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Maternità surrogata,
beato chi ha certezze

14 minuti di lettura

gravidanza

GRAVIDANZA, MATERNITÀ, FEMMINISMO – Negli scorsi giorni l’associazione femminista “SNOQ Libere” ha lanciato un appello per chiedere che la pratica della maternità surrogata venga resa illegale in tutta Europa: «Oggi, per la prima volta nella storia, la maternità incontra la libertà. Si può scegliere di essere o non essere madri. La maternità, scelta e non subìta, apre a un’idea più ricca della libertà e della stessa umanità: il percorso di vita che una donna e il suo futuro bambino compiono insieme è un’avventura umana straordinaria. I bambini non sono cose da vendere o da “donare”. Se vengono programmaticamente scissi dalla storia che li ha portati alla luce e che comunque è la loro, i bambini diventano merce». 

È legittimo sollevare, al riguardo, una ben precisa questione: lo stesso principio che porta ad affermare un legame biologico e spirituale inscindibile tra madre e figlio, e quindi a rifiutare la logica della donazione / vendita del bambino ad una coppia esterna alla donna gestante, non conduce inevitabilmente anche al rifiuto della pratica dell’aborto? È una domanda non solo legittima ma anche doverosa, dato che la conquista fondamentale delle lotte femministe del Novecento è la scissione culturale tra gravidanza e maternità: da obbligo sociale la maternità è divenuta una scelta libera e personale della donna attraverso la distinzione (che oggi ci sembra scontata, ma è un portato storico dello scorso secolo) tra “gravidanza” (il processo biologico della gestazione e del parto) e “maternità” (la disponibilità spirituale ad assumersi la responsabilità della cura materna del figlio). Può sembrare una distinzione capziosa, ma altrimenti non si capirebbe perché in Italia abbiamo una legge (la già citata 194/78) che permette l’aborto o la rinuncia alla potestà sul figlio, a dimostrazione che abbiamo assorbito nella nostra cultura la differenza tra le due realtà.

Una possibile soluzione filosofica ad una parte della questione della maternità surrogata deriva proprio da questa distinzione: se la gravidanza è una cosa e la maternità un’altra, e non si instaura di conseguenza alcuna relazione necessaria tra madre e figlio, allora la donna che affitta il proprio utero non sta vendendo il neonato ad una coppia esterna, ma unicamente la propria capacità riproduttiva. Certo, la questione non è risolta nella sua interezza, perché gli avversatori della maternità surrogata contestano la compravendita non solo dei bambini ma anche dell’utero della donna. D’altra parte, come scrive la solita Michela Murgia,

«[…] Chi si oppone alla gravidanza surrogata chiamandola “maternità” e adducendo come motivazione l’unicità insostituibile del legame che si stabilirebbe tra gestante e feto sta ponendo le condizioni perché gravidanza e maternità tornino a essere inscindibili e quella sovrapposizione torni a essere usata contro le donne SEMPRE, ogni volta che per i motivi più svariati provassero a scegliere di non essere madri. Reintroducendo nel dibattito la mistica deterministica del “sangue del sangue” non si sta quindi mettendo in discussione solo l’ipotesi della surrogazione gestazionale, ma anche alcuni comportamenti che sono già normati come diritti nel nostro sistema giuridico, cioè l’aborto e la possibilità di rinunciare alla potestà genitoriale, per tacere dell’adozione, legame di pura volontà che in questo modo – non originandosi “dall’avventura umana straordinaria” della gravidanza – tornerebbe nell’alveo delle maternità di serie B. Sbalordisce dunque che a utilizzare la categoria del legame naturale siano donne che si richiamano al percorso femminista».

Altra questione non da poco, che dimostra come il dibattito pubblico a cui assistiamo sia una desolante semplificazione di un problema molto più ampio.

