I freelance di tutto il mondo e di tutti i secoli hanno dovuto scendere a patti con la realtà: l’affitto non si paga da solo. Sentiamo dunque un Mozart obbligato a dare lezioni di musica pur di mantenere la libertà artistica fino a comporre su commissione la sua ultima opera. Vediamo un Goya che oltre ai suoi orrori su tela dipinge su incarico uno dei suoi quadri più commoventi. Leggiamo un Lovecraft, il Copernico del racconto horror, piegarsi e scrivere uno dei suoi incubi migliori. Con un occhio rivolto al passato, guardiamo uno scorcio di vita di questi grandi artisti che hanno dovuto, per fortuna, firmare un contratto per donarci i lavori su commissione celebri della storia.
Lavori su commissione celebri: Un antico contratto standard
«In primo luogo il detto maestro Johan Barceló pittore promette e si obbliga col detto obriere di dipingere il retablo della chiesa di San Francesco […] Nel retablo farà e si obbligherà a fare le storie seguenti. […] E il detto Gaspar Romanga obriere promette e si impegna a dare a detto maestro Johan Barceló tutto l’oro, azzurro e carminio che nel detto retablo sarà necessario […].»
Le parole che abbiamo appena letto erano piuttosto comuni del XV secolo. Si tratta infatti di un accordo tra un committente, in questo caso l’obriere del S. Francesco di Alghero, e un artista, il pittore Joan Barceló a cui era stato commissionato nel 1448 il Retablo della Visitazione, oggi conservato nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari.
In un’epoca non così lontana, gli artisti erano considerati dei professionisti freelance e i contratti parlavano chiaro: l’artista doveva seguire le direttive del committente, senza mettere troppo del suo, doveva rispettare una deadline senza sforare un budget, doveva confezionare un lavoro di qualità grazie ai materiali forniti dal suo datore di lavoro. Un contratto, tutto sommato, non così distante da quelli stipulati ancora oggi.
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Andando avanti nei secoli, l’artista assume un ruolo sempre più simile a quello di oggi dove, nelle sue opere, esprime il suo universo interiore. Ma non solo la pittura ha i suoi artisti su commissione.
L’ultimo Requiem di Mozart
Vivere da freelance. Se ancora oggi da molti è considerata un’idea folle, immaginate cosa pensarono all’epoca quando il geniale Mozart decise di non voler lavorare sotto le restrizioni di un contratto, ma di comporre da libero professionista. I genitori lo assillano affinché trovi un lavoro fisso e, per mantenersi, dà lezioni di musica. Purtroppo questo suo proposito di libertà lo porterà a scontrarsi con le regole della società e finirà i suoi anni in miseria. Il suo ultimo capolavoro fu uno dei lavori su commissione più celebri: la Messa di requiem in Re minore K626. Un incarico che non poté portare a termine, quasi quel Requiem fosse il suo.
Lavori su commissione celebri: 3 maggio 1808 di Goya
Del pittore spagnolo ci viene immediatamente in mente un’opera in particolare: Saturno che divora i suoi figli. Un’arte oscura, inquietante, che non solo non fu commissionata, ma addirittura non doveva essere mostrata a nessuno. Per fortuna le cose andarono diversamente. Le stesse pennellate distintive le vediamo molti anni prima in un dipinto in particolare: 3 maggio 1808.
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Un imponente olio su tela, commissionato al Goya dal Consiglio della Reggenza. Un fatto di cronaca che l’artista immortala con le sue sapiente pennellate: gli orrori della guerra e la violenza delle truppe napoleoniche in Spagna in quel periodo. Un quadro che non piacque ai Borboni al loro ritorno e la visione del dipinto fu vietata al pubblico. Solo dopo ben 40 anni fu possibile ammirare il dipinto in tutta la sua grandiosa drammaticità al museo del Prado a Madrid, dov’è conservato tutt’ora.
Herbert West, rianimatore di H.P. Lovecraft
Concludiamo con una lettera del Solitario di Providence ad un suo amico a proposito della sua prima opera su commissione nel 1921:
“Il nostro comune amico […] Mi ha chiesto di scrivergli una serie di storie truculente per un compenso di cinque dollari l’una […]. È una cosa decisamente non artistica. Scrivere su ordinazione, e tracciare un personaggio attraverso una serie di episodi artificiali, comporta la violazione di ogni spontaneità e unità di espressione, che sono caratteristiche fondamentali della narrativa breve. Riduce l’infelice autore a discendere al livello dei pennivendoli meccanici e privi di immaginazione. Tuttavia, quando si ha bisogno di denaro, non è lecito farsi scrupoli: perciò, ho accettato il lavoro”.
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