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Liliana Segre

Liliana Segre è il simbolo della resistenza nell’Italia salviniana

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3 minuti di lettura

Il dissenso di Liliana Segre

Ogni era politica è pregna di un dissenso: si manifesta con l’opposizione partitica, con le proteste in piazza, con i discorsi da bar. Quasi sempre si tratta del dissenso a un orientamento, a un leader, a una legge. La dialettica delle ideologie è ciò che permette una maturazione e un avanzamento storico verso la modernità.

Eppure ci sono ere politiche in cui il dissenso è più importante che in altre, perché non si tratta di un dissenso di natura politica bensì morale. E il dissenso morale, a differenza di quello politico, ha la pretesa di esistere e di essere visto, riconosciuto da chi ha gli occhi per farlo.

Liliana Segre

Non è raro, perciò, cercare in questa necessità dell’etica una figura che incarni lo spirito della rivoluzione, molto spesso tramandato da una storia precedente che torna ad essere attuale e a premere sulle coscienze. Liliana Segre è la persona che, oggi, rappresenta questo dissenso.

Ambasciator che porta pena

Liliana Segre

Testimone del suo passato, reincarnatosi in lei come da una precedente vita che è riemersa in sintomi del presente, Liliana Segre è il simbolo della resistenza nell’Italia salviniana. Questo titolo non fa di lei la rappresentante di uno schieramento politico, ma la messaggera di una verità storica di cui, suo malgrado, è stata investita quando era solo una bambina.

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Le leggi razziali, infatti, le si imposero violentemente addosso buttandola fuori dalla scuola che frequentava e privandola poi dalla serie di libertà di cui ogni essere umano ha il diritto di disporre. Arrestata nel 1943, all’età di tredici anni, fu internata nel campo di concentramento di Aushwitz-Birkenau fino a gennaio del 1945, quando il lager fu evacuato. La sua unica colpa appartenere a una razza, quella ebraica, vittima del terribile sterminio che prende il nome di olocausto.

Liliana Segre

Per non dimenticare

Senatrice a vita, è impegnata ormai da anni in un’intensa attività di testimonianza degli orrori che ha vissuto. Molto vicina ai giovani, la sua attività è intensa soprattutto nelle scuole dove ama parlare agli studenti e tramandare la sua storia per un fine ben preciso: combattere l’indifferenza.

Liliana Segre

Ed è proprio la parola indifferenza che le fa più orrore. Quando, infatti, la pronuncia durante le interviste e le diverse apparizioni televisive, l’espressione dei suoi occhi cambia. In questa metamorfosi di sguardo è possibile ancora intravedere la matrice della sua paura, raccontata con la dignità delle parole semplici.

Pur terrorizzandola, però, non smette di pronunciarla, anzi ha persino voluto che fosse scritta al binario 21 della stazione centrale di Milano, da dove partivano i convogli che portavano ai campi di concentramento tedeschi. Indifferenza. È accaduto tutto per indifferenza.

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Contro ogni discriminazione

È usuale che la storia si ripeta. Sono sufficienti nomi diversi, a volte, perché la dimenticanza prevalga sulla logica. Eppure, questa frequenza non deve darci l’illusione della normalità: è anormale cedere all’istinto e far tacere la memoria. Da animali, più che da uomini.

Ma ancor più grave è quando, piuttosto che alla dimenticanza, cediamo appunto all’indifferenza, uno stato che presuppone, comunque, una comprensione di quanto ci circonda a cui non ci interessiamo o, peggio, accettiamo come inevitabile. Per questo l’indifferenza spaventa: è una scelta.

Liliana Segre

Pur non essendosi schierata apertamente contro l’attuale Governo, e in particolare contro il Ministro dell’Interno Matteo SalviniLiliana Segre è un simbolo di una lotta alla discriminazione, alla disparità di trattamento e alla violenza, quella che nell’indifferenza può vestirsi anche della legittimazione della legge per imporsi dietro la giustificazione dell’ordine.

In un clima di incontestabile e crescente intolleranza in cui si promettono leggi che faranno chiudere prima i negozietti etnici, di sindaci indagati per troppa liberalità e di scuole alla cui mensa gli studenti sono separati in base al colore della loro pelle, chi ha subito una discriminazione in un tempo e in un contesto differenti rappresenta un monito.

Un monito a sfuggire a quel che si racconta, a quello che si rappresenta, al far sì che nel nostro Paese si debba parlare ancora di superstiti, di sopravvissuti a una condizione determinata dalle nostre politiche e dal nostro affidamento a una politica di discriminazione.

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Siate uomini ragionevoli, e non bestie senza ragione

Poco tempo fa, nel corso di un’intervista televisiva, Liliana Segre raccontava di quando una detenuta nel campo di concentramento le aveva offerto una fettina di carota, gelosamente custodita, dopo aver colto il suo malessere e la sua solitudine.

Liliana Segre

In quel gesto di infinita solidarietà lei aveva colto la persistenza della generosità anche nel luogo dove l’orrore prosperava in maniera incontrollata. Quel gesto, quella tacita promessa di vita era la negazione dell’indifferenza anche lì, dove il dolore avrebbe avuto modo, più che in ogni altro luogo, di prevalere.

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Il suo racconto non è una semplice rievocazione storica, ma una parabola (purtroppo reale) che ha il potere di insegnarci un valore incontrovertibile: ci si può distrarre e dimenticare di essere umani, ma non si può smettere di esserlo.

Gianluca Grimaldi

Napoletano di nascita, milanese d'adozione, mi occupo prevalentemente di cinema e letteratura.
Laureato in giurisprudenza, amo viaggiare e annotare, ovunque sia, i dettagli che mi restano impressi.

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