Vanitoso, arrogante e dotato di una straordinaria bellezza. Narciso (da qui il termine “narcisismo”) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Cefiso e della ninfa Liriope. Sia nella versione greca che in quella romana, emerge l’insensibilità di Narciso nei confronti dell’amore, motivo per cui gli dei lo condannano ad innamorarsi perdutamente di sé stesso, della propria immagine, un’ossessione che lo conduce alla morte.
Una delle possibili interpretazioni è quella che la sua figura indica il modo in cui noi entriamo in relazione con gli altri attraverso la nostra immagine. È dunque un mito che ci spinge ad esplorare la rappresentazione di noi stessi, un qualcosa con il quale ognuno di noi fa i conti giornalmente. Narciso è dunque una “vittima”, dal momento che dietro al suo orgoglio si cela un fanciullo solitario, incapace di relazionarsi con gli altri, insicuro. Quindi, essendo l’arte una forma di linguaggio che spesso fa emergere ed aiuta ad analizzare i pensieri più profondi, forse è proprio per questo che nei secoli ha destato la curiosità di numerosi artisti: quello di Narciso è un mito che si presta bene a questo tipo di lavoro.
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Narciso nell’arte: da iconografia a portatore del metodo “critico-paranoico”
Nell’affresco Narciso alla fonte di Pompei (I secolo), proveniente dalla Casa di Lucrezio Frontone, ci si trova davanti al protagonista che con un bastone da caccia e una corona d’alloro sul capo si specchia nella fonte sottostante. Narciso qui è solo, cosa che cambia nella Miniatura con Eco e Narciso (1380) di un manoscritto del Roman de la Rose, poema allegorico scritto da Guillaume de Lorris tra il 1225 e il 1230 e completato all’incirca quarant’anni dopo da Jean de Meun, in cui non solo avviene un cambiamento nella concezione della bellezza di Narciso (che appare come bellezza ingannatrice), ma è fondamentale anche per capirne l’evoluzione iconografica. Questa volta infatti, emerge una nuova figura, quella di Eco, la ninfa che secondo il Narciso de Le metamorfosi di Ovidio, si innamorò in modo così profondo del giovane tanto da consumarsi lentamente dopo il suo rifiuto. Nel Roman de la Rose però, le cose cambiano: Eco è colei che maledice Narciso, tanto da implorare Dio affinché possa sperimentare un amore altrettanto irrealizzabile come quello da lei vissuto.
Se si parla della figura di Narciso nell’arte è d’obbligo citare il famoso dipinto ad olio su tela Narciso, datato tra il 1597 e il 1599, che, dopo numerose discussioni è stato attribuito a Caravaggio. Estremamente realistico, l’artista cattura il momento clou della storia, ossia l’attimo che precede la morte di Narciso, l’attimo prima che scivoli nell’acqua in cui è presente il suo riflesso. Questa volta però il tutto è narrato in maniera diversa: non c’è un bosco rigoglioso, fiori, la sua attrezzatura da caccia, insomma, i classici elementi presenti quando si vuole raccontare visivamente la vicenda. Il fanciullo di Caravaggio è collocato in un luogo insolito, cupo, come se si trovasse al chiuso, ed ha un formato verticale che ha permesso all’artista di realizzare una figura doppia quasi perfetta. Un’ambientazione che nel Romanticismo, con Joseph Mallord William Turner, cambia nuovamente. In Narcissus and Echo (1804) infatti, i personaggi sono lontani ed immersi nel tipico paesaggio bucolico e sognante di Turner, che ne diventa dunque protagonista.
Il 1903 invece, è l’anno in cui arriva la versione di John William Waterhouse, pittore britannico appartenente alla corrente preraffaellita (nonostante i suoi lavori risalgano a qualche decennio più tardi) e amante della mitologia classica. Nel dipinto di Waterhouse però, Eco appare consapevole di quello che sta per accadere a Narciso. Uno dei narcisi collocati sulla riva è caduto nello specchio d’acqua e ciò sembra anticipare la sventura. Narciso, intanto, si trova al di là del fiume, completamente all’oscuro della situazione e intensamente assorto nella contemplazione della propria immagine. Trentaquattro anni dopo Echo and Narcissus di Waterhouse, Salvador Dalì realizza Metamorfosi di Narciso (1937) il primo dipinto realizzato con il metodo “critico-paranoico”, descritto dall’artista come metodo spontaneo di creazione irrazionale, basato sull’associazione di elementi apparentemente senza senso, quindi la capacità del cervello umano di collegare concetti che, apparentemente, non hanno correlazione tra loro.
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Narciso si annulla nella vertigine cosmica, dove nel più profondo canta la sirena fredda e dionisiaca della sua stessa immagine. Il corpo di Narciso si svuota e si perde nell’abisso del suo riflesso, come la clessidra che non verrà capovolta (…) Narciso tu sei così immobile che si direbbe che tu dorma
Salvador Dalì
Nonostante il dipinto abbia una sequenza di lettura che va da sinistra verso destra, Dalì scrive questa poesia che contribuisce a rendere il significato dell’opera più accessibile: l’obbiettivo dell’artista è difatti quello di coinvolgere lo spettatore nella metamorfosi, di stimolare l’inconscio, tema centrale del surrealismo.
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