Talento.
È una parola complicata. Troppo spesso usata a sproposito, talvolta completamente dimenticata in un momento storico dove non conta quanto sei bravo ma come ti vendi (o ti vendono), dove il numero di quelli che scrivono è più alto di quelli che leggono. Dove spesso bastano una reflex e un profilo instagram per essere fotografi.
È trascurato, il talento, eppure, quando c’è, si vede anche a luci spente.
Soprattutto se si ha la sensibilità di Lisa Spinelli, maestra d’asilo alle prese con i classici problemi di madre e di donna che si avvia verso la metà della sua vita. Lisa cerca di riempire i vuoti tra casa e lavoro con un corso di poesia, ben consapevole di non essere portata ad esprimersi in versi a prescindere da quanto si applichi.
L’arte per noi sterili
Una microscopica disperazione, quella raccontata dalla regista Sara Colangelo in “Lontano da qui”.
Remake dell’omonima pellicola israeliana di Nadav Lapid, the kindergarten teacher, il film descrive tutti noi che l’arte sappiamo guardarla ed amarla, ma non produrla.
E allora le strade sono tante: quella di Lisa è un bambino del suo asilo che già ha una vocazione per i versi evidente ai limiti del verosimile.
Anna è bella,
Jimmy – Lontano da qui
Abbastanza bella per me.
Il sole colpisce la sua casa gialla,
È quasi un segno di Dio.
Sola contro tutti
Cosa fare dunque, se sei l’insegnante di un piccolo genio?
Come salvarlo (e salvare te stessa) dall’indifferenza che il nostro mondo sembra avere per l’arte autentica? Jimmy (Interpretato dal piccolo grande Parker Sevak) è inconsapevole del suo dono tanto quanto la sua famiglia e tutti coloro che lo circondano: l’unica che sembra vederlo – e prenderselo a cuore, tanto da arrivare ad agire in maniera non proprio ortodossa – è proprio Lisa.
Il disegno dell’errore umano
«Lontano da qui» poteva essere la storia di un piccolo talento che cresce e supera sé stesso grazie all’aiuto di un buon maestro, come tante altre, ma non lo è.
«Lontano da qui» salta a piè pari l’ostacolo della storia già raccontata per raggiungere un livello più sottile, diventando storia di tutti. Un grido disperato che celebra l’errore umano di Lisa, ma non di Magghie Gyllenhaal, che non sbaglia un colpo con la sua interpretazione matura, delicatamente rifinita.
Aprite gli occhi e le orecchie per quel grido, per quel “poveri noi” che galleggia placido in ogni inquadratura.
Datevi il tempo di capire il linguaggio di Sara Colangelo -che sicuramente rivedremo presto all’opera- e poi datevi il tempo di chiedervi cosa ci siamo persi, cosa ci stiamo perdendo.