico Mattei. Durante questi 50 anni di attività, lo stabilimento ha portato sviluppo e occupazione dove prima non ce n’era, ma a caro prezzo: tra gli abitanti vi sono infatti moltissimi casi di malattie e malformazioni riconducibili all’inquinamento diretto e indiretto del polo petrolchimico. Gli studi del progetto Sentieri hanno dimostrato che rispetto al resto della Sicilia, a Gela è molto più facile morire per tutti i tipi di tumore (più 18,3%), per il cancro infantile (più 159,2%), per il tumore allo stomaco (più 47,5%), alla pleura (più 67,3%).

Studi di questo genere, che suggeriscono l’ipotesi di un rapporto causa effetto tra l’inquinamento della raffineria e queste malattie, vengono svolti da circa 30 anni. I gestori dell’impianto però (vale a dire Eni, società in parte controllata dal Ministero delle Finanze), ne hanno sempre contestato la validità. Secondo loro, e secondo la loro schiera di avvocati, i campionamenti effettuati non sono mai stati sufficienti a provare che i fumi scaricati dalle gigantesche ciminiere del polo (che si trovano ridosso delle abitazioni) nuocciano alla salute.

E anche quando quest’anno una ventina di famiglie con figli colpiti da gravi malattie e deformazioni ha intentato una causa contro l’Eni, chiedendo un risarcimento e la copertura delle spese mediche, la risposta dell’azienda non è stata diversa. Come riportato nell’inchiesta pubblicata da L’Espresso, lo scorso luglio una squadra di consulenti giudiziari ha espresso il suo parere scientifico, avvalorando l’accusa delle famiglie ed evidenziando il nesso tra malattie e inquinamento. I periti, professori famosi in tutto il mondo, hanno visitato e studiato per due anni i bambini e ragazzi in questione, ognuno colpito da almeno una o più malformazioni a diverse parti del corpo: agli organi genitali, ai piedi, alle mani, al midollo spinale, al cervello, alla bocca. Tuttavia «nonostante la perizia il colosso energetico non ha fatto alle 12 famiglie alcuna proposta economica», ha spiegato Luigi Fontanella, l’avvocato delle famiglie.

Nel rapporto redatto dai professori si legge: «Il collegio della commissione tecnica d’ufficio all’unanimità si rammarica che – nell’ampio lasso di tempo intercorso tra l’allarme indicato dai primi studi condotti a Gela, le crescenti preoccupazioni sollevate dalla popolazione e dalla comunità scientifica e il presente – non sia mai stato condotto uno studio di elevata qualità per poter stabilire in modo definitivo la possibile esistenza della relazione causale tra sostanze chimiche prevalenti nel comune e alcune malformazioni». Lo studio ritiene inoltre che «la possibilità che la spina bifida di Kimberly Scudera» (una delle vittime di malformazioni) «sia stata favorita dalla presenza nell’ambiente (aria, acqua, alimentazione) di sostanze chimiche prodotte dal polo industriale sia del tutto concreta, sia per effetto individuale che per effetto sinergico tra loro».

Secondo il rapporto, nel suolo sono presenti metalli pesanti in quantità massicce, benzene, diossine, composti cancerogeni. Questi hanno compromesso le falde acquifere e contaminato la catena alimentare, causando «con ogni probabilità» le malattie neonatali.

Parte del polo petrolchimico di Gela
Parte del polo petrolchimico di Gela

L’Espresso riporta anche le parole di Angela Averna, pediatra “di strada” che assiste impotente al dramma dei suoi piccoli pazienti. A Gela «Su 1000 under 14 una cinquantina sono malformati». Ma a Eni questo non interessa, la popolazione di Gela è solo manodopera da sfruttare. Non le importa delle percentuali di malati di cancro tra le più alte al mondo. Non le importa se tra i bambini di Gela ce ne sono alcuni come Nicolò, 13 anni, nato senza un labbro e senza palato. «Senza manco il naso, a dire il vero: a 8 mesi l’abbiamo operato, e gli hanno pure ricostruito parte della bocca» confessa il suo papà. Il tragitto fino a Roma e ritorno per portare Nicolò all’ospedale Bambin Gesù ha dovuto farlo decine di volte. «Oggi va meglio, ma quando mangia il cioccolato o il succo di frutta spesso gli esce ancora il cibo dalle narici, perché è cresciuto in fretta e le vecchie plastiche non reggono più».

La compagnia non ha quindi cambiato linea, difendendosi con le solite parole di sempre: le indagini «non hanno fornito evidenze scientifiche apprezzabili circa la sussistenza di un nesso tra le patologie e l’impatto ambientale delle attività industriali del nostro stabilimento. Anche la consulenza tecnica d’ufficio del luglio 2015 mostra importanti limiti a livello metodologico e soprattutto l’assenza di elementi scientificamente apprezzabili a sostegno delle valutazioni conclusive. Dunque non ci sono ulteriori mediazioni in corso né ipotesi di risarcimento». La commissione di parte ha attaccato su ogni fronte quella dei consulenti dei giudici, contestando l’intera impostazione della ricerca e attribuendo le malattie dei bimbi soprattutto alla loro «componente genetica».

Oltre al danno la beffa, quindi. La rabbia e la frustrazione delle famiglie di Gela possono solo essere immaginate di fronte a uno Stato che, invece di tutelarle, si schiera dalla parte di chi si appropria delle loro risorse, avvelena i loro figli e non contento li insulta, scaricando la colpa dei suoi crimini sul corredo genetico delle piccole vittime.

L'impianto è gestito da Eni
L’impianto è gestito da Eni

 

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Yuri Cascasi

Nato nel 1991, laureato in Lingue e Letterature Straniere all'Università degli Studi di Milano. Molte passioni si dividono il mio tempo, ma nessuna riesce a imporsi sulle altre. Su di me, invece, ci riescono benissimo.

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