Ogni lista è inevitabilmente incompleta, frutto di selezione talvolta senza criterio. Ci limitiamo, in questo finale d’anno, a indicare cinque libri di filosofia, (anche non direttamente filosofici) che, ci pare, abbiano dato e possano dare un contributo significativo alla comprensione del nostro presente e all’apertura di strade per il futuro. L’immagine alla quale pensiamo, scrivendo queste righe, è quella dei “piani” deleuziani-guattariani, ove ognuno di essi, lungi dall’essere ordinato secondo una gerarchia, è scambiabile con l’altro, a seconda dell’uso che se ne vuole fare. Ogni piano, cioè, è un affondo sul presente, un tentativo di guardarne, trasversalmente, una prospettiva.
Eduardo Kohn, «Come pensano le foreste» (Nottetempo)
Il primo di questi cinque libri di filosofia che abbiamo scelto per voi è il saggio di Kohn, antropologo allievo di Terrence Deacon, ha fatto scuola nel contesto della cosiddetta “svolta ontologica” in antropologia, quella tendenza teorica che tenta di rimediare ai difetti della postura interpretativista. Secondo quest’ultima, i nativi – oggetto privilegiato dell’antropologia – vanno “interpretati” in ciò che dicono, riportando la “loro” visione del mondo a quella, “vera, di chi gli interpreta, ossia noi (uomini, bianchi, occidentali): se l’Achuar dice che l’albero parla, non bisogna credere che egli lo pensi veramente, ma piuttosto domandarsi in che contesto, culturale e simbolico, quest’affermazione acquisisca il suo senso.
Per Kohn no: è necessario “prendere sul serio” quanto gli informatori riferiscono, e spingersi all’estremo della loro ontologia, ossia del “mondo” – radicalmente altro dal nostro – che abitano, un mondo, nel caso di Kohn e degli amazzonici, dove anche le foreste possono parlare. Ecco che, in questo modo, lungo il corso di pagine dalla straordinaria bellezza, Kohn dipinge davanti ai nostri occhi un universo – la foresta amazzonica – nel quale ogni essere vivente è capace di comunicare con ogni altro, che lungi dal dividersi tra parti e tutto, è un organismo che, direbbe Whitehead, “concresce”, partecipa di una vita collettiva. Un universo nel quale l’albero che cade indica cattivo presagio, la scimmia che salta in una certa maniera determina il modo in cui bisogna cacciare, il sogno trasforma umani ed animali in fratelli.
Dipesh Chakrabarty, «La sfida del cambiamento climatico» (Ombre Corte)
Il secondo tra i cinque libri di filosofia che vi proponiamo è tra i maggiori interpreti dei Postcolonial studies, col suo saggio dei primissimi anni Duemila, Provincializzare l’Europa, Chakrabarty s’impegnava in una sofisticata critica allo storicismo illuministico, all’idea, cioè, che la storia sia un decorso lineare diretto ad un fine comune: l’acquisizione dei diritti universali, la vittoria della ragione occidentale, l’uniformarsi entro i valori europei. Con le famose Quattro tesi sul clima della storia, Chakrabarty ha piegato la sua riflessione ai problemi sollevati dal cambiamento climatico, tentando di elaborare un modello di comprensione storica (che cos’è la storia? Che cosa significa che l’uomo è assimilabile, come pare sia nell’Antropocene, ad una forza geologica? Come pensare il rapporto tra storia e natura) adeguato a questa complessità.
Ombrecorte ha raccolto, traducendoli in italiano, in questo bellissimo volume alcuni degli sviluppi più recenti delle tesi di Chakrabarty, concernenti la posizione dell’uomo nel mondo nell’epoca dell’Antropocene, il significato dell’idea di Pianeta, la necessità di ripensare la nostra concezione della libertà. Ne è uscito un testo imprescindibile per chi voglia interrogarsi, non solo dal punto di vista storico e filosofico, ma anche pratico, sui problemi della contemporaneità.
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Anna Lowenhaupt Tsing, «Il fungo alla fine del mondo» (Keller)
Pubblicato nel 2015, Il fungo alla fine del mondo si è da subito affermato come un testo di riferimento nel campo dell’ecologia politica e dell’antropologia, diventando in poco tempo un classico. Seguendo in maniera ravvicinata il processo di diffusione e raccolta e di un pregiato fungo giapponese, il Matsutake, Tsing costruisce una riflessione magistrale sulle dinamiche attraverso le quali il capitalismo rende uniforme il mondo delle merci, facendo di ogni prodotto l’equivalente di ogni altro.
