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Napoli 1799: Repubblica, Costituzione e Illuminismo

Alla fine del Settecento anche la città partenopea ha avuto la sua piccola grande rivoluzione, in cui è stata proclamata la Repubblica ed emanata una Costituzione di stampo illuminista. Ma questa esperienza democratica è durata solo pochi mesi, prima di una severa restaurazione.

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Città di mare, di sole, di tradizioni antiche, di credenze, di bellezze, ma anche di cultura, di storia, di legami con tutto il Mediterraneo e con i paesi più lontani. Napoli fin dall’età antica, passando per il Medioevo e per l’età moderna sino ad oggi, è sempre stata un crocevia di popoli, di merci, di idee. La città calda dai bollenti spiriti che, al di là delle forze della tradizione, ha saputo a più riprese, nella storia, affacciarsi sulle vicende globali, divenendone più o meno volontariamente protagonista.

E così come accaduto in Francia e in America, anche Napoli, nel 1799, ha avuto la sua piccola grande rivoluzione. Anche la città partenopea, seppure per poco, ha visto proclamata una sua Repubblica ed emanata una sua Costituzione, ispirata al modello francese. Un’esperienza democratica durata soltanto pochi mesi, prima di una severa restaurazione. Nella penombra degli antichi palazzi della fiorente borghesia partenopea che guardava all’Europa, lontani dalla corte borbonica, sparuti circoli di illuministi, patrioti, artisti e letterati immaginavano la Napoli della Libertà.

Già qualche decennio prima, idee di libertà e di rinnovamento erano partite proprio da Napoli giungendo addirittura in America. Il giurista e filosofo campano Gaetano Filangeri (1753-1788) fu tra i primi a menzionare il “diritto alla felicità”. Tra lui e Benjamin Franklin intercorse una fitta corrispondenza epistolare negli anni Ottanta del Settecento, tale da far ritenere che molte delle idee di Filangeri, diffusesi nei neonati Stati Uniti, abbiano influito sulla stesura della stessa Costituzione americana.

L’illuminista Gaetano Filangeri

Nascita di una repubblica nell’Europa di fine Settecento

Le premesse per l’esperienza democratica napoletana vanno cercate osservando il contesto europeo del tempo. Tra la campagna di Napoleone Bonaparte in Italia, la formazione delle repubbliche giacobine e l’occupazione di Roma del 1798, gli animi dei patrioti e dei pensatori illuministi campani vennero solleticati da ardenti fantasie. Si sarebbe potuta davvero costruire la repubblica? A giudicare dalle reazioni di allarme dei Borbone – soprattutto alla notizia delle vicende romane – valutarono la cosa come più che possibile.

Proprio nel 1798 il re di Napoli, Ferdinando IV, era arrivato a richiedere l’intervento delle truppe austriache a difesa della città e della monarchia da possibili minacce, trovando sostegno nel generale Von Mack. Ma il re, nonostante gli austriaci, ben presto avrebbe lasciato la sua capitale nelle mani del poco esperto principe Francesco Pignatelli, vicario regio. Nonostante le bande armate per le vie cittadine, formate da popolani contrari ai francesi e fomentati dalla Chiesa, i repubblicani ebbero la meglio.

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I francesi entrano a Napoli”, Jean Jacques François Taurel

Preso Castel Sant’Elmo (un’antica rocca di origine medievale che si erge sulla collina del Vomero), intorno al 20 di gennaio del 1799, spezzarono ogni resistenza facilitando l’arrivo dell’esercito francese, che il 23 gennaio si dispiegò a tutela della proclamata la Repubblica Napoletana. Alla proclamazione della Repubblica seguì anche il tentativo di dotarla di una Costituzione di stampo illuminista, la cui elaborazione fu affidata al colto giurista e filosofo Mario Francesco Pagano, illuminista e massone.

La collina con Castel Sant’Elmo e la vicina Certosa di San Martino

Pagano: un cappio al collo è il prezzo della Libertà

Morirà così Mario Pagano. Un cappio al collo in Piazza Mercato, nel centro di Napoli, il 29 ottobre del 1799. Il prezzo per essere stato un ardente combattente e difensore della Repubblica Napoletana, nonché primo autore, con l’ausilio di alcuni altri intellettuali, della Costituzione, impressa in poco più di una ventina di copie e mai più ristampata, tra varie censure, fino al 1820. A nulla valsero le preghiere giunte per iscritto alla corte di Napoli da tutta Europa – e persino dallo zar di Russia – per risparmiargli la vita.

Nato a Birenza (Potenza) nel 1748, da una famiglia di notai agiata, Pagano trasferì a Napoli, dove studiò le lettere classiche, il greco, il latino e l’ebraico, laureandosi poi in Giurisprudenza. Divenuto docente dell’Università di Napoli, distintosi oltretutto come avvocato in città, fu autore di numerosi testi giuridici di grande prestigio accademico e di scritti di filosofia e politica. Fu iniziato alla Massoneria, entrando a far parte della loggia “Philantropia” e divenendovi maestro venerabile.

