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Morte a Il Cairo: Giulio Regeni,
gli indifferenti
e la Libertà in Egitto

4 minuti di lettura

di Mattia Marasti

Giulio Regeni Fonte: today.it
Giulio Regeni
Fonte: today.it

Giulio Regeni in Egitto ci si era recato per il suo dottorato con l’università di Cambridge. Aveva scritto alcuni articoli per Il Manifesto, poi pubblicati sotto pseudonimo. In Egitto aveva contatti con il movimento sindacale e con alcuni movimenti anti-governativi: c’è chi dice anche che avesse partecipato a riunioni dell’opposizione. Il 25 gennaio, verso sera, doveva incontrarsi con un amico per un compleanno. Giulio è salito in metropolitana. Poi non si è più saputo nulla.

Solo qualche giorno dopo, il 3 febbraio, il corpo di Giulio è stato ritrovato sul ciglio di una strada, alla periferia de Il Cairo. Sul corpo erano presenti  evidenti segni di lesioni, torture e altre cicatrici (i segni di bruciatura e violenza sessuale sono state rettificate dalle autorità). Alcune fonti hanno affermato che i segni sul corpo di Regeni corrispondessero a quelli inferti in altre occasioni dalle autorità egiziane ai torturati. Le autorità egiziane hanno fin da subito ipotizzato la rapina, ipotesi che però non ha convinto del tutto le autorità occidentali. Pare infatti che il regime egiziano, infatti, non vedesse di buon occhio il ruolo di Regeni e la sua vicinanza a movimenti di opposizione.

Occorre specificare che in Egitto la situazione non è delle più rosee. Dopo il colpo di stato del 2011, in cui venne deposto il capo di stato Hosni Mubarak, si sono svolte libere elezioni, con il conseguente trionfo dei Fratelli Musulmani e l’elezione di Mohamed Morsi. Certo, la formazione dei Fratelli Musulmani non è un esempio di liberalismo e illuminismo, anzi, affonda le proprie radici nel diritto religioso e si è dimostrata abbastanza restìa al dialogo con le opposizioni, ma si è trattato comunque del risultato di elezioni democratiche, le prime in Egitto.

Dopo appena un anno però, anche il leader democraticamente eletto è stato deposto da un’altra giunta militare. Il potere è stato così assunto da Abd al-Fattah al-Sisi, militare e politico egiziano. Fin da subito la sua “presidenza” è stata caratterizzata da innumerevoli interventi a livello economico, atti a garantire una situazione più stabile per l’Egitto e mirati alla riduzione della spesa pubblica. A questi ne sono stati affiancati altri con lo scopo di garantire stabilità e un ruolo geopolitico più importante per il paese, instaurando un rapporto di amicizia con la Russia di Vladimir Putin. Tuttavia, le riforme di al-Sisi non sono state del tutto soddisfacenti e ancora oggi l’Egitto si ritrova in una situazione economica disastrosa. Come se non bastasse, il governo di al-Sisi è stato caratterizzato da una sospensione di diritti e da costanti persecuzioni e violenze. Tanto per citare un esempio, alle ultime elezioni il politico egiziano ha ottenuto il 90% dei voti, con elezioni allungate di un giorno e una campagna a tutto campo, con toni quasi mistici, per spingere i cittadini a votare. Gli oppositori molto spesso hanno subito (e subiranno ancora) intimidazioni, come è avvenuto con i Fratelli Musulmani o con altri contestatori. Secondo Amnesty International, durante questo governo il mondo accademico e la libertà di stampa sono stati notevolmente osteggiati.

E proprio questo porta a pensare a un coinvolgimento del governo nell’affaire Regeni. Molti accademici occidentali hanno firmato un appello affinché il governo egiziano prosegua nelle indagini in modo imparziale e rigoroso. Un altro appello, anche questo firmato da accademici, lancia un vero e proprio atto di accusa nei confronti del governo egiziano, reo di aver eliminato Regeni per la sua ricerca. Qualcuno ha ipotizzato che siano state le forze di polizia del regime a uccidere Giulio con torture, sadiche e terribili, per poi mantenerlo nell’obitorio per giorni, fino all’inizio delle ricerche, quando invece sarebbe stato lasciato per strada, inscenando poi la rapina (cosa che, secondo le autorità egiziane, spiegherebbe anche la mancanza del telefono).

«Chi va in Egitto, lo sa com’è la situazione, deve assumersi le sue responsabilità» è stato questo il leitmotiv di questi giorni. Una buona parte della popolazione lo ha ripetuto davanti agli schermi della televisione, mentre i telegiornali passavano la notizia della morte di Giulio Regeni. Altri lo hanno scritto, a caratteri maiuscoli, sui social network, commentando gli articoli dei principali giornali.

Ma Giulio Regeni non è nient’altro che la messa in pratica del motto gramsciano «odio gli indifferenti». Il suo impegno concreto di ricerca e documentazione su situazioni delicate, pagate con la vita, lo innalzano a esempio contro l’omertà e la paralisi. Sparsi per il mondo ci sono numerosi Regeni, italiani e non, giovani studiosi che lavorano in paesi dove la libertà di espressione è più che mai limitata e che rischiano ogni giorno di morire per le loro ricerche: snobbarli, appigliandosi alla cosiddetta responsabilità unita alla coscienza del pericolo, significa cercare scappatoie per non parlare di un problema che esiste e cioè la sicurezza di coloro che rischiano per contribuire al progresso – che sia scientifico, economico, culturale o umanitario – del paese o del mondo. Recepire il significato della vicenda porterà a riaffermare due principi cardine della democrazia liberale, sempre più essenziali in questo momento: da una parte la libertà di ricerca, che non può essere ostacolata dal moralismo o dall’opportunismo politico; dall’altra la libertà di parola, che Regeni non ha avuto, avendo pubblicato articoli sotto pseudonimo per paura, come accennato precedentemente. Questo discorso che ci appare lontano, nello spazio e nel tempo, non riguarda invece solo le località arabe o orientali, ma anche paesi come la Russia e, anche se difficilmente lo si ammette, alcuni stati interni all’Unione Europea.

Ciò che più conta comunque, in questo momento, sono le indagini per la morte di Regeni. Il governo italiano, infatti, è un cane che si morde la coda. Se dovessero essere confermate le indiscrezioni, allora il governo dovrà decidere se impuntarsi e perdere un partner commerciale come l’Egitto o garantire giustizia per Giulio Regeni e sicurezza, in futuro, per i suoi cittadini all’estero.

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Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

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