Pinocchietto a pois e sole che batte forte sulla schiena, Maurizio Zanolla (Manolo) sale da solo, piano e in silenzio la montagna. Inizia a 17 anni, senza indicazioni o indirizzi precedenti, i suoi facevano altro. Comincia con poco, nella testa e fra le mani, perché di pigli non ha mai voluto parlare troppo. Per alcuni percorsi in certi momenti, l’unica protezione e via di fuga era la sua testa.
Maurizio Zanolla il Mago immortale
Maurizio Zanolla è nato a Feltre il 16 febbraio 1968, e le montagne, quelle sì, fin da piccolo gliele avevano insegnate. Manolo capiva, e accettava, che nel rapporto con la montagna l’ultima parola deve essere la sua, di lei. Chi vive e chi muore, chi arriva e si ferma, chi resta e chi cade, è soltanto lei a deciderlo. E se glielo si chiede, Manolo risponde che sa di essere stato fatalmente molto fortunato a rimanere vivo.
Schivo quindi, ma profondamente sensibile, di quella sensibilità che non permette di vivere superficialmente sulle cose, in una realtà impastata di convenzioni. Sensibilità che carica il desiderio, follemente forte e forse molto sconsiderato, di spingersi oltre i limiti del proprio corpo e, soprattutto, della propria testa. Erano anni sospesi quelli della giovinezza di Maurizio Zanolla, per giovani radicalmente vivi, carichi di voglie intense di sperimentare, legati da un motore pazzo e selvaggio, nella vita in terra e a parete. Tra il 1970 e il 1980 battezzarono un nuovo modo di arrampicare, e Manolo, il Mago, fu uno dei protagonisti di questa rivoluzione. Lo racconta Vinicio Stefanello nel suo Eravamo immortali, un libro edito nel 2018 sull’arrampicata e sulla vita di Manolo, e di quei ragazzi che raccontano di com’è essere giovani per davvero.
Verticalmente demodé
A parlare di sé e dell’arrampicata, che è stata la sua vita, Manolo si espone poco, in televisione o su altri canali. È schivo, e ben si trova in questa condizione, che sposa il silenzio della montagna. Molto spesso si è spinto oltre il tracciato degli uomini, a scoprire nuove vie, a disegnare percorsi che poco avevano del fattibile, su cui spesso «l’unico modo per sopravvivere era arrivare in cima». Parla di lui in video, e della via che per anni ha amato e temuto, Davide Carrari in Verticalmente demodé, cortometraggio del 2012.
«Eternit, è nascosta proprio lassù, in un ambiente solitario e dimenticato di queste montagne, piccola e “verticalmente demodé” a metà fra i luoghi, dove sono nato e, quelli dove sono vissuto» (Manolo in Verticalmente demodé)
Traguardi estremi, ma non su tracciati tradizionali
Nel 1986 Manolo sale l’8b Ultimo Movimento in Totoga (Pale di San Martino) e nel 1992 arriva all’8a Masala Dosa sulla falesia di San Silvestro con arrampicata in solitaria solo. Per una vita intera non ha fatto altro che questo, ma non si è mai presentato ad una competizione di arrampicata.