A Napoli, il 7 luglio 1647, la famosa goccia fece traboccare il vaso. E il pescivendolo Tommaso Aniello d’Amalfi, detto Masaniello, ne approfittò per diventare un eroe che ancora infiamma i dibattiti storiografici.
Contesto storico
Tra varie traversie, la città di Napoli e l’intera Italia meridionale si trovavano sotto dominio spagnolo ormai da più di due secoli (fin dalla conquista aragonese del 1442). Come in molti altri snodi importanti della Storia, anche nella prima metà del Seicento fu la pressione fiscale a catalizzare il malcontento popolare. L’intero vicereame era stretto da mesi nelle morse di una carestia e già nel maggio 1647 a Palermo si erano accesi fuochi di insurrezione a macchia di leopardo, prontamente soppressi dalle autorità del viceré Rodrigo Ponce de León, il duca d’Arcos; ma sulla penisola la situazione rimase grave, diventando insopportabile all’inizio di luglio. La borghesia napoletana – la cui ascesa sociale era soffocata dalla nobiltà spagnola e filospagnola – percepì i sommovimenti del popolo e fece del suo meglio per fomentarli, appoggiando la costituzione di gruppi rivoluzionari e coordinandoli su scala più ampia.
L’ascesa di Masaniello
La scintilla sprizzò il 7 luglio 1647 in Piazza Mercato a Napoli, quando gli Spagnoli provarono a riscuotere una gabella sulla vendita della frutta incontrando l’opposizione compatta dei fruttivendoli, immediatamente spalleggiati anche da tutti gli altri piccoli commercianti. A questo punto Tommaso Aniello, noto come Masaniello, si mise alla loro testa. Era un pescatore nato ventisette anni prima, che viveva dei proventi del suo lavoro e quasi certamente anche di piccoli contrabbandi.
Il giovane riuscì a farsi identificare come indiscusso capo del popolo e fu sotto il suo comando che la folla occupò gli edifici amministrativi (compresa la residenza del viceré), incendiò registri fiscali e abitazioni di nobili e liberò le prigioni della città. È curioso notare che il grido con cui i rivoltosi sono passati alla storia sia «Viva ‘o re ‘e Spagna, mora ‘o malgoverno», ad indicare che la loro opposizione non era rivolta al potere regio, ma agli abusi di chi governava direttamente la città e il suo territorio. Dopo alcuni giorni di forti tensioni, Masaniello sfuggì a un attentato, alimentando le voci del favore divino quando non addirittura – soprattutto dopo la sua morte – quelle della santità.
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Il viceré spagnolo, duca d’Arcos, provò a corrompere l’ormai incontrastato eroe del popolo senza successo, finché non poté far altro che nominarlo capitano generale della cittadinanza; il duca fu anche costretto a riattivare un privilegio concesso all’inizio del Cinquecento dall’imperatore Carlo V, con cui si concedevano al popolo napoletano rappresentanza pari a quella dei nobili e un livellamento delle tasse. Nel frattempo il pescivendolo aveva avviato un progetto di abolizione di molte gabelle sui prodotti di immediata necessità, aprendo anche ad alcuni favori per la borghesia che continuava in gran parte ad appoggiare la rivolta per i benefici che ne sarebbero potuti derivare.
Il “regno” di Masaniello
La politica del cosiddetto “regno” di Masaniello era fortemente orientata al mantenimento del favore e dell’entusiasmo dei ceti più bassi, che avevano fatto scattare la molla in Piazza Mercato. Non a caso oggi un “masaniello” è un demagogo sì amato e carismatico, ma spesso incapace di pianificazioni politiche a lungo termine e davvero efficaci.
Quanto il vero Masaniello fosse realmente preparato a governare, non lo sapremo mai. Il fronte che lo sosteneva smise immediatamente di mostrarsi compatto come era stato agli inizi, e cominciò a soffiare vento di tradimento. Storia e leggenda in questa vicenda si mescolano soprattutto riguardo alla follia del capopolo: secondo la tradizione il potere gli diede alla testa, facendogli adottare comportamenti assurdi e inspiegabilmente violenti, ma è probabile che gran parte di queste voci fossero state messe in giro di proposito o gonfiate ad arte per indebolirlo. La certezza è che meno di dieci giorni dopo la sua trionfale ascesa, il 16 luglio 1647 Masaniello morì sotto i colpi di archibugio di alcuni degli uomini a lui più vicini, poi ampiamente ricompensati dalla corona spagnola, e il suo corpo decapitato fu gettato in un fossato.
Dopo che gli fu concesso un funerale trionfale, richiesto ferocemente da gran parte dei popolani favoriti dalle sue riforme, la struttura del potere del pescivendolo resse in effetti a lungo, anche a causa dell’incapacità delle autorità spagnole di sopprimere in modo efficace i focolai di rivolta che continuavano a scoppiare nelle campagne contro la nobiltà locale. Nell’ottobre del 1647, il popolo napoletano si dichiarò Repubblica autonoma (passo che era già riuscito in alcuni territori spagnoli), ma le stesse opposizioni interne, che avevano tolto di mezzo Masaniello, già ne minavano le fondamenta. L’autoproclamata Repubblica napoletana cercò l’indispensabile sostegno delle potenze europee, ma l’unica timida risposta fu il formale appoggio della Francia di Giulio Mazzarino, a cui tuttavia non seguì alcuna azione concreta. L’esperimento napoletano rimase senza alleati nello spietato Seicento ed era solo questione di tempo prima che la Repubblica fosse ricondotta all’obbedienza: nemmeno un anno dopo la sua sollevazione, nell’aprile 1648 la città e il suo popolo tornarono sotto il dominio del viceré spagnolo.
In conclusione
La vicenda di Masaniello non ha mai cessato di essere argomento di discussione per commentatori e storici, fin dai mesi in cui stava avendo luogo. Era il tipo di questione perfetta per essere strumentalizzata a seconda dell’aria del momento, ora per ammonire contro la fallacia delle rivolte violente, ora per esaltare i movimenti popolari contro un illegittimo potere straniero sul proprio territorio. Il Risorgimento italiano, assetato di eroi, contribuì a concentrare definitivamente l’attenzione sul personaggio.
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Parlando di Masaniello, però, è quanto mai fondamentale ricordarsi che l’esperimento partenopeo fu un insieme organico di eventi e persone con la sua valenza storica e sociale, impossibile da ridurre ai suoi primi dieci giorni, portatore di un messaggio ben più universale dell’estremismo da sempliciotti a cui spesso si è tentato di ridurlo. E allora, «mora ‘o malgoverno».
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