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Tanti miti, un solo diluvio

Un filo rosso lega molti miti dell'antichità: il diluvio. Quali sono le caratteristiche di queste narrazioni leggendarie? E perché ritroviamo lo stesso mito in popoli diversi?

6 minuti di lettura

Il mito è lo strumento più ancestrale (e forse il più bello) di cui l’umanità disponga per dare una spiegazione all’inspiegabile; si tratta di narrazioni che coinvolgevano esseri umani, eroi o divinità e con cui si cercava di comprendere e accettare lo stato delle cose: l’alternarsi delle stagioni, la fondazione delle città, le differenze tra gli esseri umani, ma anche l’inevitabilità della morte e l’amore.

Il fascino antropologico e storico del mito è quindi enorme, dato che nella maggioranza dei casi nasceva oralmente in tempi andati perduti, in tradizioni familiari o popolari sprofondate nella notte dei tempi e che non hanno lasciato altre tracce se non proprio nei loro racconti. Studiare i miti delle civiltà più antiche significa anche studiare le civiltà stesse, perché da essi estrapoliamo modi di vivere e di pensare – quando non addirittura intere parti della storia – delle prime società organizzate e stanziali del pianeta.

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Prima di immergerci nei miti del diluvio dobbiamo ricordare che spesso esseri umani diversi si trovano davanti agli stessi problemi e agli stessi drammi, anche se appartengono a popoli tra loro lontanissimi. Potrebbero dare quindi spiegazioni uguali o simili a uno stesso fenomeno, anche senza che ci sia stata una diretta contaminazione tra le loro narrazioni. Insomma: a miti simili non corrisponde necessariamente un’identica origine, ma possono darci degli indizi sui sistemi di credenze dell’umanità nel senso più generale possibile. È facile cadere nelle trappole del «se entrambi i popoli hanno inventato questa soluzione, allora avranno dialogato tra loro o avranno qualcosa in comune». Talvolta è così – e probabilmente i tre miti del diluvio di questo articolo lo sono – talvolta le coincidenze sono pressoché casuali. Nel contempo, e più semplicemente, possiamo immaginare che se tra diversi popoli ci sono stati contatti e quindi contaminazioni culturali, o addirittura se condividono la stessa origine o provenienza geografica, sarà più semplice rintracciare elementi in comune nelle loro mitologie.

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Noè alla vigilia del diluvio. Fonte: Wikipedia

Partendo da queste premesse forse non ci stupisce troppo trovarci davanti a versioni di miti raccontate da popoli diversi ma che sotto alcuni punti di vista sono effettivamente quasi uguali. Un caso su tutti è quello dei miti del diluvio, che hanno sempre un andamento simile: in linea di massima l’umanità fa arrabbiare una o più divinità e la punizione è una gigantesca inondazione che stermina tutte le forme di vita; eccezion fatta per i pochi che, avvisati dell’imminente sciagura grazie alla loro virtù, hanno il tempo di prepararsi e di salvare sé stessi, le loro famiglie ed eventualmente altre forme di vita.

Il primo mito a riguardo è quello dell’immortale Utnapishtim (in lingua babilonese, noto come Ziusudra in sumero, o Atrahasis in accadico), uno dei personaggi presenti nell’Epopea di Gilgamesh. Con quest’ultimo nome si definisce la raccolta di avventure legate al mitico re sumero, messe per iscritto per la prima volta prima intorno al 1700 a.C. ma circolanti almeno dalla fine del millennio precedente.

Durante la sua ricerca di un rimedio contro la mortalità degli uomini (destinata a un pedagogico insuccesso), Gilgamesh incontra Utnapishtim, che per l’occasione ci narra la sua storia: a causa del troppo rumore causato dall’umanità, gli dèi, sotto la guida di Enlil, si erano arrabbiati e avevano deciso di sterminarla con un diluvio; Utnapishtim, re della città di Šuruppak, era particolarmente devoto al dio Ea, che gli suggerì in sogno come salvarsi. Gli consigliò di costruire una barca dalla forma per noi bizzarra, tanto lunga quanto larga; dopo sette giorni l’imbarcazione era pronta e l’eroe invitò a bordo tutti i suoi familiari, insieme agli operai che l’avevano aiutato nella costruzione e a tutti gli animali, domestici e selvatici, che era riuscito a trovare.

Dopo sei giorni e sei notti di pioggia, che avevano allagato la Terra spazzando via ogni forma di vita, Utnapishtim aveva liberato una colomba, che era però ritornata non avendo trovato terraferma e alberi su cui posarsi; una rondine aveva avuto la stessa sfortuna, ma alla fine un corvo aveva avuto più successo. L’arca dell’eroe si era incagliata sul monte Nisir. Utnapishtim aveva fatto grandi sacrifici per ringraziare gli dèi, che avevano quindi premiato la sua intraprendenza e i suoi sacrifici con la vita eterna.

