Tutti conoscono, anche solo di vista, la fotografia Lacrime di vetro di Man Ray: lacrime dalla forma insolitamente rotonda colano dagli occhi di una giovane donna di cui si scorgono solo pochi dettagli del viso. Secondo alcuni biografi, si ipotizza che la fotografia sia stata scattata il giorno dopo la separazione dell’artista dalla sua musa, Lee Miller.
Chi era Lee Miller?
Erroneamente conosciuta talvolta solo come amante ispiratrice di Man Ray e, in seguito, moglie del poeta inglese Penrose, Lee Miller, all’anagrafe Elisabeth, è stata ben più di un semplice contorno della vita artistica altrui.
Rivoluzionaria, spirito possente e ambizioso, portatrice di un daimon artistico troppo spesso ridimensionato per il suo esser donna e la sua bellezza angelica, da attrice hollywoodiana. Diceva di sé: «Sembravo un angelo fuori. Ero un demonio, invece, dentro».
Il suo inferno interiore era stata l’infanzia, lo stupro ad appena sette anni, la gonorrea, l’interesse morboso del padre che iniziò a ritrarla nuda sin da bambina.
Il talento, più che la bellezza, fu la sua maledizione da assecondare con viaggi e ricerche di un progetto artistico che potesse raccontare la sua storia.
La fotografia come percorso di rinascita
Nata nel 1907 nello stato di New York, dopo i primi burrascosi anni dell’infanzia e dell’adolescenza, ebbe una breve parentesi come modella per la rivista americana Vogue, ma la sua naturale inclinazione alla fotografia prevalse sull’appagamento dell’essere ritratta con vestiti e gioielli costosi. Iniziò a dedicarsi all’arte della fotografia, di cui già aveva appreso i primi rudimenti dal padre e, stanca della vita a New York, si trasferì nella poliedrica Parigi degli anni ‘20.
Nella città degli artisti, incontrò uno dei più famosi fotografi dell’epoca, Man Ray, chiedendogli di poter essere la sua assistente. Lui prima si rifiutò, poi fu sorpreso dalla sua bravura. Fu l’inizio di un sodalizio artistico ed umano che segnò per sempre la vita di entrambi: in breve tempo, la stima artistica reciproca si trasformò in un amore passionale e tormentato.
Lee divenne la protagonista di alcuni dei più famosi scatti di Man Ray, alimentando il suo percorso di maturazione e ossessione per i dettagli del corpo. Allo stesso tempo, Ray intinse dai principali canoni del movimento surrealista che influenzarono la sua attività artistica di quel periodo. Dopo tre anni di convivenza, i due si separarono e Lee tornò a New York dove conobbe il suo primo marito, l’egiziano Aziz Eloui Bey. Il matrimonio, però, durò poco: stanca della vita a Il Cairo, Lee si recò a Londra dove conobbe il suo secondo marito, il poete inglese Penrose.
Furono anni di grande fermento artistico, alimentato anche dall’amicizia con Picasso che la ritrasse in sei dipinti.
Sul fronte
Ma il suo inferno dentro ben presto tornò a bruciare. Stanca di limitarsi a semplici ritratti, Lee Miller chiese di essere mandata al fronte: fu una delle prime fotoreporter donna della storia.
Era la fine della guerra e fu lei a scattare le prime fotografie di Parigi liberata e del campo di concentramento di Dachau abbandonato dai soldati tedeschi.
Sono le sue foto di guerra ad essere rimaste come le più conosciute della sua carriera: foto semplici, prive degli orpelli artistici che aveva maturato nei suoi anni a Parigi, ma pregne di un verismo doloroso. Fu lì, in quei luoghi di silenzio post-bellico, che Lee Miller diede finalmente forma alla sua storia.
Ma quei volti consunti, il pallore della neve che riempì l’Europa in quei mesi, quelle vite interrotte, quei cadaveri bianchi che fotografò, non le diedero più tregua: negli anni successivi, la depressione e l’alcol furono le costanti della sua vita. Visse gli ultimi anni in ritiro, continuando a ricevere visite dei suoi amici artisti e a pubblicare occasionalmente fotografie per Vogue. Si dedicò alla cucina, sciogliendo a poco a poco il suo malessere insieme agli ingredienti delle sue ricette che le diedero un nuovo volto di madre e casalinga perfetta. Morì di cancro a settant’anni, nel silenzio di una città di provincia.
La sua fama non è mai stata al livello della sua vita e del suo talento. Spesso sottovalutata, la storia della fotografia ha spesso annoverato Lee Miller solo in virtù del suo ruolo di musa, non tenendo conto, oltre che di importanti meriti artistici, anche di quelli tecnici: è suo, infatti, il merito di aver scoperto la tecnica della solarizzazione, erroneamente attribuita proprio a Man Ray.
Il suo è il caso più eclatante di quanto la straordinarietà possa cedere il posto all’oblio quando i biografi decidono di darti un nome che non è il tuo e un ruolo che non hai mai voluto avere.
Ma forse lei la fama non la cercava nemmeno, cercava solamente l’origine del male, altrui e proprio. Dovette avvertire l’impossibilità di questa prova autoimposta quando posò per uno dei suoi scatti più celebri, nella vasca da bagno di Adolf Hitler, a poche ore dalla sua morte: gli scarponi a terra, i vestiti su una sedia e gli occhi puntati altrove, mentre con la mano cerca di far andar via qualcosa impresso per sempre sulla pelle.