Ricorre oggi la Giornata della Memoria, simbolicamente il giorno dell’anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. Quando si parla della Shoah, ci sembrano eloquenti queste parole di Primo Levi: «Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario». Conoscere e ricordare questa tragedia è un primo, imprescindibile passo per non commettere gli stessi errori del passato. Con il passare degli anni, si fa sempre più necessario per le nuove generazioni raccogliere il testimone di chi ha vissuto in prima persona il dramma del nazismo, del fascismo e della Shoah. La Redazione Letteratura di Frammenti Rivista ha scelto alcune libri sulla Shoah per riflettere su una delle pagine più buie della Storia e dire ancora una volta: mai più.
«Filastrocche della nera luce (Cronache della Shoah)» di Giuseppe Manfridi
Un mosaico di anime, un coro straziato. Nell’ossimoro del titolo l’opera di Manfridi rivela un’urgenza sovvertitrice, il bisogno di svincolare il dramma da forme canoniche usurate, gravate dal peso dell’organicità testuale. Retto da una scrittura multipla e modulare, Filastrocche della nera luce interroga il senso della Storia mediante il peso della parola, eterno strumento di diffrazione delle tenebre obliose.
C’è, in questi versi “minori”, un ritorno all’oralità come pratica di conservazione, l’idea che sia il succedersi delle voci a garantire memoria. Ogni frazione del testo, sebbene in apparenza autonoma, si configura come elemento di un raffinato intarsio, tutto centrato sulla rievocazione del Male. In quest’ottica, le Cronache della Shoah rappresentano un “dono” da trasmettere ai posteri, una storia da ripetere ad alta voce – come si faceva una volta – per evitare che il mondo abrada i segni del tempo.
Ginevra Amadio
«Io non mi chiamo Miriam» di Majgull Axelsson
Io non mi chiamo Miriam di Majgull Axelsson è uno dei libri sulla Shoah che narra un lato dell’Olocausto poco affrontato in letteratura: la persecuzione dei rom. All’indomani del suo ottantacinquesimo compleanno, Miriam Goldberg, protagonista del romanzo, svela alla sua famiglia la sua vera identità. Lei, in realtà, si chiama Malika, di etnia rom, e da anni ha vissuto come ebrea per scappare alla discriminazione e alla violenza verso i rom, continuata anche dopo l’Olocausto.
Questo romanzo di Majgull Axelsson è la lettura perfetta per la Giornata della Memoria, poiché mette in chiaro la necessità di prendere coraggio e narrare la violenza della Shoah, e come Miriam di farlo con le generazioni future, qui rappresentate dalla nipote Camilla, affinché le vite di coloro che sono stati uccisi dai nazisti non cadano nell’oblio, ma anche per far sì che la violenza dell’Olocausto non accada mai più.
Alberto Paolo Palumbo
«Quando Hitler rubò il coniglio rosa» di Judith Kerr
Il romanzo, semiautobiografico, racconta la storia di due fratellini ebrei, Anna e Max, costretti insieme ai genitori a lasciare la Germania all’indomani dell’insediamento di Hitler. I due piccoli protagonisti imparano a fatica a convivere con una realtà ben più grande di loro, che nel concreto si traduce in continui traslochi, nella perdita dell’agiatezza e nella difficoltà di dover comunicare, una volta in Francia, in una lingua sconosciuta, con l’umiliazione che deriva dal sentirsi stranieri.
Quando Hitler rubò il coniglio rosa è un libro narrato dal punto di vista di una bambina, che si prefigge di raccontare ad altri bambini cosa furono le leggi razziali. Il coniglio rosa del titolo non è solo il peluche che Anna lascia in Germania e che non rivedrà più, ma anche il simbolo dell’infanzia che la follia nazista sottrasse a milioni di bambini. Per questi motivi è uno dei migliori libri sulla Shoah da leggere per la Giornata della Memoria.
Francesca Cerutti
«Ogni cosa è illuminata» di Jonathan Safran Foer
La memoria come ricerca. Per Jonathan Safran Foer la realtà storica non è sufficiente a riequilibrare le ingiustizie del mondo. È necessaria la letteratura per dare dignità a quanto la storia ha in qualche modo cancellato. Così, in Ogni cosa è illuminata l’autore ricerca e, al tempo stesso, ricostruisce, scava e assembla, in un gioco di linguaggio sperimentale ed evocativo.
Da un lato racconta di un viaggio nell’Europa dell’est alla ricerca delle sue origini ebraiche. Dall’altro la scrittura si cimenta nella ricostruzione, tra realtà e immaginazione, del villaggio in cui i suoi antenati vivevano. Due storie che scorrono in parallelo, fino alla sovrapposizione. Un romanzo che strizza l’occhio al Realismo magico sudamericano, pur essendone culturalmente molto distante, e che mescola la ricerca di sé alla storia del XX secolo: un viaggio tra ebraismo, nostalgia, ironia e poesia su cui incombe l’ombra amara della Shoah.
Gianluca Grimaldi
«I sommersi e i salvati» di Primo Levi
Ne I sommersi e i salvati, pubblicato un anno prima del suicidio, Primo Levi parla in modo molto freddo e razionale della sua esperienza nel lager nazista, quasi rivedendo a mente fredda il suo primo libro, Se questo è un uomo. Qui analizza le strutture gerarchiche di quel mondo, implicite ed esplicite, che nella loro assurdità arrivano a creare un complesso di rapporti intersoggettivi volti all’annientamento dell’individuo.
Analizza i rapporti tra oppressi e oppressori, menzionando anche la via mediana tra queste due condizioni, la “zona grigia”. Ed è soprattutto qui che si ferma il focus dell’analisi: questa assurda zona è infatti abitata da colui che è oppressore e oppresso allo stesso momento, colui che è connivente col suo assassino e talvolta gli si sostituisce, ponendo le basi della logica irrazionale del lager. Così Primo Levi, tra le righe di quest’opera, uno dei migliori libri sulla Shoah, racconta i vari passaggi dell’annientamento di un uomo, seguendo il filo della logica assurda dell’abominio dell’Olocausto.
Vladislav Karaneuski
«Yossl Rakover si rivolge a Dio» di Zvi Kolitz
Nel giorno della Pasqua ebraica del 1943, le SS invadono il Ghetto di Varsavia con i lanciafiamme. Trovano gli ebrei pronti a resistervi, destinati a soccombere all’assalto. Fra questi c’è Yossl Rakover, protagonista di Yossl Rakover si rivolge a Dio: nascosto tra le macerie di un palazzo, nell’attesa di essere raggiunto dalla morte, si rivolge infatti a Dio, al dio il cui nome, dice la Torah, sarà pronunciato solo alla fine dei tempi.
Zvi Kolitz, scrittore lituano, ce ne ha dato il resoconto immaginifico in questo piccolo, intenso libro, che tematizza con efficacia il nodo che stringe la fede ebraica nell’Alleanza all’abominio dello sterminio nazista. Come può Dio, se esiste, concedere tutto questo? E come può l’ebraismo sopravvivere a questa disfatta e continuare a credere, voler continuare a credere nonostante tutto? Interrogativi, questi, che si traducono nella rabbia disperata di un uomo che, come Giobbe una volta, pur considerandolo ingiusto non vuole abbandonare il proprio Dio.
Giovanni Fava
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