Charlotte Brontë (1816 – 1855) non è certo estranea alla suggestione e al velato senso di timore che incute l’ignoto. Nel suo romanzo capolavoro Jane Eyre (1847), la paura e il terrore vengono suscitati nel cuore della protagonista da una presenza nella soffitta di casa Rochester, rivelandosi poi nella figura di una donna delirante nella sua malattia mentale. Frutto di un processo creativo iniziato in giovane età, Jane Eyre non è però la prima opera della Brontë a trattare di fantasmi. Nel 1833, un volume ancora acerbo e giovanile dell’autrice viene pubblicato con il titolo Il Nano Verde (The Green Dwarf nella versione originale) dove un inciso, simile per tecnica alla storia di Amore e Psiche nelle Metamorfosi di Apuleio, racconta una vera storia di paura. Napoleone e lo Spettro (versione originale: Napoleon and the Spectre) coglie l’Imperatore, in un anno indefinito, nel massimo momento di vulnerabilità umana: prima di andare a dormire.
Lo scenario gotico
Lo scenario creato dalla Brontë è magnificamente gotico: rumori che provengono dagli armadi e da angoli bui della stanza; candele che all’improvviso vengono offuscate dal passaggio di un’ombra; risate che riecheggiano minacciose. Un’atmosfera ben nota alle figlie de I Misteri di Udolpho di Ann Radcliffe, stele di Rosetta narrativa che permette di comprendere molte delle opere noir ad essa ispirate. Catherine Morland vede le pagine della Radcliffe come una guida verso l’occulto, regalando al lettore il primo embrionale romanzo di Jane Austen, L’abbazia di Northanger (1803). Stessi elementi si riscontrano in seguito in Bleak House (La Casa Desolata, 1852) e The Signalman (Il Segnalatore, 1866) di Charles Dickens.
Un racconto antropologico
Tornando al racconto, esso rappresenta un lampo di preveggenza psicoanalitica nel suo messaggio profondo e di grande valore antropologico. Napoleone, svegliato da rumori e ombre improvvise, si trova al cospetto di uno spettro, che con severità lo apostrofa quale portatore dell’«aquila imperiale», del «giglio della nazione», intimandogli di seguirlo. Nel loro breve percorso verso le strade fredde di Parigi, la Brontë dona un piccolo indizio al lettore che come un Pollicino filologo deve ripercorrere il sentiero di briciole fino alla verità: Napoleone diventa «Nap».
«Nap» è infine condotto in un salone da ballo, dove dame riccamente vestite, con ghirlande di fiori nei capelli, mostrano un viso cadaverico, e dove l’odore dell’incenso profumato si mescola a quello della decomposizione. Napoleone chiede spiegazioni, ma è ridotto con stizza al silenzio dallo spettro in soprabito blu che, a un tratto, svanisce, lasciando al suo posto la figura di una donna: Maria Luisa, Imperatrice di Francia e moglie di Napoleone. L’incontro fra i due, lei in abito da ballo lui in veste da camera, ha una malcelata comicità quando il sovrano, terrorizzato, teme che la sua sposa sia finita all’inferno. È tutto il contrario. Maria Luisa, così come le dame e i cavalieri presenti, è viva e vegeta, beata nel suo ricevimento fatto di danze, musica e aromi paradisiaci. L’inferno in terra è sceso invece per l’Imperatore, in sottana davanti a un pubblico di nobili. Il risultato è una catalessi che fa dormire Napoleone come un sasso per i giorni successivi.
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Il senso del racconto è ben nascosto dietro una trama apparentemente priva di senso, ma che in realtà solletica l’intelletto di un lettore attento e, perché no, di un curioso della psiche umana. In superficie i dettagli macabri e spaventosi sono pochi e banali, il senso della presenza dello spettro pare inspiegabile e lo scopo stesso della storia sembra inesistente. Come anticipato, bisogna cogliere le briciole, e si otterrà il biscotto.
La chiave è l’abbigliamento
Chiave di volta per la comprensione del testo è l’abbigliamento. Si parte da quello del fantasma: la giacca blu, le decorazioni dorate sulle spalle, altro non sono che la divisa dell’esercito napoleonico. E ancora l’Imperatrice Maria Luisa e i suoi convitati: gioielli, ghirlande di fiori, abiti epitomi dell’enorme potere della nobiltà francese. A essere in sottana, superato nel vestire sia dallo spettro che dalla moglie, apostrofato da un suo soldato come «Nap», costretto al silenzio, è Napoleone. Ed ecco che il terrore si disvela: la paura più grande, profonda, e primigenia dell’uomo è l’umiliazione. Il grande talento della scrittrice si mostra in tutto il suo embrionale splendore: a poco servono mostri, fantasmi, case scricchiolanti e oscure presenza, quando basta mettersi in pigiama e presentarsi a una festa per vivere il più intenso dei terrori. Nulla può l’immaginario gotico verso l’orrore della vergogna, e anche uno dei più grandi condottieri della storia preferisce il sonno allo sdegno.