Ulrich, poco più che trentenne, è un studioso di matematica colto, raffinato e dotato di un ricco bagaglio di qualità umane ma in costante disagio con la società che lo circonda. Siamo nei primi anni del ‘900, alle porte della Grande Guerra e Vienna è la città che fa da sfondo alla sua esistenza grigia. La profonda indifferenza verso la sua stessa esistenza lo porta a considerarsi un “uomo senza qualità”, incapace com’è di formare il proprio carattere quindi amalgamandosi e adattandosi al mondo esterno. Siamo catapultati ne L’uomo senza qualità di Robert Musil, un vastissimo romanzo, ritenuto uno dei capolavori del Novecento, rimasto incompiuto per la sopraggiunta morte dell’autore, nel 1942.
«Per lui niente è stabile. Ogni cosa è suscettibile di trasformazione, è parte di una totalità, di innumerevoli totalità, che probabilmente appartengono a una supertotalità, che però lui non conosce affatto»
Robert Musil
L’uomo-ideale tanto sognato da Musil non sembra tanto diverso dall’uomo del 2000 e ancora dell’uomo contemporaneo che riassume tutte le qualità, o le “non-qualità”, della società in cui è inserito. Completamente alienato dal mondo reale e dalla sua immagine e per questo privo di interessi autentici.
L’uomo della società moderna riceve una quantità di informazioni superiore alla soglia che potrebbe ricevere e lo sa bene il fotografo tedesco Matthias Wähner, che in qualche modo sembra rendere omaggio all’occhio clinico di Musil con il suo progetto in serie dal titolo, appunto, Mann ohne Eigenschaften, Man without properties.
Le fotografie, tratte dall’archivio della rivista tedesca Quick sembrano a primo impatto parlare di celebrità, di fatti politici, culturali ma nascondono, all’interno della loro serialità, un segreto al primo sguardo non evidente.
Wähner compie una manipolazione digitale e ripetitiva che rende queste immagini in grado di parlare una nuova lingua, quella dello spettatore passivo rispetto ai fatti sociali che lo circondano. Non potendo fare altrimenti, l’uomo si amalgama al clima culturale e proprio per questo, perde la sua natura di uomo unico e diventa un uomo in bianco e nero, come lo sfondo.
Le fotografie non mostrano un mondo assurdo, sono i fatti che sono arrivati a noi sotto forma di reportage, immagini giornalistiche che, nel momento in cui sono state scattate, hanno scosso il mondo e hanno anche fatto un’impressione duratura sulla memoria pittorica di Wähner.
Si allontana dalla plausibilità proprio sulla serie, quando il soggetto, lo stesso fotografo, si ritrova in eventi storici con una cerca distanza temporale tra loro.
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Arriva perfettamente nell’intento di un personaggio Zelig, dall’omonimo film di Woody Allen del 1983, ovvero un personaggio rimasto vittima di una malattia ignota che si manifesta nella trasformazione psicosomatica dei tratti in conseguenza del contesto in cui l’individuo si trova.
Proprio come lui, Wähner riesce nell’intento di trasformarsi in un perfetto spettatore, senza qualità, che non può far altro che guardare, senza mai intervenire nella scena. A un primo sguardo il suo riferimento alla passività è ironico e pungente ma, allo stesso tempo, ci suggerisce che l’inserimento in una realtà mediata ci fa credere di agire sul mondo, di averne in qualche modo potere.
Nei primi del ‘900 Robert Musil riesce a scavare, con occhio ironico e con spietata precisione, dentro l’impalcatura obsoleta di una società che volge irreversibilmente al tramonto. Cento anni più tardi, Matthias Wähner diventa il perfetto uomo senza qualità, una sottile quintessenza di uno spirito creativo mai generoso, malinconico ma produttivo, della propria generazione.
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