Ci sono testi che entrano nella storia quando l’inchiostro della stampa è ancora fresco. Ci sono testi che raccontano un’epoca tra le più studiate e raccontate come nessuno l’aveva mai fatto fino ad allora. Uno di questi testi è M Il figlio del secolo, vincitore del Premio Strega 2019.
L’influenza dello scritto di Antonio Scurati è ben evidente anche per la quantità (e la qualità) di prodotti e opere collaterali, nati proprio dal libro. Basti pensare alla serie omonima, diretta da Joe Wright, presentata all’81esima edizione del Festival del Cinema di Venezia. O ancora, alle numerose letture, come quella fatta da Luca Zingaretti, Valerio Mastandrea e Marco D’Amore al teatro terrazza del Palazzo dei Congressi di Roma nell’anno della vittoria dello Strega (disponibile su RaiPlay). Anche il teatro, come è normale, non è rimasto indifferente di fronte a un testo di tale portata. Non è rimasto indifferente Massimo Popolizio, che nel settembre 2022 ha portato in scena M Il figlio del secolo, una reinterpretazione concitata e libera del romanzo di Antonio Scurati, su invito dello stesso scrittore.
Il romanzo di Antonio Scurati
Quella narrata è una storia che inizia il 23 marzo 1919, giorno in cui Benito Mussolini fondò ufficialmente i Fasci italiani di combattimento a Milano. I presenti erano circa 200, perlopiù ex combattenti, Arditi del popolo, ma molti semplicemente persone impaurite, stanche, arrabbiate nei confronti di una classe dirigente che li aveva sfruttati e delusi, abbandonati e che cercavano in una nuova via la possibilità di un futuro diverso. E questo futuro si presentò, contro ogni previsione, la sera del 28 ottobre 1922, quando Benito Mussolini venne chiamato da re Vittorio Emanuele III a presiedere un governo di coalizione con altri partiti. Partiti che incarnavano in tutto e per tutto la vecchia classe dirigente contro la quale il futuro Duce aveva costruito il proprio consenso, ma che in quel momento era ancora necessaria a lui per ottenere il potere.
Antonio Scurati racconta in forma di romanzo i sei anni che hanno capovolto l’Italia e l’hanno portata a ritrovarsi stretta nelle mani del Duce. Racconta i lati oscuri di una politica basata sulla paura anziché sulla fiducia e la speranza nel progresso sociale; del genio mussoliniano, così come delle debolezze dell’uomo oltre la camicia nera. Racconta di coloro che lo circondano e del destino a cui li condurrà questa vicinanza più o meno voluta.
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Quello di cui Antonio Scurati scrive e che Massimo Popolizio mette in scena è il rapporto frammentato e non risolto che il nostro Paese ha con la sua storia. Una storia fatta di errori, ambiguità, violenza e viltà. Una storia fatta però anche di profondo coraggio e volontà di non arrendersi di fronte a una dittatura, a un’ideologia che aveva messo in ginocchio l’Italia e l’Europa.
Lo spettacolo, attraverso i suoi personaggi e interpreti, permette allo spettatore di avvicinarsi allo smarrimento causato dalla parabola discendente che vede protagonista la penisola, i suoi abitanti e la sua classe dirigente. Ma se è vero, come scrive Antonio Scurati, che «forse il fascismo non è il virus che dilaga, ma il corpo che lo accoglie», possiamo davvero essere sicuri del fatto che questo corpo non sia più infetto, anche a cent’anni di distanza?
Massimo Popolizio crea 31 quadri, di circa 5 minuti ciascuno, dando così un andamento estremamente dinamico al suo spettacolo. Quelli che si susseguono sono immagini rapide che raccontano la velocità di quel mondo, di quel contesto storico così particolare. Una velocità che sentiamo e viviamo costantemente nella nostra società attuale, sempre alla ricerca (o all’inseguimento, si può dire) di qualcosa in più. M Il figlio del secolo è dunque composto di una frammentarietà ben leggibile in questo momento, nonostante racconti di fatti accaduti un secolo fa, di una vita che è così diversa dalla nostra.
Come l’ha definita Lorenzo Pavolini, che insieme a Massimo Popolizio ha lavorato al testo e al suo adattamento teatrale, quella messa in scena è la «ricostruzione di una affannosa vicenda collettiva che ha proprio il trasformismo al suo centro». Trasformista è Benito Mussolini, in grado di adattarsi e sfruttare i mutamenti rapidi della situazione politica e sociale dell’Italia del primo dopoguerra. Trasformista è l’organismo attoriale che ne mette in scena la storia e il destino. Benito Mussolini, Margherita Sarfatti, Gabriele d’Annunzio, Pietro Nenni, Giacomo Matteotti, sono tutti protagonisti e comparse di un quadro molto più grande e longevo di loro.
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