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Fondazione Merz

Sognare la leggerezza: Mario Merz in mostra a Torino

Fino al 2 febbraio 2025 alla fondazione Merz di Torino in mostra le installazioni dell'artista, che riflettono sul rapporto tra spazio e arte

4 minuti di lettura

«Vorrei avere la firma di qualcuno che sia stato curato dalla proliferazione
Qualcosa che toglie il peso…
Penso ai numeri uno dopo l’altro in una dilatazione proliferante…
Sono un tappeto volante su cui vivere…
Che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola…»

Mario Merz

Inaugurata il 28 ottobre 2024 la mostra Qualcosa che toglie il peso che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola negli spazi della Fondazione Merz di Torino. L’esposizione si propone come un’estensione di Qualcosa che toglie il peso, un primo omaggio alla figura di Mario Merz presentato in Fondazione nell’estate 2024 in cui, fra le opere, è stata esposta per la prima volta in Europa l’installazione Quattro tavoli in forma di foglie di magnolia del 1985, attualmente presente nello spazio. All’interno di Fondazione Merz vengono inserite tre nuove opere: due igloo creati per la prima volta rispettivamente nel 1989 e nel 2002 e l’imponente lavoro pittorico Geco in casa del 1983.

Uno scambio tra il reale e l’immaginario

L’allestimento delle opere presenti nella collezione di Fondazione Merz restituisce una sensazione di panica vitalità: i lavori dell’artista occupano tutte le dimensioni, avanzano sulle pareti o troneggiano in mezzo alle sale, tagliano gli angoli – come nel caso del dipinto Geco in casa o ancora di Le chat qui traverse le jardin est mon docteur che, come uno striscione, viene steso su due dei quattro muri della sala d’ingresso della fondazione. Questo allestimento risulta vitale e al contempo restituisce al visitatore una sensazione di ampiezza rispetto alle sale proprio grazie alla struttura architettonica di Fondazione Merz, ex centrale termica Officine Lancia degli anni Trenta riconvertita nel 2005 nello spazio che oggi ospita i lavori dell’artista. I soffitti alti, così come gli immensi finestroni che garantiscono un’incredibile illuminazione naturale, aprono le sale e le proiettano verso l’alto.

Questo esempio di architettura mostra come l’arte di Mario Merz, concettualmente astratta e filosofica ma visivamente estremamente plastica e concreta, si adatti alla perfezione a degli spazi allestitivi post-industriali. Non a caso nel 2018 proprio Pirelli HangarBicocca aveva ospitato a Milano la retrospettiva Igloos nelle Navate dell’edificio.

Conservare le modalità di creazione di Merz

All’interno di Fondazione Merz sono presenti tre degli iconici igloo che sono con il tempo diventati un simbolo dell’arte italiana del XX secolo. Si tratta di tre lavori rispettivamente del 1989, 1997 e 2002. Il meno recente – nuova aggiunta alla collezione della fondazione con la mostra inaugurata il 28 ottobre insieme al più recente del 2002 – è stato realizzato da Mario Merz per la prima volta in occasione della personale presso il Solomon R. Guggenheim Museum di New York nel settembre 1989. È la seconda volta in cui Mario Merz utilizza il pane nella realizzazione dell’igloo, ma solo la prima in cui lo rende l’unico materiale usato per il rivestimento della struttura. Come è ovvio, il pane usato per l’igloo è stato prodotto specificatamente per l’inaugurazione nel 2024, ricostruito da Fondazione Merz.

Questo tipo di azione, se studiata in un contesto più generale legato ai temi dell’unicità dell’opera d’arte e dei rischi “intellettuali” della sua riproducibilità potrebbe essere considerata come un atto di “copia di un originale”, in questo caso costituisce un tipo di riflessione importante legata all’idea di arte stessa di Mario Merz. «Creiamo le mostre cercando di seguire il più possibile la modalità di Mario nel costruirle; – racconta Beatrice Merz, figlia dell’artista e membro del comitato scientifico della fondazione – la fondazione non conserva solo le cose ma anche le sue modalità di lavoro: come curare le opere e come mantenerle in vita.»

Gli igloo: forme in contraddizione

L’igloo del 2002, realizzato per la personale di Mario Merz presso la Fundaciòn Proa di Buenos Aires, è composto da lastre di pietra recuperate sul territorio. «Spesso erano i luoghi in cui si trovava a suggerire le scelte dei materiali, come il marmo rosa dell’Argentina che usò per l’igloo del 2002, perché lo realizzò per una mostra a Buenos Aires.» (Beatrice Merz)

L’ultimo igloo, realizzato nel 1997 per la XLVII edizione della Biennale di Venezia, gioca sui contrasti fra luce ed ombre. La superficie della struttura è realizzata grazie all’uso di uno strato di paraffina in cui vengono inglobate delle foglie d’oro. L’igloo filtra e riflette la luce, in una commistione fra opaco e traslucido che solleva la questione che sta al centro della filosofia degli igloo di Mario Merz: rappresentano lo spazio chiuso racchiuso nelle pareti della struttura semisferica o catturano invece una spinta energetica che si sprigiona dal terreno verso l’esterno? «L’igloo è dato dai contrasti: chiaro-scuro, dentro-fuori, materiale leggero e pesante. Sono le contraddizioni che l’uomo ha sulla terra, nella vita. Forme in contraddizione che si uniscono in certi momenti.» (Mario Merz)

Mario Merz, Senza titolo (Foglie d’oro), 1997 | Struttura metallica, rete in nylon, cera, foglia d’oro, foglie | Diametro 300 cm, immagine di Renato Ghiazza

Una tensione fra l’interno e l’esterno

Il primo igloo, conosciuto come L’igloo di Giàp, viene realizzato da Mario Merz nel 1968. Si tratta di un’installazione composta da blocchi di argilla cruda avvolti nella plastica assemblati su uno scheletro metallico per formare la tipica forma semisferica. Sull’argilla, percorrendo tutta la circonferenza dell’igloo, la frase del generale vietnamita Võ Nguyên Giáp «Se il nemico si concentra perde terreno, se si disperde perde forza».

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L’igloo di Giap nasce come una dichiarazione di intenti sul concetto di igloo come luogo per il pensiero libero, lo sviluppo di strategie di sopravvivenza, la connessione tra l’uomo e la natura. Gli igloo per Mario Merz rappresentano il simbolo del potere dell’uomo che costruisce la propria casa sulla Terra manipolando la natura, ma al contempo l’inesorabile impotenza dell’umanità di fronte alla natura. L’ambivalenza degli igloo sta proprio nel capire quale superficie considerare: lo spazio interno, intimo e protetto, che si trova all’interno dell’igloo – lo spazio abitativo in un certo senso – oppure quello che l’igloo riflette sulle sue pareti esterne, siano esse fatte di vetro, di pietra o di pane? «L’igloo è una tensione fra l’interno e l’esterno. Igloo concentrici rappresentano cieli sovrapposti con dei pianeti interni. Igloo è uno stato di tensione rappacificato in una forma.» (Mario Merz)

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In copertina: Mario Merz, Igloo del pane – Installation View, Courtesy Fondazione Merz

Clarissa Virgilio

Studentessa di lingue e letterature europee ed extraeuropee a Milano, classe 2001. Durante gli anni della triennale di lingue, ho seguito un corso presso la NABA sulle pratiche curatoriali. Amo guardare ciò che ha qualcosa da dire, in qualsiasi lingua e forma.

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