di Susanna Causarano
Domenica 7 giugno è stata una giornata storica per la Turchia e il suo popolo: per la prima volta in tredici anni il presidente Recep Tayyip Erdogan ha perso la maggioranza assoluta e, novità importante di queste elezioni, il partito filocurdo (Hdp) di Selahattin Demirtas ha ottenuto il 13% e con esso il diritto di sedersi in Parlamento. Certamente non è finita, anzi questo risultato è solo l’inizio. Entro un paio di mesi infatti, bisognerà tornare alle urne se i repubblicani del Chp, i nazionalisti del Mhp e i filocurdi dell’Hdp non raccolgono la sfida, lanciata loro dal vicepremier Bulent Arinc, ad allearsi fra loro e governare. Erdogan dal canto suo mostra di aver incassato il colpo, limitandosi ad una stringata dichiarazione in cui si premura di ricordare che «nessuno può governare da solo» e che «l’obiettivo primario e unico resta il bene della nazione». Non si può fare a meno di sorridere pensando che è lo stesso uomo desideroso di vedere all’ergastolo, se non peggio, Can Dündar e Ceyda Karan , rispettivamente direttore e caporedattrice agli Esteri del quotidiano d’opposizione Cumhuriyet. Colpe? Aver illustrato un editoriale con il disegno della copertina dello storico numero dei superstiti di Charlie Hebdo. Meno male che Erdogan aveva partecipato alla cordata dei capi di stato a Parigi per dire no al fondamentalismo, al terrorismo e a chi nega la libertà di espressione. E non è finita qui.
Dündar è stato accusato contemporaneamente di mentire e di spionaggio per aver pubblicato sul sito del giornale un video che mostra gli agenti del Mit, il servizio segreto turco, nell’atto di scortare un carico di munizioni al confine con la Siria, per consegnarlo agli jihadisti e quindi probabilmente anche all’Isis. Dündar e la sua redazione sono tra gli esultanti per il risultato elettorale che ha fatto sfumare il progetto di Erdogan per una repubblica presidenziale, ma sanno quanto il lavoro culturale per far capire ai turchi il vero compito della democrazia, cioè arginare il potere, sia grosso e necessario. Nulla è ancora definitivo, ma certo è che l’entrata in parlamento dei curdi desta non poco entusiasmo, specialmente considerando quanto l’opinione pubblica internazionale li veda positivamente per aver resistito all’ondata jihadista in Iraq e aver cacciato l’Isis da Kobane, che ne aveva fatto una delle sue principali roccaforti. Inoltre i curdi sono in maggioranza sunniti, con la presenza di minoranze sciite e cristiane, oltre ad un’infinità di altre confessioni che riflettono la storia delle regioni in cui si trovano (Turchia, Siria, Iraq e Iran) e il cancro salafita o jihadista ha fatto scarsa breccia in questo popolo che ha sempre anteposto la questione della rivendicazione al fattore religioso. In questo scenario i curdi si collocano come alfieri di pace contro gli oppressori, facendoci ricordare l’ondata di entusiasmo che ha seguito la vittoria di Tsipras in Grecia, pur trovandosi i due paesi in situazione estremamente differenti. In un momento come quello che stiamo vivendo nel quale, almeno a parole, si punta il dito contro l’intolleranza e il fanatismo religioso, i curdi si sono posti come combattenti attivi contro i miliziani jihadisti e per questo sono diventati i beniamini di chi si batte per la libertà in opposizione all’ignoranza , all’oscurantismo e alla violenza islamista. Ora, con il risultato inatteso alle elezioni turche, hanno l’occasione di allearsi con le altre forze politiche e provare a costruire una società laica in uno stato al centro della bufera mediorientale. Staremo a vedere.