Molti sono gli artisti scontratisi con l’inclemenza del tempo, che col suo scorrere ha sfumato i loro contorni e forme, fino a farli quasi sparire del tutto. Questo è ciò che è accaduto a Théodore de Banville, poeta e drammaturgo francese, nonché padre dell’estetica parnassiana. Le sue opere, fonte d’ispirazione per i più grandi autori simbolisti, fra cui Charles Baudelaire, Stéphane Mallarmé e Arthur Rimbaud, hanno goduto di grande fama, amate dal pubblico e dalla critica, per poi, inaspettatamente, finire nel dimenticatoio.
All’epoca soprannominato «le poète du bonheur» (il poeta della felicità), Étienne Jean Baptiste Claude Théodore Faullain de Banville (Moulins, 14 marzo 1823 Moulins – Parigi, 13 marzo 1891), fu una figura di grande rilevanza nell’ambiente artistico-culturale parigino. Amico dei grandi dell’epoca, fra cui il compagno di scuola Théophile Gautier, era un punto di riferimento fondamentale per i giovani talenti emergenti, e fu proprio lui a scoprire il genio ineguagliato del grande Arthur Rimbaud. Giornalista e scrittore, Banville era celebre soprattutto per la sua produzione poetica, e in particolar modo per le sue Odes funambolesques e Les Exilés.
Tra le sue opere, fu però una modesta raccolta di soli 21 sonetti a suscitare grande ammirazione presso i contemporanei. Si tratta di Les Princesses (le principesse), piccolo canzoniere celebrante alcune fra le più grandi principesse della storia e della mitologia, cammei preziosi, plasmati, quasi incisi, minuziosamente nella materia.
Le Principesse, specchio dei cieli ridenti, tesoro dei tempi, sono, per noi, rivenute al mondo […] risplendono le chiome sulle fronti rilucenti, s’animano i loro seni di neve, e le loro labbra s’aprono come fiori sanguigni.
Da Le Principesse
Esaltando gli ideali di bellezza come pura unità estetica, Banville descrive queste donne come fossero cristallizzate nel tempo, perfettamente intatte, per sempre belle e giovani. Semiramide, gloriosa colomba di neve, Arianna, trionfante e indolente e poi Medea, Cleopatra, Lucrezia Borgia, Maria Stuart, Erodiade.
Figure immortali, che hanno ispirato grandi artisti, si vestono con le loro chiome folte e brillanti, la pelle sublimata in puro avorio, avvolte da inebrianti profumi come fiori esotici, la loro umanità si sgretola, ed esse diventano immagini votive, da contemplare in silenzio, come icone sacre.
«Passa Lamballe, seduta accanto alla regina […] e tutti ammirano quel bagliore di giglio e di gioventù, e quegli sguardi da infante dagli accordi così teneri».
Da La principessa di Lamballe
Madonne velate da stoffe preziose, alle quali l’artista offre la sua litania d’amore.
«La regina di Saba […] fiera sotto il bagliore vermiglio delle sue vesti, svuota, sulle ginocchia del re Salomone, un vaso di zaffiro da cui cadono rubini».
Da La regina di Saba
Nei piccoli sonetti, Banville decide di raccontare la loro immagine, invece della loro storia. Analizza i fatti, come anche il mito, attraverso l’occhio del poeta. Inscrive tutto in un istante preciso: Messalina avvolta da una pelliccia festeggia insieme ai suoi amanti, la principessa Borghese posa nuda per Canova, Andromeda giace nuda e pallida fra le sabbie del deserto.
«La principessa Borghese è nuda, e lo scultore vede scaturire davanti a sé, come un giglio incantatore, questo giovane corpo, che rifulge di forza e gioventù»
Da La Principessa Borghese
Colte nel momento in cui la loro bellezza e la loro gloria raggiungono l’apice, nella gioia così come nel dolore, bambine innocenti, oppure donne nella più florida maturità.
Accanto a questi delicati profili, vengono sparsi fiori leggiadri, gioielli e abiti riccamente decorati dai colori sgargianti, e poi animali esotici, folle di sudditi adoranti: è tutto un corteo di meraviglie che quasi incorniciano le mistiche figure.
Precedute dalle parole di altri grandi poeti, come Ovidio, Apollonio, Virgilio ma anche Leconte-de-l’Isle e Victor Hugo, queste poesie racchiudono quello che sarà lo spirito del movimento parnassiano, la legge dell’arte per l’arte, che non si prefigge alcun obiettivo se non quello di impressionare e affascinare. Queste donne non vengono elogiate in quanto esempi di moralità e virtù, di valore o coraggio. Queste principesse sono semplicemente belle. Oltre la pittura, la musica o la poesia, la donna è l’estetica.
Presente nelle librerie di tutti i grandi poeti simbolisti, Les Princesses è ormai scomparso dagli scaffali e giace impolverato dagli antiquari o nelle cantine. Come i più grandi tesori, ne riecheggia la leggenda nelle antologie o nei testi di letteratura, ma anche se si presenta come un leggero richiamo appena percettibile, quest’opera è un canto sublime, un inno alla divinità della poesia, un coro di dee che incarnano l’essenza delle bellezze perdute.
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