Munch Il grido interiore è la mostra che sta spopolando a Palazzo Reale a Milano, raccogliendo tantissimi visitatori ogni giorno. Il precursore dell’Espressionismo per antonomasia, Edvard Munch, è un artista di un’attualità disarmante. Basti pensare che tra le nostre emoticon che usiamo ogni giorno c’è proprio quella ispirata al suo capolavoro L’urlo. Come spesso accade, il mainstream travolge gli artisti facendoli diventare ormai fin troppo ovvi. È accaduto per Vincent Van Gogh, la cui Notte stellata troviamo praticamente ovunque. Anche L’urlo è diventato troppo celebre forse, ecco perché una mostra così completa è molto utile per consentire a chiunque di comprendere la complessità del lavoro del genio norvegese.
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Non è il luogo per dibattere sulla mercificazione dell’arte e dell’artista e su quanto, come ha osservato Walter Benjamin, l’arte risenta sempre di più della smania della fotografia del possesso più che di un reale apprezzamento. Tuttavia nel caso di questa mostra tale dibattito risulta forse fin troppo puntuale. Se però si osservano attentamente i quadri di Edvard Munch esposti a Palazzo Reale, sarà possibile recuperare dell’arte la sua grande forza e intimità soprattutto emotiva.
L’esperienza della mostra Munch Il grido interiore
La mostra Munch Il grido interiore non ha bisogno di grandi pubblicità o presentazioni, ma forse come altre mostre avrebbe bisogno di una maggiore opportunità di essere fruita in modo tranquillo e limpido. Troppa, tanta gente che passa davanti i quadri, un pubblico poco centellinato, suggeriva qualcuno all’uscita che sarebbe meglio limitare l’accesso a gruppi numerosi nelle giornate del fine settimana. Il caos, poi, quando i prenotati online spesso sono scavalcati da chi ha giustamente fatto una lunga attesa, forse il personale carente, anche questo spossato, rende l’esperienza di ingresso un po’ burrascosa. Al netto dell’organizzazione che non va criticata, perché risente di problemi tipici in mostre così tanto ambite, Edvard Munch è un pittore che forse più di altri mette in difficoltà lo sguardo chi gli si approccia.
Ciò in quanto essere presenti di fronte alle nostre angosce non solo ci aliena dalla folla circostante, ma ci spinge all’autoriflessione. Osservare un quadro di questa mostra è come confrontarsi con le proprie ansie, le idiosincrasie, i momenti di fragilità. Una fragilità che riecheggia in ogni onda, in ogni tinta e perfino nella varietà delle tecniche. Non solo olio su tela, anzi, fiore all’occhiello della mostra sono le litografie e xilografie, soprattutto quella de L’Urlo, che non lascerà mai Oslo per la sua fragilità. Forse qualcuno rimarrà deluso, eppure è fondamentale non rimanere bloccati solo nell’ottica di vedere il dipinto più famoso, ma conoscere la grandezza globale e peculiare dell’opera magna di Edvard Munch.
Ecco noi siamo come quel quadro, frangibili, eppure così esposti dal lavoro di Edvard Munch così brillantemente illustrato nella mostra Munch Il grido interiore.
L’immagine dell’angoscia: dalla Disperazione alla Consolazione
De L’Ansia, per esempio, non abbiamo davanti il quadro che tutti magari conosciamo, bensì una xilografia, cosa che succede anche per altri quadri famosi. Ognuno di questi lavori ha al suo interno una grande potenza emotiva. In Disperazione, il cui sfondo riecheggia quello de L’Urlo, il dolore si manifesta con una forza devastante. La figura umana è isolata in un paesaggio con colori caldi ma anche freddi e linee ondulate, la sensazione è quella di rassegnazione e appunto disperazione, di fronte all’indifferenza degli amici sullo sfondo che vanno avanti senza rendersi conto di cosa sta accadendo dentro il protagonista. In un’epoca in cui la salute mentale è un tema caldo, un simile quadro, esposto alla mercé di tutti, forse è essenziale. Anche se forse ne abusiamo, l’arte rivela la sua potenza proprio in questo frangente.
