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Cosa resta della tragedia: «Morte di un commesso viaggiatore»

Il capolavoro «Morte di un commesso viaggiatore» di Arthur Miller in scena al Teatro Franco Parenti di Milano fino al 1° maggio 2022

2 minuti di lettura

Prima, la causa

Se la concatenazione di cause ed effetti diventa confusa, avviluppandosi su stessa e aggrovigliandosi in quello che più che un circolo vizioso pare un vortice, è inevitabile perdere di vista qualsiasi riferimento spaziotemporale.

Ben prima – e senza alcuna volontà – di sminuire il principio di causalità appiattendolo biecamente sulla linea tempo, bisogna pur riconoscere quanto il nesso che si instaura tra le conseguenze e le cause sia un ottimo indicatore rispetto all’ordine consequenziale degli eventi.

Viceversa, la mancanza di una causa (o piuttosto il mancato riconoscimento di una causa, dovuto a indolenza o miopia) decreta come unica detentrice la casualità, e il loop è inevitabile. I piani temporali si sfalsano, sovrapponendosi sino a schiacciarsi l’uno sull’altro, perdendo quello spessore di realtà che i fatti accaduti avrebbero se lasciati al proprio posto, per quanto lontano possa essere.

Il tempo del passato

Rapportarsi al passato rappresenta un interrogativo che forse necessita di restare tale, senza l’arrogante pretesa di trovare un punto di risoluzione: tuttavia tanto la più intellettuale memoria, quanto l’accorato ricordo entrano in gioco a patto di riconoscere come passati certi avvenimenti, causati da qualcosa che li ha resi conseguenze e non semplici accadimenti casuali.

La sovrapposizione casuale degli eventi ne determina quella contemporaneità che li rende indistinguibili, privi di quei contorni temporali che li possano caratterizzare dando loro una dimensione di realtà.

Il caso è privo di dimensione, celato dalla segretezza amorfa che gli compete: senza le coordinate spaziotemporali diventiamo puntini isolati di un piano infinitamente statico, in cui è impossibile muoversi, ma solo stagnare in una condizione umana di abietta desolazione.

Il dramma di oggi

Proprio l’incapacità di discernere i piani temporali è il segnale da cui si evince il dramma di chi non riesce, o forse non vuole ricostruire la catena di cause ed effetti che gli permettono di dare un ordinamento di senso alla propria esistenza.

Tanto particolare quanto indice di una condizione umana universale, l’immensità drammaturgica di Arthur Miller scelse di immaginare tale circostanza nei panni dell’uomo borghese figlio del sogno americano, Willy Loman, protagonista del capolavoro Morte di un commesso viaggiatore, fortunatamente in scena al Teatro Franco Parenti di Milano dal 20 aprile al 1° maggio 2022.

La magistrale e coraggiosa interpretazione di Michele Placido e Alvia Reale, con Fabio Mascagni, Michele Venitucci, Duccio Camerini, Stefano Quatrosi, Beniamino Zannoni, Paolo Gattini, Caterina Paolinelli, Margherita Mannino, Gianluca Pantosti ed Eleonora Panizzo, grazie alla regia di Leo Muscato regala al pubblico la possibilità di interrogarsi sulla natura della tragedia nei tempi moderni e contemporanei.

Il tempo della causa

L’acuta (oltre che coerente dal punto di vista drammaturgico) scelta di tradurre come continuum visivo scene collocate tra passato e presente in maniera sfalsata – proprio perché priva del discernimento causale degli eventi – è la chiave immaginativa di Morte di un commesso viaggiatore. La statura nobile e valorosa della fine tragica che spetta all’eroe, che combatte ardimentoso contro il proprio destino ineluttabile, si tramuta, ai giorni tanto nostri quanto quelli di Miller, nella bassezza di un fallimento riconosciuto come tale solo nell’attimo fatale della fine.

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L’auto sabotaggio è la cifra della nuova tragedia, un dramma tutto umano, dove la pretesa dell’autorealizzazione soppianta qualsiasi altro valore e non lascia spazio a una lucida e consapevole assunzione di responsabilità.

Nel momento in cui Willy Loman non si riconosce come artefice del proprio destino, proiettando sugli altri le proprie disgrazie, inizia a soccombere, affossandosi nella palude stagnante di un passato e di un presente che perdono di sostanza, accomunati dal falso mito del successo, del guadagno, del costruirsi un futuro che può solo poggiare sulla vacuità mistificatrice della autorealizzazione.

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Anastasia Ciocca

Instancabile sognatrice dal 1995, dopo il soggiorno universitario triennale nella Capitale, termina gli studi filosofici a Milano, dove vive la passione per il teatro, sperimentandone le infinite possibilità: spettatrice per diletto, critica all’occasione, autrice come aspirazione presente e futura.

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