El Greco, nome d’arte di Domìnikos Theotokòpoulos (Candia, 1541 – Toledo, 1614), fu uno degli artisti più importanti del Rinascimento spagnolo.
El Greco: la vita
Nacque a Creta, al tempo facente parte della Repubblica di Venezia, dove si sviluppava da secoli, sempre più florida, la Scuola cretese, un movimento pittorico post-bizantino.
Nel 1567 l’artista si trasferì nella Serenissima per confrontarsi in modo diretto con le botteghe di Tiziano, di Tintoretto, di Bassano e di Veronese. La loro arte si rivelò una fonte di ispirazione per rinnovare la materia, ancora bizantina, del suo linguaggio pittorico: la sconvolgente realtà occidentale ebbe sull’artista la forza di una sorta di rivelazione religiosa.
Pochi anni dopo si spostò a Roma, dove aprì una sua bottega. Tuttavia a causa dell’insofferenza nutrita verso l’élite intellettuale romana e dello scoppio della peste nel 1575, decise, nel 1577, di stanziarsi a Toledo, dove ricevette importanti commissioni e realizzò alcune delle sue opere più importanti. Durante la sua permanenza qui i temi sacri si alternarono ai ritratti e lo stile si fece più fluido e dinamico: la luce vivida e frammentata si compose con uno spazio smaterializzato e vibrante.
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El Greco: il linguaggio pittorico
Il linguaggio di El Greco era maturato, brillando per la sua inusuale originalità: una sintassi pittorica completamente scissa dalla realtà, lirica ed onirica, inquieta e grandiosa, drammatica e scomposta. La sua estrosa arte cretese si diffuse per tutta la Spagna e la sua grammatica in bilico tra oriente e occidente, sospesa tra elementi cattolici e ortodossi, era diversa da quella di qualsiasi altro artista spagnolo o italiano: mistica di luce e dinamismo di forme trasparivano dalle sue tele.
Un carattere “difficile”
Il pittore, dal carattere altezzoso e infiammante, non era un personaggio conciliante e negli anni in cui operò non godette certo di una gran fama. Criticò pubblicamente Michelangelo inimicandosi l’intera curia pontificia e arrivato a Toledo non riuscì nemmeno a ingraziarsi i canonici della cattedrale e re Filippo II di Spagna, che proprio in quel momento stava facendo decorare la reggia-monastero dell’Escorial.
Non assecondando i gusti dei suoi committenti, impose loro una pittura complessa, sinuosa e quasi allucinata: per la Sagrestia del Duomo di Toledo realizzò Espolio e per l’Escorial Il Martirio di San Maurizio. I quadri vennero accettati e pagati, ma non vennero più commissionate tele importanti all’autore, segno che lo stile impegnato di quelle opere non era stato gradito.
Il sogno di “diventare pittore del re” e di dipingere l’intero Escorial si dissolse presto, anche se rimanendo a Toledo El Greco riuscì a sopravvivere grazie alle committenze di conventi, parroci e intenditori locali, realizzando vari capolavori, che non bastarono però a salvarlo dall’oblio in cui incorse subito dopo la morte.
La riscoperta nell’800 dopo l’oblio
Fu necessario aspettare l’Ottocento per una rivalutazione e una riscoperta del suo stile, intriso di originalità e modernità: da pittore reietto si trasformò in un modello da cui trarre idee, ispirazione e linfa vitale.
La prima tappa di questa riscoperta avvenne al Louvre, nel 1838, dove re Luigi Filippo d’Orleans aveva fatto allestire una Galleria Spagnola, esponendo nove quadri di El Greco. Théophile Gautier ed Eugène Delacroix visitarono la nuova sezione e rimasero colpiti dalle opere dell’artista, così ne parlarono e ne scrissero con entusiasmo, attirando l’attenzione di molti. Il passaparola fu immediato e molti collezionisti (tra cui il re di Spagna Ferdinando VII) passarono al setaccio chiese e monasteri di Toledo con l’intento di acquistare le sue opere, gran parte delle quali venne inviata al Museo del Prado, da poco aperto.
Tra il XIX e XX secolo la Spagna si “appropriò” di El Greco, ergendolo a eroe nazionale: nel 1902 il Prado organizzò la prima grande mostra a lui dedicata e nel 1908 Manuel Cossìo organizzò il primo catalogo ragionato del pittore. Inoltre, a Toledo venne individuata la casa in cui si pensava fosse vissuto e avesse lavorato l’artista – individuazione che si rivelerà poi essere infondata – e, dopo essere stata acquistata, restaurata e adornata con opere del maestro, nel 1910 venne aperta al pubblico.
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Espolio: un’analisi dell’opera
Gesù Cristo, in primo piano, con uno sguardo sereno rivolto al cielo, viene privato della veste rossa che gli era stata fatta indossare al momento della flagellazione, beffarda parodia dei manti purpurei degli imperatori romani. I soldati e gli aguzzini che, armeggiando lance, picche ed alabarde, lo circondano quasi stringendolo in una morsa, riducono la spazialità della scena.
Si noti il personaggio che, indicando il Cristo, guarda lo spettatore negli occhi, stabilendo così un contatto e accentuando un monito che sottintende la metamorfosi della morte sulla croce da ignominia a redenzione.
In basso a sinistra sono raffigurate Maria Maddalena, la Vergine e Maria di Cleofa, i cui sguardi sono rivolti all’unisono in direzione della croce, che un uomo si appresta a trivellare. La loro rappresentazione fornì un motivo di critica da parte del Capitolo della Cattedrale, che voleva per questo ridurre il prezzo dell’opera. In effetti, questi episodi non trovavano riscontro nei vangeli canonici, El Greco probabilmente aveva pensato a iconografie arcaiche o antiche rappresentazioni bizantine.
Bisogna specificare che questo tema era molto raro nella pittura cinquecentesca e che i pochi precedenti risalgono al periodo medievale o al primo Rinascimento.
L’appiattimento dello spazio e l’esaltazione gerarchica dei personaggi fanno supporre che il pittore abbia trattato la scena come una grande icona, filtrandola attraverso lo slancio, i volumi e i colori veneziani. Il colorismo dell’opera rimanda, infatti, al periodo trascorso a Venezia: splendido è, in particolare, il rosso della veste di Cristo che guida l’occhio dello spettatore verso il fulcro fisico e spirituale del dipinto.
Per El Greco il colore rappresentava l’elemento più importante e meno governabile, aveva la supremazia rispetto all’immagine. «Grandi macchie di colori puri e non mescolati, come fossero immodesti segni della sua abilità»: queste le parole del pittore Francesco Pacheco del Rio dopo una visita nel 1611.
Una compressione strutturale accentua il dinamismo delle pennellate, rendendo la natura mobile e vibrante, mai statica o rigidamente percepibile per schemi. L’arte di El Greco, proseguendo nella sua evoluzione tecnico-stilistica, non si è mai tradita; la ricerca della realtà naturale era un topos: giunse a modulare lo sguardo dei santi su quello dei pazzi del ricovero di Toledo, ritrovando in natura occhi che riflettessero per i comuni mortali la visione del sublime o dell’irreprensibile.
Nicole Erbetti
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