Pare che esista uno strano, ma intrinseco legame tra il parlare e il muoversi: basti pensare alla folla di passanti che, quando solitari, camminano a ritmo frenetico registrando messaggi vocali, automobilisti e ciclisti (e oggigiorno “monopattinitori”) addirittura muniti di cuffie altoparlanti per facilitare la presa sui freni o sul volante del proprio mezzo di spostamento, senza interrompere le conversazioni telefoniche.
Dando un’occhiata non solo alla strada, ma anche al vocabolario, arriva la conferma: errare si dice sia di chi parla, sia di chi va. A tutti gli effetti, anche quando si parla, si va, seguendo o meno il filo del discorso, sbrogliando a mano a mano la matassa del pensiero, lasciandosi dietro miriadi di parole.
È difficile parlare restando fermi, forse perché, conferendo una direzione fisica precisa nello spazio, si spera di dare un senso a ciò che si dice: come se una parola incerta potesse ritrovare vigore da una camminata a ritmo serrato.
Il dramma nel viaggio, il viaggio del dramma
Così, dalla sceneggiatura di Steven Knight, Filippo Dini traduce e traspone sul palcoscenico del Teatro Franco Parenti il dramma dell’umanità, affidando gli interrogativi archetipici a un contesto immediatamente condivisibile dal pubblico, rapito all’istante e trasportato accanto al protagonista, lo stesso Dini, per tutta la durata del viaggio in auto, nello spettacolo omonimo, Locke, in scena dal 14 al 29 ottobre.
Ivan Locke è l’eroe della contemporaneità, affossato da ciò che deve dire e che dovrebbe fare, cui spetta il compito di arrivare alla meta, parlando e continuando ad andare, per non soccombere, con tenacia e passione, raggiungendo apici di pura veemenza.
Nel pieno crollo per il peso dei propri pensieri e delle proprie azioni, un uomo qualunque si affida alla direzione segnata dalla strada, si mette al volante e inizia a guidare, trasportandosi verso una direzione precisa, nella speranza che il liscio asfalto renda fluidi i propri discorsi.
Lasciarsi trasportare con le parole
La coincidenza del tempo della finzione e dell’azione scenica consente un’immedesimazione palpitante, che non può subire intromissioni: le uniche interferenze sono tra le continue conversazioni telefoniche che accompagnano Locke sino al raggiungimento della sua meta.
Nel susseguirsi frenetico, delle chiamate al telefono cellulare apposto sul cruscotto dell’automobile Locke dà voce a chi lo circonda nella vita di tutti i giorni, ma non può essere fisicamente presente nel viaggio che sta compiendo verso un obiettivo che ha scelto in prima persona di raggiungere.
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Sara Bertelà, Eva Cambiale, Alberto Astorri, Emilia Piz, Iacopo Ferro, Mattia Fabris, Mariangela Granelli Valentina Cenni, Carlo Orlando, Giampiero Rappa e Fabrizio Coniglio sono gli interpreti dei fantasmi della vita di Ivan Locke, che prega, impreca, confessa i macigni del suo cuore e della sua mente, cercando di smuoverli portandoli con sé nel viaggio di una notte qualsiasi, che si rivela lentamente come punto di non ritorno.
Uscire da sé stessi: il dialogo
Dandosi un’unica direzione Locke fa confluire i propri pensieri e sentimenti più intimi, vaga tra le parole, dando forma a quelli che altrimenti sarebbero rimasti monologhi incapaci di smuoverlo dal proprio dramma.
Il dialogo si riconferma come passaggio obbligato, un attraversamento delle parole che unico consente di uscire dallo sbaglio, dal rimpianto, dal rimorso.
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La conversazione inverte la rotta della ricerca del protagonista, che ritorna lentamente in sé stesso, acquisendo consapevolezza di sé nella perdita di quelle che riteneva certezze, punti fermi: un’autentica epopea dell’essere umano, che attraverso le parole diventa artefice del proprio destino, senza pretendere di impadronirsene superandolo, ma avvicinandosi asintoticamente con onesta lucidità.
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