LA REGOLAMENTAZIONE PUBBLICA RISOLVE IL PROBLEMA? – A prescindere dalla risposta che si dà a tutte queste domande – risposta che deriva dalla propria cultura, dalla propria sensibilità, dalla propria “morale” in fin dei conti – la “mercificazione della donna” è già realtà, anche nella sua forma dell’utero in affitto: sul legislatore incombe un compito non semplice. Della difficoltà di attuare un eventuale divieto alla pratica abbiamo già parlato, e viene dunque da chiedersi se la regolamentazione pubblica sia in grado o meno di normare efficacemente il ricorso alla maternità surrogata.

Onestamente parlando, appare alquanto utopistico che tutte le gestanti per altri donino a gratis il proprio utero: sicuramente ci sono stati casi in passato e ancora ci saranno, ma essendo la gravidanza un’esperienza estremamente faticosa e implicante che, per 9 mesi, la donna sia debilitata nel portare avanti la sua normale vita (familiare, lavorativa, edonistica, ecc.), i casi di utero “donato” riguarderanno soprattutto donne benestanti. È verosimile pensare che, tendenzialmente, la maggioranza delle gestanti per altri lo farà sotto forma di compenso, alla luce di un bisogno economico. È un discorso disincantato, ma in fin dei conti è spesso questione di necessità materiale e di rapporti di classe, in cui c’è una parte forte (la coppia, probabilmente benestante, che fa ricorso alla pratica) e una debole (la gestante per altri).

Eventuali regole che normino la maternità surrogata devono dunque avere come obiettivo la tutela della parte debole del rapporto: devono, ad esempio, obbligare la coppia che fa richiesta al pagamento dell’assistenza sanitaria e psicologica della gestante durante l’intero periodo della gravidanza, e devono soprattutto mettere al riparo da eventuali decisioni eugenetiche (cosa accade se la coppia, alla luce della scoperta di eventuali malformazioni del feto, decide di abbandonare il percorso? Per fare soltanto un esempio). Tutto questo implica l’aumento dei costi per il ricorso alla pratica, rendendola di fatto una possibilità per soli benestanti. Questo causa il paradosso che, normando la maternità surrogata, si legittima la questione di classe che si vorrebbe combattere e da cui la pratica stessa deriva. E le coppie non benestanti, per cui i costi della gravidanza surrogata fossero proibitivi? Si rifugerebbero nella clandestinità, ricorrendo a gestanti di Paesi in cui la maternità surrogata non è normata in alcun modo (né permessa, né vietata).

Anche in questo caso, il problema della gestazione per altri risulta più profondo ed intricato di quanto non sembri ad un primo sguardo e ad un ascolto delle dichiarazioni di quei politici liberali che vorrebbero legalizzarla e normarla. Mantenendola illegale, lo Stato ha difficoltà ad attuare il divieto; legalizzandola e normandola, non si risolve il problema che ne è alla base, quello dello sfruttamento di donne indigenti. 

Non si può che chiudere questo articolo con le parole contenute nel titolo: beato chi ha certezze. L’unica certezza che ci sentiamo di affermare è che ancora tanto si dovrà parlarne, con mente sgombra da verità assolute e pregiudizi. Fallire sulla soluzione sarebbe uno dei più grandi fallimenti della politica, dato che in questione c’è l’origine stessa della vita, della società, della politica.

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Niccolò Biondi

25 anni, laureato in Filosofia, attualmente studia Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Firenze, città in cui abita.

2 Comments

  1. […] La questione della maternità surrogata, che ha infiammato il percorso parlamentare del Ddl Cirinnà divenendo il principale argomento (pretestuoso ed infondato) dei cattolici integralisti per affondare le unioni civili, è tornata prepotentemente al centro del dibattito pubblico dopo la nascita in Canada di Tobia Antonio Testa, figlio del leader di Sel Nichi Vendola e del compagno Eddy Testa. Tobia Antonio è stato partorito, stando alle indiscrezioni raccolte da Libero, da una donna di origine indonesiana, mentre la madre genetica (che ha fornito l’ovulo) è californiana. Continua a leggere… […]

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