La questione della maternità surrogata, che ha infiammato il percorso parlamentare del Ddl Cirinnà divenendo il principale argomento (pretestuoso ed infondato) dei cattolici integralisti per affondare le unioni civili, è tornata prepotentemente al centro del dibattito pubblico dopo la nascita in Canada di Tobia Antonio Testa, figlio del leader di Sel Nichi Vendola e del compagno Eddy Testa. Tobia Antonio è stato partorito, stando alle indiscrezioni raccolte da Libero, da una donna di origine indonesiana, mentre la madre genetica (che ha fornito l’ovulo) è californiana.
La nascita di Tobia Antonio ha letteralmente fatto esplodere il clima politico, provocando le accuse bipartisan delle forze politiche e dividendo i social network tra chi ha espresso auguri di gioia e felicità ai neo-genitori e chi, invece, si è scagliato violentemente contro la pratica dell’utero in affitto tacciandola di immoralità e mercimonio della donna.
Dividersi in fazioni avverse, si sa, è lo sport preferito dagli italiani: non stupisce pertanto che, anche in questo caso, si sia del tutto persa di vista la complessità di un problema che, lungi dall’essere una questione di bianco o nero, è al contrario caratterizzata da mille gradazioni di grigio.
Come si intuisce dal titolo, questo articolo non contiene affatto l’intenzione di prendere posizione su un tema che deve ancora essere sviscerato in tutti i suoi aspetti, quanto di mettere i lettori di fronte ad una serie di questioni la cui complessità, spesso, resta sepolta sotto il baccano della politica politicata.
UN DIVIETO DIFFICILE DA ATTUARE – La maternità surrogata, ovvero la pratica per cui un embrione viene impiantato in una donna che si impegna a consegnare il figlio ad una coppia committente subito dopo il parto, è vietata in Italia: lo stabilisce l’articolo 12 della legge 40/2004, che sanziona il reato con la reclusione fino a due anni e con una multa fino ad un milione di euro. Tuttavia, un gran numero di famiglie (l’80% di queste composte da partner di sesso diverso, a dimostrazione ulteriore della strumentalità con cui la questione è stata riproposta durante il dibattito sulle unioni civili) vi ricorre all’estero: in alcuni Stati, come il nostro, è vietata; in altri, invece, è permessa soltanto gratuitamente, mentre in altri ancora anche in cambio di un compenso economico (per una lista completa dei Paesi in cui è legale, si rimanda a questo articolo).
Ai fini del riconoscimento del figlio, è sufficiente che i coniugi presentino all’ufficiale di stato civile un certificato di nascita del bambino (redatto all’estero) nel quale sono indicati come genitori e chiedano la trascrizione in Italia senza dichiarare che il bambino è nato tramite surrogazione della maternità: così facendo commettono il reato punito dall’art. 495 del codice penale (falsità in atti dello stato civile). Al riguardo, la giurisprudenza non ha un pronunciamento uniforme: esistono precedenti di coppie punite con sanzioni molto severe, e casi in cui invece i giudici hanno mostrato una certa tolleranza. Se il bambino è figlio di almeno uno dei genitori (solitamente, il padre), la legge italiana considera solo lui come genitore: l’altro potrà chiedere di adottarlo applicando la norma che consente l’adozione del figlio del coniuge, la cosiddetta “stepchild adoption”, ammessa dalla legge nell’ambito del matrimonio.
Il fatto che la gestazione per altri sia legale in molti Paesi è un problema non da poco, che i legislatori italiani non possono in alcun modo ignorare. Come ha scritto Rosa Fioravante in un recente articolo, «[…] Se la pratica della gestazione per altri esiste ed è legale in una qualunque parte del mondo, renderla illegale in Italia vuol dire fare come lo struzzo che mette la testa sotto la sabbia per non vedere il pericolo. A fini legislativi non importa né perché una coppia (etero o gay) scelga di concepire così un figlio, né se abbia pagato o meno per farlo: ciò che importa è che quel bambino esiste, vive ama odia desidera e ha diritto ad una famiglia proprio come tutti i bambini concepiti in qualunque altro modo. Inoltre, negando la stepchild e l’adozione alle coppie omosessuali, si legittima in tutto e per tutto il ricorso a questa pratica da parte di chi si trova nella condizione di non avere in patria un’altra via legale per avere figli. La politica non è l’arte del discernere cosa è giusto e cosa è sbagliato: è la prassi della regolamentazione della vita in comune».
Il Parlamento italiano, come richiesto a gran voce dalle forze conservatrici, potrà anche introdurre tutte le norme che vorrà per rendere illegale la pratica: le famiglie continueranno comunque a recarsi all’estero, facendo ritorno in patria con un pargolo nuovo di zecca. Che fare, dunque? Togliergli il neonato e darlo in adozione, oppure addirittura arrestare i genitori? Verrebbe quasi da sorridere ironicamente al pensiero, se non fosse che i social network pullulano di affermazioni di questo tipo (mostrando la perversità di una parte del “Paese reale”) e che i centristi di Grandi Autonomie e Libertà avevano presentato un emendamento al Ddl Cirinnà proprio per introdurre una procedura di documentazione sulla provenienza biologica da padre e madre del bambino, in sede di attestazione dell’atto di nascita davanti all’ufficiale di stato civile, pena l’adozione in caso di mancanza di certificazione.
Nel nostro Paese esiste una resistenza culturale, profonda e radicata, all’idea della maternità surrogata, a riprova del fatto che la soluzione legislativa al problema è tutto tranne che prossima. Il che ci conduce direttamente alla seconda faccia del problema: la questione dello scontro tra paternalismo e liberalismo, due concezioni dell’esistenza e della società umana che stanno alla base delle divergenti prese di posizioni a livello politico.
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