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Rubens

L’arte del ritratto alla corte di Rubens

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Ogni artista (o quasi) conosce un momento di svolta nella propria ricerca, un momento di nuova consapevolezza espressiva che talvolta – nei casi più meritevoli o solamente fortunati – prelude ad una brillante carriera. Ebbene, per Pieter Paul Rubens, futuro maestro indiscusso del Barocco, la svolta arriva quando, nel 1608, torna ad Anversa dall’Italia. Negli anni precedenti egli ha intrapreso, al pari degli altri giovani aspiranti pittori, un intenso viaggio nella penisola italiana, da Mantova, dove realizza tre tele monumentali per il duca Vincenzo I Gonzaga, a Venezia, dove giunge attirato dall’opera di Tiziano, che continuerà ad ammirare nel corso della propria carriera. Rubens torna ad Anversa proprio quando la Tregua dei dodici anni riporta la pace nelle Province Unite e gli artisti sono chiamati a riportare gli edifici della città fiamminga al loro massimo splendore. Ecco allora che Rubens realizza l’Adorazione dei Magi, concepita per ornare il municipio ed ora al Museo di Belle Arti di Lione, o il trittico dell’Innalzamento della croce per la cattedrale. Dalle tematiche religiose a quelle storiche e mitologiche, Rubens ama essenzialmente tutto ciò che coinvolge la figura umana perciò, inevitabilmente, la sua produzione riserva una cospicua e interessante pagina alla ritrattistica.

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Pieter Paul Rubens, Autoritratto, 1630 circa, Antwerpen, Rubenshuis

Rubens è l’artista più europeo del proprio tempo, vicino all’ambiente privilegiato delle corti, introdotto nelle cerchie dei grandi d’Europa che, per mezzo delle sue pennellate, si impegnerà a magnificare. Con la propria opera, l’artista fiammingo cambia profondamente i codici del ritratto: anziché proporre delle figure statiche, egli introduce delle pose di 3/4, spesso accompagnate da delle fughe sul fondale che si aprono in ampi paesaggi, oltre a ricercare nell’immagine un equilibrio tra l’aspetto della fragilità umana e quella sorta di astrazione veicolata da ogni rappresentazione di un monarca. La novità proposta da Rubens, dunque, è la ricerca dell’uomo dietro alla maschera del personaggio, la comprensione della sua psicologica al di là della funzione regale.

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Pieter Paul Rubens, Ritratto di Maria de Medici, 1622, Madrid, Museo del Prado

La produzione ritrattistica di Rubens

Nel 1621, la fama del pittore valica il confine francese, giungendo alle orecchie di Maria de Medici. Nel cuore di Parigi, la vedova del re Enrico IV fa erigire il Palazzo del Lussemburgo e ne commissiona a Rubens la decorazione con un ciclo di 24 tavole in suo onore. Attraverso queste enormi composizioni, oggi al Museo del Louvre, l’artista riesce a tradurre la vita della sovrana in un vero e proprio racconto epico di un’esistenza quasi eroica. Dalla nascita della regina all’assassinio di Enrico IV, sino all’allegorica tavola della riconciliazione tra Maria de Medici e il figlio Luigi XIII, questa prima, grande ed impegnativa commissione segna una tappa chiave nella carriera di Rubens. La sovrana si affida al pittore fiammingo anche per la realizzazione di uno dei suoi più celebri ritratti, un ritratto tanto monumentale quanto sobrio, dominato dalla massa scura dell’abito, appena interrotta dal biancore del volto e delle mani e dalla sfumatura argentea del voluminoso colletto. Un’opera in cui fermezza e pacatezza sono al contempo rivelate dalle pieghe del volto come se la regina, pur avendo concluso il periodo di reggenza, tenesse a rimarcare la propria incancellabile, rigorosa presenza nella gestione degli affari di stato.

