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Liu Bolin

Liu Bolin per L’Iran. La foto in esposizione a Milano

L’opera di Liu Bolin portata in vita da alcune donne e attiviste iraniane unite nella lotta contro il regime sanguinario dell’ayatollah. Dal 13 marzo alla Galleria Gaburro di Milano.

2 minuti di lettura

Dal 13 marzo è aperto al pubblico l’accesso alla foto Liu Bolin per l’Iran, della serie Target, in Galleria Gaburro a Milano.

Alle 10 del mattino di mercoledì 8 marzo, Giornata internazionale dei diritti delle donne, e nella Galleria Gaburro, spazio artistico nel centro di Milano, undici donne sono in piedi in fila su una pedana.

Intorno a loro, un gruppo di pittori dipinge le tute che indossano, i loro visi e le loro mani. Al centro di questo gruppo c’è l’artista cinese Liu Bolin, nome noto nel panorama dell’arte contemporanea per le sue opere in cui il soggetto si fonde con lo sfondo fino a una mimesi completa con esso.

Solitamente quelli di Liu Bolin sono autoritratti che uniscono fotografia e body painting (nella galleria sono esposti quelli della serie Hiding in Florence (2022), in cui l’artista si “nasconde” nei luoghi più emblematici di Firenze), ma per la serie Target Bolin coinvolge altri soggetti. Nello specifico, ritrae persone che sono intimamente legate all’immagine rappresentata, costruendo un toccante discorso metarappresentativo che cala sull’opera una potente dimensione emotiva.

È proprio questa la genesi di ciò che sta prendendo forma l’8 marzo nella galleria, una foto in esposizione dal 13 marzo.

Il progetto, realizzato grazie al contributo dell’attrice e attivista Melania Dalla Costa, ha come punto di partenza l’ormai famosa fotografia che ritrae la dissidente iraniana Nasibe Shamsaei intenta a tagliarsi i capelli davanti al consolato iraniano di Istanbul, sull’onda delle proteste che hanno seguito la morte di Mahsa Amini. L’artista è fuggita in Turchia poiché condannata a 12 anni di reclusione in Iran per aver protestato contro l’obbligo di indossare l’hijab.

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A portare vita e animare l’opera di Liu Bolin dandole vero e proprio respiro – un respiro reale e simbolico – sono alcune donne e attiviste iraniane che vivono in Italia e che da Milano protestano contro il regime sanguinario dell’ayatollah.

Insieme al regista Ruggero Gabbai avevamo già parlato con loro in occasione della manifestazione di Roma in piazza San Giovanni in Laterano dell’ottobre 2022 e le ritroviamo nella Galleria Gaburro a posare per la foto di cui saranno allo stesso tempo protagoniste e sfondo.

È Delshad Marsous a spiegarci cosa significhi per lei collaborare con l’artista cinese:

È un onore partecipare alla creazione di quest’opera destinata a rimanere per sempre nella storia dell’arte e a raccontare la nostra storia. Tra venti o trent’anni quando qualcuno guarderà questo scatto, si troverà davanti a un’immagine che immortala il momento storico che stiamo vivendo. Stare sul palco insieme alle mie compagne mi dà forza, c’è la sensazione di essere unite nella lotta, non ci sentiamo sole e sappiamo di poter vincere.

Rayhane Tabrizi, attivista che tra qualche giorno inaugurerà con un suo discorso l’anno accademico dell’Università Statale di Milano, aggiunge:

È un’esperienza unica, è come una medicina per il dolore che noi iraniane proviamo in questo periodo. Le tute che stiamo indossando e che ci hanno dipinto addosso sono abiti da combattimento. Ci sono tante forme di lotta: manifestare in piazza, posare per un’opera, rilasciare interviste, parlare nelle scuole. Noi dissidenti iraniane in Italia non abbiamo la possibilità di combattere fisicamente il nostro nemico, dobbiamo ricorrere ad altri modi per contrastarlo. Attraverso l’arte si può trasmettere un sentimento con grande intensità.

Quando interrogato sul valore della libertà Liu Bolin risponde:

Credo che lo spirito dell’arte risieda nella libera espressione. L’espressione nell’arte è fondamentale ed è ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento.

L’artista cinese si allontana dalla pedana e, osservando a distanza l’opera, posa il pennello insieme agli altri pittori. Le donne sono immobili, pronte per lo scatto fotografico finale, inizialmente in silenzio. Poi, spontaneamente, iniziano a intonare il canto patriottico Ey Irān in un momento di commozione collettiva. Delshad si emoziona e spiega:

Cantando pensiamo a quello che sta succedendo in Iran, agli attacchi chimici contro gli istituti femminili, al dolore che sentiamo nel cuore perché non siamo lì a combattere. Ma non per questo ci fermeremo o perderemo la nostra forza. Continueremo a percorrere questa strada, portare avanti i nostri progetti, bussare a ogni porta per poterne aprire una.

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Chiara Passoni

Nata e cresciuta a Milano, laureata in lettere ed editoria, appassionata e lavoratrice del cinema. Trovo nel documentario in tutte le sue forme e modalità il mezzo ideale per rappresentare, conoscere e riflettere sulla realtà.

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