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“L’indifferente” e il genio
di Proust in embrione

3 minuti di lettura

Nulla è perduto nella parabola artistica ed esistenziale di Marcel Proust. Nemmeno una «stupida novella» [1] pubblicata su La Vie contemporaine, cassata e poi cercata nel momento di stesura di uno dei più grandi capolavori del Novecento. Niente è superfluo se si pensa all’artista come somma di ciò che ha fatto, seminando nel tempo le tracce di ciò che da lì a pochi – o tanti – anni germinerà.

Il rinnegamento di un proprio scritto è usanza diffusa tra le grandi menti della letteratura, ma l’utilizzo dell’aggettivo «stupida» applicata alla novella in questione è per Proust più un capriccio formale che una valutazione sul suo operato. In una lettera del 1910, l’autore chiede all’amico Robert de Flers di aiutarlo a ritrovare ciò che era apparso su La Vie contemporaine, semplicemente perché ne ha bisogno. Nessun errore giovanile dunque, ma una preziosa fonte d’ispirazione per il lavoro successivo. E che lavoro. Nel 1910 Proust è infatti nel pieno della stesura del suo capolavoro, À la recherche du temps perdu. Ciò può significare solo una cosa, ossia che la «stupida novella» contiene in nuce buona parte degli elementi di cui Proust necessita per rendere grande la sua opera.

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Così effettivamente è; Philip Kolb, a cui va il grande merito di aver scovato lo scritto – intitolato L’indifferente – afferma senza dubbio che in esso si preannuncia, in maniera sorprendente, la materia e la maniera del futuro Marcel Proust. Non è difficile capire perché. L’argomento de L’Indifférent è essenzialmente lo stesso di Un amour de Swann: la “cristallizzazione” e la sedimentazione dell’amore di una dama («la donna più viziata di Parigi») per un uomo che non ha nulla di particolare se non l’assoluta indifferenza che mostra nei suoi confronti. Un uomo che lei ammira unicamente perché lo ama:

«Era proprio perché Madeleine lo amava che nessun viso, nessun sorriso, nessun passo le parevano gradevoli come quello di Lepré; non che lo amasse perché il suo viso, il suo sorriso, il suo passo fossero più gradevoli di altri».

Un amore i cui fondamenti Proust enuncia in maniera chiara, preannunciando le ragioni della futura passione tra il Narratore e Albertine:

«Le ragioni del suo amore erano in lei, e se erano un poco anche in lei, non consistevano in una superiorità intellettuale e nemmeno in una superiorità fisica»

È la fatalità delle inclinazioni amorose, qui abbozzata in maniera certo rudimentale, ma già completamente avviata verso la trattazione matura che Proust saprà farne più tardi nella Recherche. L’esempio più chiaro è senza dubbio il comportamento che Madeleine tiene in presenza di Lepré, quando vorrebbe «quasi inconsciamente applicare le massime di civetteria contenute nel celebre “Se io non ti amo, tu m’ami”». Non le riesce, come non ne sarà in grado il Narratore con la duchessa di Guermantes e con Albertine:

«Certo, come un tempo avevo detto ad Albertine: “Non ti amo”, perché mi amasse; “Dimentico le persone, quando non le vedo”, perché mi vedesse spesso; “Ho deciso di lasciarti”, per prevenire ogni idea di separazione; se ora le dicevo “addio per sempre” era perché volevo assolutamente che tornasse entro una settimana; se le dicevo “sarebbe pericoloso rivederti”, era perché volevo rivederla; se le scrivevo: “hai avuto ragione, saremmo infelici insieme” era perché vivere separato da lei mi pareva peggiore della morte».

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La sua è un’«inclinazione inspiegabile», come quella di Swann per Odette, di Saint-Loup per Rachel. Lepré è un uomo affascinante, non più di qualsiasi altro però. A farlo eleggere a baluardo di assoluto desiderio è in realtà la sua partenza, un’assenza che si trasforma in bisogno quasi fisico: «…solo in quel momento comprendeva, sentendo tutto ciò che le veniva strappato, che cosa fosse penetrato in lei». Lo stesso bisogno, la stessa mancanza che Swann avverte la sera in cui arriva dai Verdurin e Odette se n’è già andata.

Eccola la «stupida novella» su «Lepré, l’Opera ecc.» [2] che Marcel Proust utilizzò per Un amour de Swann. Una storia banale, con personaggi condotti male, ma pienamente inserita nel contesto dei lavori ombreggiati dalla Recherche in cui si scorge in germe il genio del nostro autore.

 [1]Lettera inedita di Marcel Proust all’amico Robert de Flers, 1910

[2] Proust M., Lettres à Reynaldo Hahn, présentées, datées et annotées par Philip Kolb, Gallimard, Paris, 1956, p. 25

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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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