Il Matsutake, che ha come caratteristica principale quella di crescere fra le rovine e le macerie, rappresenta in questo senso un margine di resistenza alle dinamiche di potere capitalistiche: esso non si lascia “collezionare” e rendere uniforme, ma vi sfugge. Come vi sfuggono i luoghi in cui esso è venduto e messo sul mercato, che, lungi dal potersi assimilare a infinite e cicliche catene di montaggio, costituiscono spazi nomadi d’incontro, luoghi e reti d’alleanze tra uomini e donne – con i loro corpi, le loro braccia, le loro gambe – impegnati nella raccolta e nello scambio di qualcosa che non “ha” valore, nel senso in cui ce l’ha la moneta, ma lo crea: nei vincoli e negli scambi inter-specifici, tra umani e non-umani, che esso produce.
Cinque libri di filosofia: Philippe Descola, «Oltre natura e cultura» (Raffaello Cortina)
Un capolavoro dell’antropologia, capace di ripensare e donare vita nuova allo strutturalismo di Lèvi-Strauss, il saggio Oltre natura e cultura era stato pubblicato da una piccola e battagliera casa editrice fiorentina poco dopo la sua uscita in Francia, nel 2005, ma subito ritirato dal mercato. Gli aficionados si trovavano dunque nella condizione (talvolta spiacevole, talaltra piacevole, considerata la bellezza della prosa di Descola) di leggere il testo direttamente in lingua originale. Non più così ora: Raffaello-Cortina pubblica questo testo imprescidinbile per l’antropologia contemporanea in un’edizione preziosa, corredata da una Postfazione – peraltro tra le cose più belle che si siano viste scrivere su Descola – di Nadia Breda, professoressa di antropologia culturale a Firenze nonché allieva di Descola.
La proposta di Descola è stata rivoluzionaria e per molti versi ha risollevato l’antropologia culturale da un momento di stasi dovuto alle derive postmoderne. Il naturalismo, sostiene Descola, l’idea cioè che vi sia una separazione nel reale fra un regno – immobile, fisso, determinato – della natura, ed uno – mobile, libero, diversificato – della cultura, è una modalità particolare attraverso la quale gli umani pensano e fissano il loro rapporto con il mondo; è, per dirla con Descola, “un’ontologia”. Una, certo, ma non l’unica: insieme all’animismo, al totemismo, e all’analogismo, il naturalismo forma uno dei pilastri ontologici, secondo Descola, attraverso i quali è possibile oggettivare il nostro rapporto con il mondo, dandogli una forma e un significato. Ciò permette da un lato di relativizzare la nostra posizione nel cosmo, e dall’altro di aprirci all’alterità, ad altri universi possibili.
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Maurizio Ferraris, «Documanità. Filosofia del nuovo mondo» (Laterza)
L’ultimo tra i cinque libri di filosofia che vi proponiamo è Documanità. Filosofia del nuovo mondo di Maurizio Ferraris. Oggi è in atto un cambiamento del modo di concepire ed eseguire il lavoro. Va da sé, sta cambiando anche lo sfruttamento. Oggi il punto vero non è essere sottopagati, ma lavoratori non retribuiti affatto. Disoccupati de iure che de facto producono valore con il lavoro umano per eccellenza: il lavoro spirituale. Le piattaforme, mentre avrebbero tutte le risorse per pagare i loro “dipendenti fondamentali”, gli utenti, si limitano a pagare un contributo in termini di tasse che ha il solo aspetto di un pro forma laconico. Del reddito digitale o webfare si occupa Maurizio Ferraris nel suo ultimo libro Documanità. Filosofia del nuovo mondo, attraverso una approfondita ricostruzione descrittiva (e prescrittiva) del lavoro e del digitale, che solo l’analisi svolta con la meticolosità della scienza filosofica può realizzare.
Ferraris nota un rovesciamento dell’economia politica marxiana: la maggior parte degli esseri umani oggi né producono lavorando né si limitano a controllare i processi di produzione automatizzati, invece producono capitale consumando le offerte che le piattaforme digitali forniscono. Il nuovo lavoratore è il consumatore che produce dati online. L’analisi di Ferraris non ha solo il merito di aprire gli occhi, ma anche il pregio di disegnare un futuro a tutti gli effetti già possibile, verso il quale dobbiamo, come società tecno-digitalizzate complesse alla ricerca di un nuovo significato concreto da dare alla nozione di libertà.
La libertà, da un paio di secoli assurta a valore etico fondamentale dell’occidente in cammino, oggi è un valore, che, come pressoché tutto il resto, necessita di essere aggiornato, riformato.
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