Sul potere curativo dell’altro, lasciando da parte l’indifferenza, Consolazione è un riferimento quantomeno puntuale. Anche questo capolavoro è esposto alla mostra e porge una candida carezza rispetto ai quadri più sofferenti e tragici che troviamo nell’esposizione. Troviamo la consolazione emotiva di due figure in cui le mani, di un rosso incandescente, si confondono con il viso come quando ci troviamo disperati, ma accanto a noi c’è qualcuno. Qui, l’arte diventa un balsamo per le nostre ferite.
Le mie sofferenze fanno parte di me stesso e della mia arte. Sono indistinguibili da me, e la loro distruzione distruggerebbe la mia arte. Voglio conservare quelle sofferenze.
L’amore, l’angoscia e la vita
Ci sarebbero tantissimi altri temi da citare in merito alla mostra Munch Il grido interiore, i quadri hanno una varietà a dir poco disarmante. La malattia e la morte trovano grande spazio con riferimenti a teschi, immagini macabre, momenti di lutto, ma alla malattia del corpo corrisponde spesso anche quella dell’anima. Troviamo riferimenti alle tormentate vicende amorose di Edvard Munch, insieme alla figura in L’Ansia che racconta con figure senza volto questa maledizione che affligge soprattutto i giovani in quest’epoca. Il disagio universale, che trova nel capolavoro L’urlo il massimo splendore come resa, è palpabile in ogni tela.
L’urlo è, naturalmente, la figura più iconica di Edvard Munch, la mostra è corredata da un filmato che ne racconta il furto e la storia.
All’ingresso i fruitori possono anche fotografare se stessi mettendo il volto “dentro” una riproduzione de L’Urlo, come si fa nelle fiere. Questo elemento, insieme ad altri momenti interattivi (è presente una sezione dove si possono ricalcare coi pastelli dei quadri del pittore) contribuisce a non rendere la mostra un’esperienza unicamente cupa. Questo perché dietro l’angoscia dell’angoscia di Edvard Munch c’è anche la speranza: quella dell’arte, della vita, ma anche dell’amore.
L’amore trova spazio non solo nei quadri autobiografici, ma anche nel capolavoro Il Bacio, dove Edvard Munch rappresenta l’amore ma anche l’inquietudine. I volti degli amanti si fondono in un unico contorno, perdendo i propri tratti distintivi. L’amore come unione è un topos artistico e letterario, ma il quadro può avere doppia valenza: arricchimento, eppure anche perdita di se stessi quando si è totalmente presi da qualcun altro.
L’intensità emotiva raggiunge tonalità cupe con Il Vampiro, dove in teoria c’è un abbraccio, ma nella pratica la donna sembra quasi una predatrice.
Osservare Munch per osservare se stessi
Attraverso questi capolavori, Edvard Munch non si limita a rappresentare le sue e le nostre emozioni, ma ci concede ci capirne il vero “grido interiore”. Quello che è dentro di noi viene meravigliosamente portato fuori grazie a una combinazione di colori, atmosfere e vulnerabilità analizzate. Sofferenza, ma anche bellezza. Sicuramente come sempre qualcuno accederà a questo studio brillante delle emozioni umane solo per fotografare, o perché invitato da un amico, o semplicemente incuriosito. Tuttavia, a un certo punto, non si può scappare dalla complessità emotiva che ogni quadro rivelerà.
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La mostra Munch Il grido interiore si configura come un’esperienza estremamente dicotomica. Abbiamo, infatti, la folla interno, il centro di Milano caotico e gremito fuori, esperienze interattive e manovre di marketing che trasformano, come sempre, l’arte in prodotto. Ma poi, all’improvviso, ci fermiamo davanti a un quadro, e lui ci legge dentro, mentre sprofondiamo dentro la sua realtà anche noi.
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