Nella catastrofe della Val di Stava, il 19 luglio 1985, i bacini di decantazione della miniera di Prestavel ruppero gli argini scaricando 180.000 m³ di fango sull’abitato di Stava, piccola frazione del comune di Tesero, provocando la morte di 268 persone. Quest’anno ricorre la memoria del trentesimo anniversario da quel giorno e il dovere di ricordare è passato tra le mani del cantautore Niccolò Fabi e del geologo Mario Tozzi.
Lo scorso venerdì 23 ottobre al Palafiemme di Cavalese è andato in scena lo spettacolo Musica sostenibile, in cui era prevista una introduzione con testimoni del disastro all’epoca e successivamente lo spettacolo/ricordo dei due ospiti maggiori.
Le immagini apparse sullo schermo durante lo spettacolo, contestualizzate da chi all’epoca le ha vissute e addirittura riprese, suscitano nei presenti lo stato d’animo di allora, il dispiacere per le vittime e la rabbia per i negligenti, responsabili della discarica mineraria. La ricostruzione dell’accaduto lascia pochi dubbi su quanto l’uomo sia stato in grado di sfruttare il territorio, senza considerare la natura dello stesso, e sopravvalutare strutture industriali che favorivano più l’economia dell’imprenditore che la salvaguardia dei paesani limitrofi.
Lo spettacolo si accende con la chitarra di Niccolò Fabi, Padrone della festa, un pezzo scritto dal trio Silvestri, Gazzè, Fabi, che fa riflettere su quanto l’uomo odierno si pensi superiore al territorio in cui vive e alla natura che lo circonda, perché la tecnologia ha smussato tutti gli spigoli duri della vita nel rapporto con il mondo naturale. Mario Tozzi inizia poi il suo monologo, su uno sgabello di legno, a luce suffusa. Riprendendo la vicenda di Stava, il geologo propone al pubblico alcuni dettagli della vicenda che la stampa ha sempre tentato di omettere, come il fatto che il bacino di decantazione è sempre stato a rischio crollo, sin da quando ve n’era uno solo. La decisione di costruirne un secondo a monte del primo sembrava una scelta del tutto improponibile per le leggi fisiche, ma, dopo un incontro ravvicinato tra l’ingegnere responsabile e il portafogli di chi aveva interesse a costruirlo, la cosa è diventata inspiegabilmente fattibile.
Il discorso si sposta successivamente sul generale, parlando di abusi edilizi, della non-colpevolezza della natura di fronte ad alcune delle alluvioni nei centri urbani degli ultimi anni, fino allo sfruttamento incontrollato del territorio riguardo l’uso di suolo libero per nuovi edifici.
Il cantautore ritorna alla voce con Ragazzo della via Gluk, canzone di Adriano Celentano che ha quasi 50 anni ma, riproposta in quel contesto, si rivela più attuale oggi di allora. Segue poi Dolcenera di Fabrizio De André, ricordando la scena apocalittica dell’alluvione di Genova del 7 e 8 ottobre 1970.
La copertura dei fiumi nelle maggiori città ha fatto sì che addirittura chi è residente in quei posti non conosca più il fiume che passa sotto la propria casa (e il fatto che sopra un fiume sia stata costruita una casa è forse ancora peggio dell’ignoranza dei residenti).
Inoltre, l’utilizzo di suolo libero in modo non regolamentato e soprattuto in modo non sostenibile ha reso possibile nelle città l’allargamento dei quartieri, in modo tale da inglobare i paesi circostanti, eliminando l’identità degli stessi e trasformandoli in parte del borgo.
Le persone si lamentano (giustamente) dei disastri naturali come frane, allagamenti e cedimento del terreno che arrivano a portare via la case, averi e talvolta anche vite. Costoro, però, recriminano con la natura, con la pioggia, con il terreno o con la montagna che è crollat,a non capendo che da sempre nel mondo accadono questi eventi e non è la natura a doversi adattare ma sono gli uomini, abitanti del mondo, a dover capire quali sono i segnali e vivere la propria casa, che è la Terra, nel modo corretto.
A questo proposito, Tozzi ricorda continuamente nel suo monologo il concetto di “memoria” del popolo circa il saper abitare un territorio, il che non significa volerlo possedere e piegare alla proprie esigenze ciò che esso ha da offrire, ma significa sentirsi, con profonda umiltà, ospiti dello stesso e, in quanto tali, stare alle sue regole. Le antiche popolazioni indigene dello Sri Lanka, racconta il geologo, ben coltivavano questa memoria e per questo sapevano che era vietato costruire abitazioni sulla costa: le case andavano edificate nell’entroterra, possibilmente in zone sopraelevate. Un antico ricordo, tramandato di generazione in generazione dai racconti degli avi, insegnava che il mare è imprevedibile. Gli occidentali, però, volevano la bella vista e la comodità, per questo costruirono luoghi di villeggiatura laddove le maree e gli tsunami giungevano senza avvisare, mangiando anche ettari di verde e abbattendo alberi che – l’antica saggezza popolare lo insegnava – potevano aiutare a frenare un’onda improvvisa. Nel 2004 gli occidentali villeggianti morirono quasi tutti. Gli indigeni no. Eppure nessuno di loro aveva un dispositivo tecnologico che poteva prevedere le onde anomale.
Lo spettacolo si conclude con la chitarra di Fabi, Una buona idea, un pezzo di produzione propria che fa riflettere su quanto l’uomo odierno sia orfano dei valori che più lo legano alla natura e alla sostenibilità delle proprie azioni. Tra le parole è chiaro il significato che ciò che succede è per la maggior parte frutto delle nostre azioni, di uomini che hanno imprigionato i fiumi e piangono quando questi si riprendono il loro naturale letto, che hanno scavato le montagne e si lamentano quando crollano per riempire le miniere, che tagliano gli alberi per far spazio alle fabbriche e si lamentano quando respirano più smog che ossigeno.