Se è vero che l’avvento delle fotocamere digitali, ha in qualche modo cancellato la ritualità di andare dal fotografo per sviluppare e stampare i rullini, allo stesso modo il telefonino, o meglio il «fotofonino», ha sostituito in parte le macchine fotografiche?
Da qualche anno si parla di «mobile-photography», in Italia di «fotografia mobile», mentre gli studi e le critiche, da parte dei professionisti non mancano, anzi si moltiplicano. Questo avviene in concomitanza proprio con il compimento della metamorfosi multimediale, con l’accelerazione dei telefonini che diventano smartphone sempre più multiuso e con la nascita delle prime mostre fotografiche riservate esclusivamente al mondo delle fotografie da cellulare, la più ampia mai organizzata, al Columbus Museum of Art nel febbraio 2015, come a sancire il cambiamento in atto.
Da una parte la trasformazione sembra molto lontana e sognata, dall’altra parte le critiche si fanno negative e dure di fronte al «cellulare scatta foto».
Con gli smartphone la fotografia è diventata a portata di tutti. Certo poi la penna non fa lo scrittore, e la differenza spesso sta in quello che si fotografa e come. Ma il vero problema è che c’è chi di professione non fa il fotografo e per hobby, la sera va a fare foto nei locali, per poi regalarle. Così si rovina il mercato e si svaluta il nostro lavoro.
Pasquale Modica, fotografo professionista
La fotografia nasce per circolare, indipendentemente dall’apparecchio usato, perché è per natura un prodotto seriale. La stessa mobilità del mezzo non è proprio una novità. Si pensi alla rivoluzione causata dalla Leica nel Novecento, senza la quale non avremmo il fotogiornalismo e neppure la Magnum Photos.
Denis Curtis, vicepresidente della Fondazione Forma
Quindi, si possono scattare foto d’autore con uno smartphone? Può essere chiamato artista, il fotografo munito di telefono cellulare? Può essere chiamata fotografia, quella scattata tra una telefonata e l’altra?
È giunta da poco al termine, l’edizione dell’Annual iPhone Photography Awards 2015, meglio nota come IPPAWARDS, concorso nato nel 2007 in una nuvola di opinioni disparate e discordanti. Così, giunti alla nona edizione, tutte le parole spese, per cercare di spiegare come un telefonino, non possa scattare fotografie degne di menzione, sono decadute. Il concorso diventa una vera celebrazione della fotografia mobile, attrae a sé molti sguardi e rimanda proprio ai principi fondamentali della fotografia. Infatti, tolto l’ingombro della macchina fotografica e dei suoi relativi obbiettivi, il telefono cellulare ha un altro punto a suo vantaggio, oltre alla possibilità di maneggevolezza e di condivisione, rende possibile la concentrazione sull’unico modo possibile, per gestire lo scatto fotografico: luce, composizione, inquadratura.
L’edizione IPPAWARDS di quest’anno vede partecipanti da 120 paesi del mondo, tra i quali sono stati selezionati tre vincitori assoluti e altri vincitori per tutte le singole categorie.
Migliaia di fotografie inviate con una sola regola da rispettare: scattare con un supporto Apple – tra iPhone, iPad e iPod; è solo questione di scelta.
Se il «buon fotografo» di Irving Penn è quella persona che comunica un fatto, tocca il cuore e fa diventare l’osservatore una persona diversa, perché il nostro interesse è ancora così concentrato sulla macchina, piuttosto che sul risultato?
Forse non servono così tante parole: oggigiorno siamo talmente legati alle attrezzature, alle loro prestazioni vere o presunte, che spesso dimentichiamo cos’è la fotografia, la «base emotiva» da cui partire. È invece nella spinta propulsiva all’innovazione continua – tecnologica e quindi estetica – che troviamo il punto forte della fotografia mobile.
Se in quest’ottica, non confondiamo il fine con i mezzi, una fotografia diventa racconto che arriva a destinazione, storia in grado di toccare le corde sensibili delle emozioni, di spiegare dando risposte o di creare nuove domande. L’espressione «immortalare», privilegio e vanto della lingua italiana, acquista sempre più senso e coglie il vero e sintetizzato attributo della fotografia: vi è dentro la morte e la sua negazione. La fotografia uccide il vivo e vivifica il morto, come era arrivato a capire, un giorno lontano, il bisnonno di Ferdinando Scianna, prima ancora di Roland Barthes.
Certo, non si sta parlando di prestazioni tecniche o di stampa fotografica, questi sono discorsi che toccano tutt’altro significato, il pragmatismo visto come visione realistica e pratica di uno strumento; qui invece, la fotografia mobile si fa promotrice del potere di «rappresentazione e presentazione» fotografica e della sua magia, semplice, di fermare il tempo.
Il telefono cellulare, visto quasi come una prolunga del nostro corso, tende ad azzerare quasi completamente la distanza che si creava tra fotografo e soggetto fotografato.
Persino Steve McCurry, parlando di fotografia mobile, non denigra a priori l’opzione, che, nella sua carriera, potrebbe mai esserci una mostra realizzata con fotografie da cellulare, pur separando la fotografia digitale da quella mobile e ammettendo di non poterle confrontare definitivamente.
«Quello che conta è il messaggio: il mezzo è indubbiamente secondario».
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