Direttamente dalla Lunigiana, con una scrittura alla De Andrè e un rotacismo alla Guccini, il cantautore Mattia Bonetti (originario di Fosdinovo, un piccolo borgo a lungo governato dai Malaspina) oggi è sbarcato su Spotify con il suo primo album, Canzoni in libertà.
L’album raccoglie le canzoni scritte tra i 18 e i 22 anni e le sue sonorità cantautorali riescono a catturare l’empatia dell’ascoltatore che ad ogni canzone viene trasportato in un universo narrativo diverso ed unico. Muovendosi tra la fantasia, le leggende e l’attualità, le note dei brani mostrano il legame inaspettato fra Fosdinovo, Asia, Francia, Africa e ogni altro angolo di mondo.
Nel disco si racconta il mistero del borgo di cui Bonetti è originario: Pelle di luna è la storia del fantasma della marchesina dei Malaspina nata albina, rinchiusa nel castello di Fosdinovo e poi murata viva a causa dell’amore con uno stalliere.
Riportata da suo padre a non veder le stelle
incapace di domare il suo animo ribelle
decise di fermarlo per sempre con la morte
murata nel castello, questa la sua sorte.
L’accompagnamento di una chitarra delicatamente accarezzata e del suono limpido di un flauto traverso rendono giustizia alla memoria della ragazza, disegnando un’atmosfera dolce e sospesa.
A metà del disco, l’attualità si impone con grazia e coraggio in Il Francese e il Siriano: scritta due giorni dopo la strage al Bataclan, mette in rima il dolore di un occidentale scampato a un attentato e un siriano che quotidianamente vive sotto attacco.
Lasciatemi guardare con l’anima di vetro
lo sfondo del sipario di uno scenario tetro
che ha visto separare tra rintocchi di spari
i miei occhi scuri, dai suoi occhi chiari.[…] Non più una spiga cresce nel mio campo
perché ormai bruciata dal fuoco di un lampo
seguito da una lunga semina di bombe
che trova solchi e li rende tombe.
L’ossimoro tra la delicatezza della melodia e la lucidità del testo culmina con le ultime due strofe, in cui figura un punto di vista esterno consapevole e pungente che fa luce sulle contraddizioni del rapporto fra Oriente e Occidente:
Ed ora voleranno aerei in formazione
pronti a dar voce a una nuova esplosione
e verrà limitata la libertà umana
in nome della Sharia americana.
Una lucidità di pensiero presente anche in 11.12.15, data del terribile genocidio avvenuto in Burundi che portò al macello di più di millecinquecento Tutsi a colpi di macete.
Nessuno sparo ma luci di machete
in un silenzio che gela la linfa
sangue a placare la loro sete
e a disciogliere la loro vita.
Per raccontare una storia tanto spietata si ricorre ad un narratore inusuale, un albero che assiste alla disfatta dell’umanità. Ma alla fine si fa strada un bagliore di speranza, il ritmo si fa frenetico e vivo e si alza un canto africano:
Amaoro meza abana b’Imana
Amaoro meza ‘ntore mwese
amaoro meza abavandimwe
Imana n’ibanga se.(Pace a tutti i bambini di Dio
buona pace, vi chiamo a raccolta
che sia una buona pace per tutta la comunità
Dio vi invita alla fratellanza)
Canzoni in libertà termina con un inno al vento e alla sua capacità di procedere senza catene e costrizioni. In nome del Vento parla di una vita con lo zaino in spalla e la tenda da spicchettare ogni mattino senza fermarsi mai, metafora del superamento di qualsiasi confine (reale e allegorico).
Ma quando l’alba a tratti si cuce
in un profumo di cenere e luce
raccolgo i pensieri e i miei progetti
e in nome del vento già tolgo i picchetti.
In un quadro spensierato e leggero (ma non banale) In nome del vento diventa la chiave di lettura dell’intero lavoro: il disco si presenta come un inno alla libertà (individuale, sociale, reale e allegorica) e non è certo un caso se Mattia Bonetti, nella prima traccia, Canzone della Disobbedienza, canta ispirato da Thoreau:
Segui la tua Verità
Apri la mente a Libertà!
Con una grande capacità di scrittura e di esecuzione, Mattia Bonetti è un bagliore di luce nel panorama della produzione indipendente italiana. Canzoni in libertà è un ottimo disco d’esordio, che profuma di buon cantautorato e novità.
Eccolo su Spotify: