PATERNALISMO, LIBERALISMO – La questione della maternità surrogata ripropone l’annoso scontro tra paternalismo e liberalismo, due visioni opposte della vita morale, della società e delle prerogative dello Stato, che portano ad assumere posizioni politiche antitetiche. Il paternalismo (definibile anche “moralismo” o “organicismo”) è quella concezione filosofico-politica che prevede limiti morali e sociali preesistenti alla libertà dell’individuo: limiti che spetta allo Stato normare ed attuare, uno Stato definibile “etico” proprio perché riconosce nel proprio ordinamento costituzionale la priorità non dell’individuo e della sua libertà assoluta quanto di una morale pubblicamente riconosciuta – che può essere religiosa, come nel caso degli Stati teocratici del presente e del passato, oppure ideologica nel senso laico del termine, come nel caso dei totalitarismi del Novecento. Il liberalismo è la concezione opposta, che prevede la priorità assoluta dell’individuo e della sua libertà rispetto a vincoli morali e sociali a lui esterni: lo Stato ha il compito di garantire questa libertà individuale, nei campi più disparati (dalla cittadinanza politica all’economia alla sfera civile), attraverso la rimozione di tutti quegli ostacoli che ne impediscono l’esercizio. Sia liberalismo che paternalismo hanno versioni moderate ed estreme, che ancora oggi si possono scorgere tutte nell’eterogeneo panorama geo-politico mondiale.
All’estremo del paternalismo, guardando alla realtà nostrana, troviamo il cattolicesimo integralista: per il quale, a dire il vero, la soluzione dei problemi posti dalla maternità surrogata è molto semplice, dato che il principio della priorità assoluta della vita del feto rispetto alla volontà della donna porta a respingere (coerentemente) sia l’aborto che l’utero in affitto. Dio ha creato uomini e donne fertili ed infertili, ed i paletti al desiderio individuale di avere un figlio sono molto chiari: una coppia eterosessuale coniugata si può spingere fino alla fecondazione omologa con seme ottenuto in modo accettabile alla salvaguardia del fine procreativo del matrimonio, senza ovuli fecondati in eccesso e nel proprio stesso utero.
Su posizioni liberali sono invece tutte quelle forze politiche e sociali, dal centro-destra liberale alla sinistra libertaria, che (altrettanto coerentemente) affiancano al diritto di abortire la libertà di ricorrere alla pratica dell’utero in affitto (a dir la verità, questa è una semplificazione ai fini dell’analisi: nel fronte dei liberali la questione è molto legata alle visioni individuali, e non si trova una posizione unica che ha sfogo a livello di rappresentanza politica). Il desiderio di avere un figlio, secondo l’impostazione liberale, è una libertà dell’individuo come tante altre: dal momento che il progresso biotecnologico ha reso possibile ciò che un tempo era impossibile, non c’è alcuna giustificazione a presunti limiti posti al suo esercizio. Inoltre, i liberali ne fanno (al solito) una questione di realismo: la gestazione per altri è già legale in numerosi Paesi, e chiudere gli occhi di fronte alla realtà non fa che aggravare la situazione.
Proseguendo sull’asse politico nella direzione verso sinistra, si giunge a quelle forze che demonizzano la pratica della maternità surrogata sulla base di una cultura politica di impianto marxista ed anti-capitalista: l’utero in affitto, in questo senso, è il trionfo della logica capitalista, per cui la libertà è priva di limiti purché l’individuo possa permettersela economicamente; è l’espressione simbolica del conflitto di classe, dato che consente al ricco di sfruttare l’utero di donne proletarie e disagiate, formalmente libere di farlo ma concretamente quasi obbligate dalla loro condizione materiale; è l’ultimo stadio del processo di reificazione della vita umana, disponibile in tutti i suoi aspetti sul mercato della domanda e dell’offerta come un bene qualsiasi.
È proprio sulla mercificazione della donna, il terzo aspetto centrale della questione della maternità surrogata, che si concentrano le critiche dei detrattori “di sinistra”.
