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Monsieur Vénus di rachilde

L’eros sovversivo di Rachilde in «Monsieur Vénus»

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2 minuti di lettura

Crea in trance Marguerite Eymery, elabora il suo talento mediante il filtro dell’occultismo. Figlia di un militare austero, scandalizzato dalla scrittura, adotta un nome de plume che è escamotage distanziante – una tecnica di emersione già indicativa della sua cifra. Con spirito audace, sul filo del misticismo, individua in presenze e voci le sue sorgenti di ispirazione, quel magma originario da cui ri-nasce Rachilde. È nella Parigi fin de siècle che le visioni si fanno testo: sospesa fra umori e istinti l’autrice elabora dati nuovi, topoi grotteschi e sovente estremi portati al limite del ribaltamento. Tutta l’opera di Rachilde rivela un’attrazione per la dis-misura. Non vi è cliché che non sia abbattuto, motivo dominante che resti immune. Così in Monsieur Vénus (1884), il suo romanzo più celebre, una splendida fantasmagoria in chiave di genere – referto erotico e impietoso della mentalità patriarcale.

Rodolfa, femme disturbante

Apprezzato da Barrès per la «frenesia sessuale», carico di «pimenti» ferini e irati, il testo narra la storia di Rodolfa de Vénérande, perfetto campione di una femminilità disturbante:

Era grande, ben fatta, con il collo morbidamente femminile. […] le caviglie sottili, l’andatura un po’ alterna, le ondulazioni che, sotto i veli della femmina, rivelano il corpo felino. La sua fisionomia dalla espressione dura non seduceva affatto. […] Le labbra sottili, sfumate agli angoli, attenuavano in modo spiacevole il disegno puro della bocca. I capelli erano scuri, avvolti sulla nuca […]. Nerissimi, con riflessi metallici sotto le lunghe ciglia ricurve, gli occhi diventavano due carboni accesi quando la passione li illuminava.

Attratta dal fiorista Giacomo Silvert, ne traccia un ritratto curiosamente speculare, giocato su metafore animali e corrispondenze psico-fisiche:

Il fratello di Maria Silvert era rosso di capelli, un rosso molto scuro, quasi fulvo, le anche tarchiate con le gambe dritte, sottili alle caviglie. […] Sotto le ciglia nere molto marcate, i suoi occhi stranamente oscuri avevano qualcosa di bestiale […]. Ad intervalli i suoi denti si mostravano così bianchi tra le labbra troppo rosse che sembrava impossibile che quelle gocce di latte non si essiccassero fra i due carboni accesi. Il mento aveva una piccola piega, la piega del neonato che ingrassa. La mano abbastanza larga, la voce rude, e i capelli folti e spessi erano in lui i soli indizi rivelatori del sesso.

Monsieur Vénus di rachilde
Rachilde, Monsieur Vénus (etching by Leonor Fini, 1972)

Scambio di generi

La descrizione già quasi anticipa il fuoco privilegiato dell’opera, quell’inversione di generi tanto cara a Rachilde. Efebico e fragile («guardava come guardano i cani sofferenti che implorano aiuto») Giacomo è indirizzato a un destino di amata, mentre Rodolfa assume i tratti dell’uomo-donna dominante.

Si tratta, al netto di un eros polimorfo, dello sbeffeggiamento della normatività. Persino gli amplessi fra i due – «spaventose vertigini» – non recano traccia alcuna di machismo o virilità: «Il corpo della giovane donna vibrò dai piedi alla testa sentendo il lamento torturante di quest’uomo che non era che un fanciullo dinnanzi alla sua scienza maledetta».

«Monsieur Vénus», eros e sovversione

Il turbinio degli eventi di Monsieur Vénus chiama in causa triangoli, fredde macchinazioni, adulteri mediati. Giacomo miete un’altra vittima, l’energico barone di Raittolbe già amante della sorella e pretendente di Rodolfa. Non è che un ribaltamento di ruoli, l’ennesima abrasione dei confini tracciati. Vestito da donna – con gli abiti dell’amata – il giovane si concede alle bramosie di Raittolbe. Da qui l’epilogo tragico, tra parossismi d’ira e un’estenuata necrofilia.

Lavata l’onta del tradimento (per interposta persona!), Rodolfa fa imbalsamare il suo «Eros di marmo», ridotto a idolo-fantoccio per gli amanti che ha smascherato. È un’estrema perturbazione, il sovvertimento totale delle costruzioni identitarie.  

 


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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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