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Pieter Paul Rubens, Luigi XIII, 1622, olio su carta
Pieter Paul Rubens, Ritratto di Luigi XIII di Francia, 1622-1625, olio su tela, Pasadena, Norton Simon Museum

La grande particolarità di Rubens è una straordinaria capacità nel riuscire a cogliere l’animo dei personaggi e a trasporlo sulla tela. Ciò si può notare, in particolar modo, da un ritratto ad olio, dipinto su carta, rappresentante il re Luigi XIII di Francia nel 1622, dunque negli stessi anni della composizione del cosiddetto Ciclo di Maria de Medici. È un ritratto intimista, risalente al periodo in cui il giovane sovrano ha appena superato il conflitto politico con la madre; egli è intenzionato ad imporsi ma in realtà il suo volto è tutt’altro che carismatico ed emana ancora un senso di estraniazione. Opera coeva, il ritratto ufficiale di Luigi XIII lo raffigura invece come sovrano guerriero, rivestito dell’armatura e del drappo reale. Gli storici dell’arte concordano nell’affermare come Rubens abbia realizzato la testa mentre il resto del quadro sia stato completato dal suo atelier. Le differenze tra le due rappresentazioni del medesimo soggetto sono evidenti. In questo ritratto celebrativo, di rappresentanza, la dimensione psicologica del re in quanto uomo è secondaria. La finalità dell’insieme è invece divulgare un’immagine splendente e trionfante della monarchia francese. Il trionfo, dunque, del principio monarchico che è in realtà del tutto indipendente dalla persona accidentale del sovrano.

Pieter Paul Rubens, Hélène Fourment con carrozza, 1639, olio su tela, Parigi, Museo del Louvre

I ritratti delle consorti

Oltre alla nobiltà del tempo, Rubens dedica una ricca produzione ai ritratti delle proprie consorti, prima Isabella Brandt e poi, durante gli ultimi dieci anni di vita dell’artista, Helena Fourment. Di quest’ultima, Rubens tramanderà puntualmente, anno dopo anno, la rinomata bellezza attraverso una serie di quadri, come in una sorta di album fotografico. Nell’ultimo ritratto prima della morte dell’artista, Hélène Fourment con una carrozza, per mezzo di una materia pittorica sfolgorante, Rubens trasfigura la donna in un’effige del genere aristocratico, degna di comparire al fianco dei celebri modelli veneziani che egli aveva ammirato nel corso della propria carriera. Anche l’ambientazione architettonica, come la possente colonna alle spalle del figlioletto Frans, evoca le architetture classiche italiane ammirate nel corso del viaggio di formazione dell’artista.

Pieter Paul Rubens, Ritratto di Isabella Brandt, 1625, olio su tela, Firenze, Galleria degli Uffizi

Non sono, però, neppure da trascurare le altrettanto copiose raffigurazioni dedicate alla prima moglie. Le opere seguono pressoché tutte il medesimo schema che possiamo enunciare prendendo come esempio l’ultimo ritratto di Isabella Brandt prima della sua scomparsa, avvenuta nel 1626. La figura, esaltata da un neutrale sfondo scuro, è connotata dai tratti realistici e intensi del volto, da un abito elegante, minuziosamente riprodotto da Rubens, e da preziosi gioielli, esibiti a testimoniare la prosperità della famiglia che, tra l’attività politica e quella commerciale, aveva fatto fortuna nella ricca Anversa tra Cinquecento e Seicento.  

In conclusione, è proprio la produzione ritrattistica a permetterci di incontrare, se possibile, il Rubens più autentico ed intimo. Le sue opere ci svelano i tratti di un uomo colto e raffinato, un intellettuale, un artista cosmopolita conteso tra le corti, un fine indagatore dell’umano. Un pittore arrivato a toccare le corde più profonde dell’animo dei potenti del tempo, fino ad elevarsi anch’esso tra i più grandi della propria epoca.

 

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Jennifer Marie Collavo

Nata nel '96 ma del secolo sbagliato, cresciuta in una famiglia multiculturale e multilingue. Una laurea in Conservazione e gestione dei beni culturali ed un'insopprimibile passione per tutto ciò che è antico, enigmatico e che esce dall'ordinario. Ama follemente i cipressi, Napoleone, la spumosa schiuma della birra e i viaggi on the road.

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