I conflitti in cui lo Stato di Israele è stato coinvolto nella sua relativamente breve storia sono legati alla sua stessa sopravvivenza, ma ancora più evidentemente al bisogno di legittimarsi a esistere, volendo dimostrare un ruolo da protagonista nello scenario in cui si è trovato e la potenza dei suoi abitanti come popolo finalmente libero; da ciò sono venute guerre offensive e difensive, guidate da scelte diplomatiche e propagandistiche, e la creazione di miti fondativi.
Le diverse generazioni di storici israeliani hanno partecipato attivamente al dibattito sul nuovo Stato, con i più giovani impegnati a criticare i più anziani: l’accusa è quella di aver trascurato le radici nazionaliste e politiche del sionismo, a favore del mito religioso di un semplice stato per gli ebrei. Un’idea, quest’ultima, decisamente riduttiva, perché il sionismo nacque sulla scia dei nazionalismi ottocenteschi e non si può isolarlo da certe dinamiche solo perché è stata coinvolta anche una componente religiosa decisiva.
Andare a caccia di un ideale nazionale israeliano (o ebraico) nel passato è un’impresa difficile e influenzabile da posizioni ideologiche. Il dibattito è ancora aperto addirittura sulla reale esistenza di un antico Regno di Israele unitario, tra X e VIII secolo a.C., ma non è stato un problema per la narrazione nazionale israeliana, che ha numerosi miti a cui attingere, senza dover tornare indietro fino ai tempi del fantomatico Regno. Qualcuno trova interessanti le parole del poeta e filosofo medievale Juda Halevi (1075 circa – 1141), secondo il quale il territorio intorno a Gerusalemme, al centro dei quattro climi e dei tre continenti, era il luogo perfetto per costruire un regno ebraico.