Non solo La ragazza con l’orecchino di perla. Non solo quello sguardo limpido e spaesato, le labbra carnose e il volto semplice e aggraziato che sono entrati nell’immaginario collettivo grazie – ahinoi – al seducente charme di Scarlett Johannson. Jan Vermeer ha dipinto una quarantina di quadri (pochi, in realtà) eppure il suo nome, con la firma singolare I V Meer, resta inevitabilmente imprigionato tra le stoffe modeste di quel turbante blu che copre il capo della ragazza più famosa d’Olanda.
Del pittore si sa poco, ma mai nessuno più di lui ha alimentato leggende e sentimentalismi, ricevuto omaggi e dichiarazioni solenni, causato file chilometriche per vedere un suo quadro e sindromi di Stendhal da capogiro. Marcel Proust, ne La Recherche, racconta dell’amore di Bergotte per l’artista olandese, un amore che lo porterà a morire pur di vedere una sua opera. Jan Vermeer è questo, è ossessione e passione, «livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti». Ogni dipinto è catarsi, tempo che si ferma, sentimento appassionato. La giovane dall’orecchino di perla ha lo sguardo ipnotico di chi non è consapevole della propria bellezza e provoca turbamenti, impossibilità d’azione, inaridimento della gola. Eppure, non è la sola.
C’è una tela, al Rijksmuseum, che nelle sue piccole dimensioni sprigiona un mondo di emozioni e potenza espressiva. Vi è raffigurata una donna con in mano una brocca, intenta a versare del latte in una scodella. Nello spazio minuto di 45,5 x 41cm, Veermer compendia tutta l’essenza della semplicità: La lattaia che compie un gesto banale, il quale probabilmente ha ripetuto migliaia di volte, viene fissata per sempre sulla tela, trasformando la quotidianità dell’azione in un atto solenne. In un ambiente disadorno, vicino a una finestra dal vetro rotto, una domestica in abiti modesti è diventata la suprema virtù della Temperanza. Sì, perché questa viene solitamente rappresentata come una giovane donna che versa acqua, in un silenzio impalpabile sospeso tra vita e realtà senza tempo. Il volto sereno, la semplicità del gesto chiaro ma concentrato, la luce che entra dalla finestra restituiscono l’immagine di una realtà decantata, fissata in una dimensione del tutto contemplativa. È proprio il fiotto di luce a guidare l’osservatore verso la mano della donna e il candore del latte, illuminando i particolari dell’interno domestico che Vermeer riproduce in maniera impeccabile, arrivando persino a indicare il chiodo attaccato al muro e i fori sulla parete, i decori delle ceramiche e il baluginio del rame.
Ogni materiale è riprodotto nella sua perfetta consistenza, dai vimini del paniere al tessuto grezzo dell’abito, fino ad arrivare al cotone della cuffia inamidata. In alcuni punti il colore è un po’ più spesso, in altri coglie maggiormente la luce rivelando dettagli di assoluto realismo, come il pane che, incredibilmente, mostra una sottile crosta croccante. Gli abiti della giovane poi, con pennellate sottili, lontane dalla compostezza della pittura fiamminga, sono di un giallo vivo e vibrante mentre l’azzurro, comunemente ricavato dall’azzurrite, viene reso attraverso il costoso blu di lapislazzuli.
Ciò che rimane, dopo aver ammirato il ritratto de La lattaia di Jan Vermeer, è un senso di intimità intensamente vissuta, una realtà ordinata e muta che nella luce di una finestra rotto trasforma un gesto ordinario in qualcosa di trascendente: «in Vermeer la vita quotidiana appare sotto l’aspetto dell’eternità» (Charles de Tolnay).