Mancanza di libertà per eccesso di liberalismo: sembra un paradosso, ma non lo è. La ragione sta nella complessità del significato della “libertà”: una parola capace di descrivere molteplici e diversi aspetti della vita umana e sociale, un valore che le varie culture politiche hanno declinato in modi differenti.
Che cos’è la libertà? Bella domanda. Ognuno, almeno una volta nella vita, se l’è posta. La filosofia, nella sua storia millenaria, ha tentato di rispondere in vari modi: è possibilità di scelta tra opzioni ed opportunità diverse; è assenza di vincoli e costrizioni esterne; è la capacità individuale di darsi da sé le norme del proprio agire, senza lasciarsele imporre dall’esterno.
Ai diversi significati della libertà corrispondono differenti rivendicazioni politiche e differenti visioni della società e dell’economia. La cultura politica egemone oggi, il neo-liberismo, affonda le sue radici nell’opera intellettuale di Friedrich Von Hayek, il quale afferma il valore assoluto della libertà intesa come assenza di vincoli esterni all’agire individuale e pone al centro della riflessione la domanda “quale assetto costituzionale è capace di assicurare il massimo di libertá individuale?”
La risposta che darà, e che oggi è patrimonio politico-culturale delle classi dirigenti occidentali, è lo “Stato minimo“: le istituzioni pubbliche devono ridursi al minimo, soprattutto nella funzione di produzione e distribuzione della ricchezza, lasciando i cittadini liberi di perseguire i propri interessi privati e devolvendo al mercato il ruolo di produzione dell’assetto sociale. La “società”, in questo senso, è il prodotto impersonale e oggettivo delle dinamiche sistemiche di interazione e scontro tra i vari interessi privati: non ci deve essere alcun intervento pubblico che influisca sulle differenze ed i rapporti di forza della società civile.
La pensa diversamente chi ha un’impostazione socialista: dal momento che l’esercizio della libertà necessita di una sicurezza materiale minima (secondo la massima pertiniana per cui non è libero chi muore di fame), e la società civile presenta differenze di mezzi materiali tra individui famiglie e organizzazioni di fasce reddituali e patrimoniali differenti, l’intervento pubblico riequilibratore è necessario proprio allo scopo di assicurare il maggior grado possibile (e socialmente desiderabile) di uguale libertà individuale.
La teoria neo-liberale di Hayek ha ispirato i vari riformismi delle classi dirigenti occidentali degli ultimi 30 anni ed è alla base del sistema economico in cui viviamo. Due effetti di questo sistema sono particolarmente rilevanti: da una parte, l’accentramento di ricchezza nelle mani dell’èlite socio-economica; dall’altra, il fatto che l’individuo non può, né singolarmente né collettivamente, mettere in dubbio le regole del gioco, ed anzi più le accetta (più accetta, cioè, l’uguaglianza giuridica a prescindere dalle differenze socio-economiche) meno diritto ha di contestarne i risultati finali.
Chi mette in discussione la sacralità del libero mercato applicato a tutte le dimensioni della vita è tacciato di estremismo e populismo; le elezioni sono viste dai mercati finanziari come un fattore di instabilità, per cui sarebbe meglio se non si votasse mai o ci fosse un semplice turn-over istituzionale tra tecnocrati che condividono una stessa, quasi identica concezione del mondo.
Il neo-liberismo ha aperto uno scontro palese e lacerante tra le diverse concezioni della libertà appartenenti alla modernità: pur di assicurare il massimo di libertà individuale dai vincoli esterni (delle istituzioni pubbliche), piano piano è stata erosa sia la libertà nel senso di scelta individuale tra molteplici opportunità – ormai la scelta del cittadino-lavoratore è praticamente soltanto quella di quale ingranaggio vuole essere, e gli ingranaggi non sono liberi ma funzionali al funzionamento di un sistema complessivo; con l’aggravante che spesso le condizioni materiali costringono a scegliere posizioni lavorative degradanti e scarsamente remunerate – sia nel senso dell’azione collettiva, che non può essere più rivolta a cambiamenti radicali ma unicamente alla rivendicazione di particolari issues (le varie “cause”, dai diritti civili a quelli degli animali, per esempio). Il messaggio politico-culturale che dall’alto piove sui popoli suona più o meno così: mettetevi l’anima in pace, così funziona oggi il mondo e voi non siete altro che formichine che devono fare il loro lavoro.
Il neo-liberismo ha pugnalato a morte non solo l’uguaglianza, ma l’essenza stessa della libertà: oggi un patrimonio reale delle sole èlite internazionali capaci di muoversi agilmente nei circuiti della globalizzazione e accedere a tutti i beni e servizi del mercato. I social network e la globalizzazione informatica fanno il resto: un abitante della periferia del Veneto o del Wisconsin si accorge facilmente che, mentre la propria scelta si riduce a quale lavoro dipendente accettare e quale marca di dentifricio comprare, c’è una ristretta èlite mondiale che è libera di scegliere di che colore verniciare il proprio jet privato.
Diseguaglianza alle stelle, impossibilità di incidere sull’assetto esistente con gli strumenti della politica convenzionale: inevitabile che le classi medio-basse di tutti i Paesi occidentali, che non solo stanno da decenni arretrando nella scala dei redditi e delle condizioni materiali ma neppure hanno una speranza e strumenti democratici reali per migliorare il proprio futuro, si rifugino nei populismi demagogici di estrema destra, con cui magari non hanno una piena aderenza ideologica ma che almeno danno una prospettiva di futuro differente dall’oggi.
Il neo-liberismo sta portando alla morte del progressismo in tutto l’Occidente. I Trump e Le Pen vari sono, purtroppo, una logica conseguenza. Alle forze progressiste l’arduo compito di ripensare l’assetto politico, istituzionale ed economico prima che tutti i governi europei siano conquistati da forze populiste di estrema destra.
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