Tra i grandi sostenitori della Repubblica Napoletana, aveva già provato la galera nel 1796, accusato di attentare alla monarchia e poi rilasciato per carenza di prove. Importante e prominente il contributo di Pagano alla stesura del testo costituzionale, documento dalla cui lettura traspare la grande attenzione per i temi dei diritti, della Libertà e della tutela dei cittadini e del libero pensiero. Fu promotore, tra gli altri, delle leggi contro la schiavitù di tipo feudale e le torture nelle carceri.

Il giurista Mario Francesco Pagano, principale autore della Costituzione napoletana, giustiziato nell’ottobre del 1799

Il testo costituzionale che non fece in tempo a vivere

Come detto nel 1799 vennero stampate non più di 25 copie della Costituzione Napoletana. Il testo riemerse negli anni Venti dell’Ottocento, dopo svariate censure e divieti, in una prima nuova edizione rivista con numerose aggiunte ad opera dell’avvocato Angelo Lanzellotti, nel nuovo clima che si avviava verso le fasi risorgimentali. Il testo presenta un grande senso civico e palesa una forte tendenza, tutta illuminista, alla difesa delle libertà dei cittadini, della loro formazione e della partecipazione politica.

Ogni uomo di 23 anni, pagando una contribuzione diretta («in proporzione delle loro facoltà», art.321), sarebbe stato cittadino della Repubblica (senza contribuzione quanti avrebbero prestato servizio militare). Cittadini sarebbero stati anche i “forestieri” dopo avervi dimorato per almeno sette anni e pagato i contributi. «Fra i cittadini non esiste alcuna superiorità, salvo quella de’ pubblici funzionari e relativamente all’esercizio delle loro funzioni», recita il testo. «Niuno può essere impedito di dire, scrivere, stampare e pubblicare i suoi pensieri», continuava ancora la Costituzione partenopea.

I giovani non avrebbero potuto effettuare l’iscrizione ai registri civici senza aver provato di saper leggere, scrivere, esercitare un mestiere (incluso quello agricolo) e dimostrare la conoscenza del “catechismo repubblicano”. Queste le indicazioni dell’articolo 13, che sarebbe dovuto entrare però in vigore dopo un decennio dall’emanazione, in attesa dunque che l’istruzione pubblica potesse anche fare il proprio corso.

Il testo parlava chiaro anche in tema di elezioni e nei casi di acquisto o vendita di voti: 20 anni di esclusione da ogni funzione pubblica e da ogni assemblea, primaria e comunale (art.28).

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La Costituzione prevedeva anche specifiche tutele per gli amministratori: «I giudici non possono arrestare o sospendere l’esecuzione di niuna legge, né citare dinanzi a sé gli amministratori per ragioni delle loro funzioni». La Costituzione limitava anche il potere degli ufficiali dell’esercito e in particolar modo dei generali.

Per evitare troppo accentramento era prevista l’assegnazione di un generale comandante ad una determinata guarnigione o armata solo per necessità operative apposite, in caso di minaccia ad esempio. Difatti, dunque, il grado militare si manteneva immutato, ma la funzione di comando veniva affidata di volta in volta. «I generali in capo di terra e di mare si nominano solo in caso di guerra» (art.281).

E ancora erano previste tutele per la libertà di stampa e di diffusione delle arti, che avrebbero dovuto essere favorite e finanziate dalla repubblica. Grande l’attenzione del testo anche alla formazione dei giovani. «L’educazione è fisica, morale e intellettuale» (art.292), «L’educazione che devono dare i padri fino all’età di sette anni è prescritta dalla legge» (art.293), «L’educazione pubblica comincerà a sette anni compiuti» (art.294).

Poi la comparsa dell’articolo su un “catechismo repubblicano” per formare alla vita da cittadini: «In ogni giorno festivo i giovanetti maggiori di sette anni intervengono nei luoghi dalla legge stabiliti a sentire la spiega del catechismo repubblicano» (art.298). E ancora: «Vi sono dei teatri repubblicani in cui le rappresentazioni sono dirette a promuovere lo spirito della libertà» (art. 299), «Vi sono ancora stabilite feste nazionali per eccitare le virtù repubblicane» (art.300).

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La brevissima vita della Repubblica Napoletana, la repressione dei pensatori e la Costituzione finita nel cassetto

Proclamata il 23 gennaio 1799, la Repubblica Napoletana non sopravvisse all’estate. L’esperienza democratica si concluse il 22 giugno dello stesso anno, neanche un mese dopo che Pagano, insieme agli altri, avevano redatto il testo costituzionale, al quale si lavorò a fine maggio del 1799. Già il 13 di giugno la città era stata cinta d’assedio dalle truppe filoborboniche del cardinale Ruffo, partite dalla Calabria.

Le ultime barricate di resistenza repubblicana furono sbaragliate tra il 20 e il 22 giugno e con esse crollò il sogno della Repubblica, quello della Costituzione e il miraggio culturale dei liberi pensatori come Pagano, al quale toccò, peggio che ad altri, una corda al collo.

Paolo Cristofaro

Nato nel 1994, si è laureato in Lettere e Beni Culturali all'Università della Calabria. Presso lo stesso ateneo ha conseguito poi la laurea magistrale in Scienze Storiche, con una tesi di ricerca sul Medioevo. Collaboratore di quotidiani e riviste, è iscritto all'albo dei giornalisti pubblicisti.

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