Sembra una storia già sentita? La vicenda è in effetti quasi identica alla storia ebraica di Noè, in cui Dio punisce la corruzione morale degli umani con un diluvio. Anche qui a salvarsi è un uomo devoto e rispettoso, insieme alla sua famiglia e a una coppia di animali per ogni specie. Il mito biblico circolava sicuramente già dal 1400-1200 circa a.C., ma la prima stesura organizzata degli episodi della Genesi risale solo al VI-V secolo a.C.

Famoso è anche il diluvio che affrontarono Deucalione e Pirra, di origine e ambientazione greca ma noto soprattutto nella versione codificata dal latino Ovidio.

Dopo aver eliminato le prime due generazioni di uomini, quelle dell’età dell’oro e dell’argento, Zeus era scontento anche dell’ultima, quella del bronzo, perché si dedicava troppo alla guerra. Anche lui mandò un diluvio, dal quale si salvarono re Deucalione e sua moglie Pirra, naturalmente due persone pacifiche e devote. Con la loro piccola barca approdarono sulla cima del monte Parnaso, dove pregarono la dea della giustizia Temi di aiutarli a ripopolare il pianeta. Lei consigliò di gettarsi alle spalle le “ossa della grande madre”: presto i due capirono che la “grande madre” era la Terra, perciò le sue ossa dovevano essere le pietre. Cominciarono quindi a raccogliere sassi e lanciarseli alle spalle: quelli lanciati da Deucalione diventavano uomini, quelli lanciati da Pirra donne; così poté nascere una nuova generazione di umani.

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Deucalione e Pirra. Fonte: Wikipedia

Ciò che accomuna questi miti del diluvio (e numerosi altri impossibili da riassumere) è la sensazione di un ritrovato accordo con la divinità dopo che essa ha punito gli uomini per la loro esagerazione in qualche ambito: il caos per i mesopotamici, l’empietà per gli Ebrei, la bellicosità per i Greci, e così via. Quando l’umanità sbaglia, quindi, dopo la punizione le è concessa un’altra opportunità. In tutti e tre i casi a salvarsi sono persone virtuose, che vivono nel rispetto delle leggi degli dèi e della natura e quindi vengono premiate non solo con la salvezza (che sarebbe, di per sé, piuttosto sterile per i fini istruttivi che hanno spesso i miti), ma addirittura con una vita eterna e serena, o comunque con una vita lunghissima, e sempre con la possibilità di ripopolare la Terra, di riprovarci dall’inizio e vedere se questa volta andrà bene.

Dobbiamo rilevare poi la consapevolezza, la sensibilità, per questi popoli della doppia natura dell’acqua, che, come dava loro il modo di esistere e prosperare (erano i fiumi a rendere fertile la terra ed era sul mare e sui fiumi che si navigava per commerciare), poteva anche essere distruttiva. I popoli agricoli in particolare non erano certo estranei alle alluvioni e alle esondazioni. Occorre perciò domandarci quale sia stata l’ispirazione originaria: perché così tanti popoli hanno sentito la necessità di parlare di un devastante diluvio nei loro miti?

È difficile considerarlo semplicemente come un’invenzione simbolica, o come l’espressione di una paura comune a tutti i popoli. Le teorie sulla grande causa originale che ha generato i miti del diluvio sono tantissime: la più accreditata propone che delle numerose alluvioni che colpivano la Mesopotamia (che d’altronde era racchiusa tra due fiumi) alcune in particolare siano state così impattanti sui popoli che le avevano subite da entrare tra i loro miti.

Un’altra affascinante proposta è quella di un rapido e spaventoso allargamento del Mar Nero (causato da uno straripamento del Mediterraneo legato allo scioglimento dei ghiacci) fino a raggiungere le sue dimensioni attuali, che avrebbe causato un massiccio spostamento delle popolazioni che vivevano sulle sue sponde; con un po’ fantasia sarebbe stato facile costruire un mito riguardo a una punizione divina. Per quanto riguarda i Greci poi è impossibile non pensare anche a un maremoto, forse conseguente alla disastrosa eruzione che cambiò la forma di Santorini per sempre.

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Insomma, al di là delle teorie degli studiosi, su alcune faccende l’unico limite è la fantasia di chi propone la sua teoria. Una piccola ricerca su internet può aprirvi campi sconfinati di teorie campate per aria, complottismi, fanatismo religioso, e così via. Questo accade anche perché la quantità di fonti su alcune civiltà è talmente ridotta che il confine tra mito e storia è quasi invisibile. Ma a volte il bello è proprio questo, no?

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole e di pace. Sono specializzato in storia medievale, insegno lettere alle medie. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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