Opera simbolo di una delle più fulgide epoche del Bel Paese, La Nascita di Venere (1482 – 1485 ca.) di Botticelli è la trasfigurazione della grazia, raffinatezza e cultura dell’Italia rinascimentale. Sebbene la scena tratti un tema di natura mitologica, ovvero il sorgere della dea delle acque e il suo approdo sulle coste di Cipro, l’opera è un’implicita celebrazione della famiglia de’ Medici che, al pari della Citerea, portarono nel mondo una nuova forma di estetica basata su una bellezza sublime e delicata. Donna dalle fattezze nobili, morbida nelle forme, aristocratica nei gesti, la Venere del Botticelli è una delle figure femminili più belle mai dipinte, con un’espressività potente, e una gestualità scultorea.
Sicuramente, l’immagine rappresentata trae ispirazione da alcune opere letterarie, quali le Stanze del Poliziano e il De rerum natura di Lucrezio, e ciò permette un’interpretazione capillare di ogni figura, prima fra tutte Venere stessa. I suoi gesti così come la postura si rifanno al modello classico della Venus Pudica, ovvero la dea colta in un momento di femminea pudicizia mentre tenta di coprire le sue nudità, e in particolar modo alla Afrodite cnidia di Prassitele la quale, sebbene abbia i capelli raccolti, ricordo nella morbidezza e nella fisicità la Venere botticelliana.
Tratto distintivo della Venere è sicuramente la folta e sciolta chioma, che pare risplendere come una colata di oro rosso. L’analisi della capigliatura si rivela particolarmente interessante all’analisi, in quanto i capelli sciolti, in epoca rinascimentale come anche in epoche precedenti e successive, era simbolo di villania, del tutto inadeguata alla signore di alto rango e di conseguenza alle raffigurazioni mitologiche. Ma trattandosi della dea della bellezza e soprattutto dell’amore, Botticelli nella Nascita di Venere sceglie di infonderle la tipica sensualità nelle dorate ciocche, che suggeriscono il languore e la viva sessualità della dea. Il corpo morbido, candido e scultoreo è ben presto divenuto canone di riferimento per la definizione della bellezza femminile, suggerendo la fertilità, l’abbondanza e l’accogliente calore del corpo della donna. Il volto, di sconvolgete bellezza, è assorto in uno sguardo dolce, con un lieve rossore che le irrora le gote. La conchiglia sulla quale ella si posa è una grande Pecten jacobaeus (ovvero una capasanta), simbolo della dea in quanto ricorda la forma del sesso femminile. Sulla sinistra del dipinto si trova Zefiro, il vento di ponente, fresca e dolce aria di primavera, che sospinge Venere verso Cipro. La soffiante figura di Zefiro è accompagnata da un personaggio femminile, stretta a lui in un appassionato abbraccio, la quale è probabilmente la ninfa Clori, mitica moglie del vento e antica divinità dei Fiori (successivamente identificata con la Primavera), dalla cui unione nacque Carpo, il frutto. Infine, l’ultimo personaggio è la splendida fanciulla che, sul lato destro, attende la dea sulle coste dell’Isola, pronta ad avvolgerla in un ricco panneggio. La giovane, le cui vesti inneggiano al floreale tessuto della Primavera, è una delle Ore, preposta al cambiamento delle stagioni, che simboleggia il cambiamento, il risveglio del mondo durante la primavera. Lo splendido manto che porge alla dea è ricamato con i fiori tipici della stagione, nonché simbolo dell’amore, quali rose (amore passionale), primule (rinascita) e mirti (fecondità).
Oggi ammirabile alla Galleria degli Uffizi di Firenze, La Nascita di Venere è il dipinto che ha dato un volto alla femminilità, alla bellezza, e che pare emanare freschi profumi primaverili, sospinti da brezza marina, facendo sì che la dea possa diffondere il suo irresistibile potere, prostrando, folli d’amore, tutti coloro che la guardano.