Per la prima volta insieme, tre dei più grandi musei trentini (Mart – Museo di arte moderna e contemporanea, Muse – Museo delle scienze e METS – Museo etnografico) uniscono le forze – e le collezioni – per la realizzazione di una mostra-evento dal sapore orientale e magico, che racconta la storia e l’attualità del rapporto tra l’uomo e la natura, o, più in generale, tra l’uomo e ciò che è altro da lui. Inaugurata il 17 dicembre scorso, la mostra Sciamani si divide tra gli spazi di Palazzo delle Albere a Trento e quelli del Museo etnografico trentino di San Michele all’Adige ed è visitabile sino al 30 giugno 2024.
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Sciamani e Oriente
Tra i temi più affascinanti e misteriosi della storia umana e delle sue tradizioni, lo sciamanismo è, come facilmente intuibile, al centro della mostra, affrontato da molteplici punti di vista. L’approccio è infatti multidisciplinare e si avvale della storia, così come dell’antropologia, della musica, dell’arte, della psicologia per approfondire un argomento così ampio, complesso e, apparentemente, lontano dalla cultura occidentale. Le aree geografiche protagoniste dello studio e, dunque, dell’esposizione, sono infatti quelle di Cina, Siberia e Mongolia.
Ad accompagnare la visita non sono (solo) i classici pannelli didattici o i video in cui gli esperti raccontano delle proprie ricerche, ma musica e reperti vari e dal forte impatto visivo, come gli abiti e gli strumenti tipici degli sciamani delle aree trattate, maschere, statuette rituali, pitture su pietra e molto altro. Tutto concorre a creare un ambiente immersivo ed eterogeneo, senza dubbio ricco di fascino e capace di stimolare la curiosità di chiunque. Ciò è dovuto anche al fatto che ognuno dei tre musei coinvolti ha curato una sezione in base alle proprie competenze e specificità. Partner centrale della mostra è la Fondazione Sergio Poggianella, dalla quale provengono oltre cento dei manufatti esposti.
Il fascino dello sciamanismo sull’arte
Il pensiero comune quando si parla di sciamanismo riporta immediatamente a un’atmosfera quasi magica, fatta di maschere e costumi particolari e specifici che accompagnano rituali arcaici, allucinazioni, danze e musiche. Ciò che però emerge visitando la mostra Sciamani a Trento è piuttosto l’idea che queste figure ataviche – eppure ancora presenti e fondamentali in alcune culture – siano i più antichi mediatori tra l’uomo e la natura. Un immaginario che certo non poteva lasciare indifferente il mondo dell’arte contemporanea. In particolare, a partire dagli anni Sessanta il tema dell’Antropocene e della distruzione della natura da parte dell’uomo, dunque della necessità da parte di quest’ultimo di ritrovare un contatto con la prima, invade la poetica di moltissimi artisti – basti pensare allo sviluppo proprio in quel periodo della cosiddetta Land Art.
È nella sezione curata dal Mart di Rovereto che il tema dello sciamanismo si esprime e presenta attraverso le opere di alcuni degli artisti contemporanei più conosciuti. Da Daniel Spoerri a Suzanne Lacy, da mostri sacri come Hamish Fulton e Marina Abramović al giovane artista di origini cilene ma naturalizzato trentino David Aaron Angeli, quaranta sono le opere esposte, frutto del lavoro degli ultimi settant’anni di ventisei artisti. In alcune di queste, il legame con l’immaginario sciamanico è evidente e diretto, in altri casi si tratta piuttosto di una fascinazione e di un rimando, una contaminazione che va a integrarsi con la cultura originaria dell’autore.
Certamente un ruolo centrale lo occupa Joseph Beuys, considerato l’artista-sciamano per eccellenza. Quello che può essere visto come il filo rosso che unisce le opere di questa sezione, infatti, è il tema ambientalista, che ha rappresentato per l’artista tedesco una fonte inesauribile di ispirazione, oltre che un campo d’azione artistica del tutto unico per gli anni in cui opera. Opera-manifesto importantissima di Beuys è infatti Difesa della natura.
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Oltre la centralità dell’uomo
Ciò che la mostra Sciamani a Trento riesce con immediatezza e chiarezza a comunicare allo spettatore è la necessità antica, perenne, eppure sempre più urgente di convivenza dell’uomo con ciò che è altro, diverso da lui. L’accettazione e, ancora meglio, la realizzazione dell’appartenenza dell’umanità alla natura, al mondo animale, ma anche vegetale e spirituale, è probabilmente l’unica via d’uscita da un’opposizione creata e perseguita dall’uomo che sta portando alla sua autodistruzione.
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