Finalmente, dopo una lunghissima campagna pubblicitaria su tutti i social, lo scorso 31 ottobre è uscito in Italia Millennium – Quello che non uccide, film diretto da Fede Álvarez e tratto dall’omonimo romanzo di David Lagercrantz, pubblicato nel 2015.
La curiosità era tanta, e non solo dovuta all’imponente pubblicità. Quello che non uccide è infatti il quarto romanzo della saga di Millennium, scritta ormai quasi vent’anni fa dallo svedese Stieg Larsson, scomparso nel 2004.
Dopo una lunga battaglia legale tra i parenti di Larsson e la sua compagna storica, si è deciso contro il volere di quest’ultima di far continuare la saga a David Lagercrantz, che ha pubblicato Quello che non uccide tre anni fa e il quinto libro, L’uomo che inseguiva la sua ombra, l’anno scorso.
Tra vecchie e nuove trasposizioni cinematografiche
Dai primi tre libri della saga sono stati tratti quattro film. Infatti, tra il 2009 e il 2010 sono usciti tutti i film della trilogia di Larsson (Uomini che odiano le donne, La ragazza che giocava con il fuoco, La regina dei castelli di carta), di produzione svedese, con l’indimenticabile Noomi Rapace nei panni dell’eroina larssoniana Lisbeth Salander, la «donna che odia gli uomini che odiano le donne».
Nel 2011 è poi uscito Millennium – Uomini che odiano le donne, rielaborazione del primo capitolo della saga, diretto da David Fincher. Il cast era tutto composto da big del cinema (Daniel Craig, Robin Wright, Rooney Mara), ma molti si erano chiesti che bisogno ci fosse di fare un remake di un film uscito solo due anni prima. E poi, per quanto Rooney Mara si fosse calata nella parte di Lisbeth, si sentiva la mancanza di Noomi Rapace.
Tra curiosità e diffidenza
I fan della saga si sono quindi avvicinati a questo quarto capitolo con sentimenti contrastanti, tra la curiosità e la diffidenza. Diffidenza perché per molti la saga di Millennium è finita con Stieg Larsson, e dunque i romanzi di Lagercrantz sono degli apocrifi, ai limiti della fanfiction.
E diffidenza per il problema-Lisbeth. Dopo Noomi Rapace e Rooney Mara, questa volta avrebbe vestito i suoi panni Claire Foy, attrice britannica resa celebre dal ruolo della regina Elisabetta II, interpretata nella serie Netflix The Crown. Sarebbe stata una Lisbeth all’altezza?
Tanta azione, ma dov’è il thriller?
Il risultato è stato buono per chiunque in sala non conoscesse Quello che non uccide o, meglio ancora, non conoscesse l’intera saga; un disastro per chi aveva letto e apprezzato il romanzo di Lagercrantz.
Fede Álvarez ha creato un buon film d’azione, con spettacolari scene di inseguimenti e sparatorie (a volte anche poco realistiche, ma pazienza). Pane per i denti degli amanti del genere.
Leggi anche:
Future Film Festival 2018: «Unsane», di Steven Soderbergh
Il problema è che Quello che non uccide è un romanzo che cattura i lettori con la sua suspense, che li tiene svegli fino alle quattro del mattino. Quella che è stata uccisa è proprio la componente thriller che era l’anima di questa storia.
Dimenticatevi i capitoli precedenti
Anzi, è stata uccisa proprio la saga. Dimenticatevi di avere letto anche i primi tre libri, se lo avete fatto, altrimenti non avrete pace per le assurde falle nella trama.
Álvarez ha eliminato completamente la storia della madre di Lisbeth, vero motore di tutti i capitoli della saga e motivo del suo odio nei confronti tanto degli uomini che odiano le donne quanto della perfida gemella Camilla (che alla fine, nel film, sembra crudele ma giustificabile: Álvarez, come hai potuto fare questo a un personaggio che nel libro incarnava la cattiveria gratuita, fine a se stessa?).
Nulla da dire sulla performance degli attori. Claire Foy è convincente come Lisbeth, anche se la Rapace resta ineguagliabile, non c’è niente da fare.
Per quanto riguarda Mikael Blomkvist, coprotagonista della saga… per l’amor del cielo, lo svedese Sverrir Gudnason è bravo e anche tanto carino, ma è troppo giovane. Ha quarant’anni, pure portati bene, quindi non ne dimostra più di trentacinque. E Mikael è un cinquantenne. Stando ai libri, ha anche una figlia sui vent’anni. Ma, se al solito ci si dimentica di aver letto i libri… anche Gudnason può andare bene.
Menzione d’onore per il piccolo Christopher Convery, di soli dieci anni, e per la sua interpretazione di August Balder, il bambino autistico il cui aiuto si rivela fondamentale nel corso della storia.
Ricapitolando: se proprio volete vedere questa trasposizione, imponetevi due ore di amnesia e fingete di non aver mai conosciuto Lisbeth, Mikael e tutti gli altri personaggi di questa saga maltrattata da Álvarez. Saranno due ore di action piuttosto godibili. Se pensate di non farcela… ritirate fuori Uomini che odiano le donne (il romanzo, quello di Larsson) dalla libreria e stringetevelo forte forte al petto.
Leggi anche:
«Seven». Il male siamo noi