MERCIFICAZIONE DELLA DONNA – Quella della mercificazione della donna è senza dubbio la questione più controversa che ci si trova ad affrontare quando si parla di maternità surrogata. L’argomento consueto è il seguente: la legalizzazione della gestazione per altri trasforma la donna in un contenitore disponibile sul libero mercato come un qualunque bene, e questo è moralmente e socialmente inaccettabile. Di fronte a un’affermazione di questo tipo, che pure non è destituita di realtà e fondamento, viene tuttavia da chiedersi immediatamente: ma non viviamo già in una società che fa della donna e del suo corpo una merce, dalla pubblicità alla prostituzione alla pornografia? Non è un tantino strumentale tirare fuori il (pur legittimo) problema soltanto quando è in gioco la questione della gravidanza? Una società che ha fatto propria la logica capitalistica della trasformazione di tutti gli aspetti della vita in merce da scambiare in vista di un compenso economico, può permettersi di dire “no!” soltanto quando c’è in gioco il parto, che è uno dei tanti aspetti dell’esistenza? Si tratta di domande ineludibili, che dovrebbero quantomeno instillare una gocciolina di dubbio nella testa dei tanti che hanno una posizione assoluta e perentoria in materia di maternità surrogata.
La questione della mercificazione femminile preesiste alla pratica della gestazione per altri e deriva da motivazioni eminentemente economiche: se la donna vende il proprio corpo è a causa del suo bisogno materiale di procurarsi un reddito, ed il problema risiede quindi in un sistema economico che non garantisce condizioni materiali minime per lasciare alla donna la libertà di scelta se essere o meno madre, se utilizzare o meno (nelle forme più disparate) il proprio corpo in cambio di un compenso. D’altra parte la centralità della questione economica è affermata dallo stesso ordinamento giuridico italiano, che riconosce (art. 4 legge 194/78) tra le motivazioni legittime per interrompere la gravidanza anche quelle “economiche”. Se si pensa che il paragone tra gestazione per altri e aborto sia ozioso, si legga quanto ha scritto la scrittrice Michela Murgia sulla propria pagina Facebook:
«[…] La gestazione per altri dal punto di vista formale non è altro che una gravidanza indesiderata – dato che per se stesse non la si sarebbe intrapresa – portata a termine invece che interrotta. Lo stesso principio che difende il diritto di interrompere una gravidanza dovrebbe, a rigor di logica, essere applicato al diritto di darle inizio e portarla a compimento a prescindere dal fatto che ci sia di mezzo un accordo economico, perché se le ragioni economiche sono legittime per decidere di abortire, non possono essere illegittime per decidere di partorire. Che poi lo Stato debba fare di tutto per rimuovere le ragioni economiche dell’una e dell’altra scelta è una questione di giustizia che riguarda noi tutti, lo Stato e le sue politiche sociali, ma non la donna e le sue scelte. Nessuna dovrebbe essere costretta ad abortire o a partorire per altri perché ha bisogno di soldi, ma finché non saremmo socialmente in grado di rimuovere gli ostacoli economici che impediscono alle donne di scegliere di diventare o meno madri secondo il solo loro desiderio, esse devono poterlo fare dentro a un quadro di regole che le tuteli e tuteli chi da loro nasce».
È evidente che il vero punto del dibattito pubblico di questi giorni non è la mercificazione del corpo femminile, quanto la possibilità di esercitare un arbitro maggiore (rispetto alla situazione attuale) sulla nascita e la vita dei bambini. Al riguardo, come già si è argomentato, la posizione del cattolicesimo è l’unica davvero coerente, mentre chi si richiama ad una visione anti-capitalista del mondo e dell’esistenza non è in grado di giustificare la negazione della maternità surrogata alla luce dell’assenso nei confronti dell’aborto. Si tratta di una questione su cui si tornerà nel prossimo paragrafo, per il momento occorre porre la seguente domanda: se la civiltà umana è progredita (anche, soprattutto) attraverso gli sviluppi della scienza e della tecnologia, che ci hanno donato discipline mediche funzionanti e strumentazioni diagnostiche in grado di migliorare la qualità e la durata della vita, come giustificare la negazione della maternità surrogata, che altro non è che uno dei tanti traguardi della biotecnologia? Anche in questo caso la situazione è molto più complessa ed intricata di quanto non vogliano far credere gli assolutisti, da una parte e dall’altra.
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