Che cosa ci porta a parlare di “rapporto”? Le parti che lo compongono sono simmetriche? Che ne è del desiderio e del godimento? Un tentativo di risposta può essere abbozzato alla luce del pensiero di Jacques Lacan (1901-1981), psichiatra, psicoanalista e filosofo francese. Degli elementi che compongono il suo vastissimo insegnamento, ci serviamo qui dei principali, per capire in particolare il perché della struttura problematica del rapporto sessuale, il quale per Lacan non esiste, e quali siano i ruoli del godimento e dell’amore.
Jacques Lacan e la questione del godimento
L’esempio a cui Lacan stesso si riferisce in qualche occasione è l’espressione di pienezza e assoluta soddisfazione che possiamo osservare nel neonato dopo la poppata. Si tratta chiaramente di un godimento sganciato dalla logica del bisogno: il neonato non solo ha saziato la sua fame, ma ci dice attraverso la sua espressione che si è prodotto un “di più” rispetto al semplice soddisfacimento del bisogno. Il soggetto tenderà quindi a questo “di più”, un godimento che tocca in primis il corpo. Non fosse che il godimento, nell’esperienza umana, non è mai completo, ma sbriciolato, perduto per sempre, e questo spinge alla ricerca continua del soddisfacimento, tramite la parola o gli oggetti.
Il discorso di Lacan ruota attorno a due fondamentali tipi di godimento, profondamente diversi e rivelatori. Il godimento fallico da un lato, segnato da un limite e vincolato all’ “Uno” dell’organo, godimento che non si identifica con il moto della pulsione e tende ad escludere il rapporto con l’Altro, proprio a causa dell’ “ingombro” dell’organo fallico. L’uomo è attratto e gode di un frammento del corpo della donna, quel dettaglio che Lacan chiama «oggetto piccolo a» e che rievoca nostalgicamente il primo oggetto d’amore, la madre. Il che contribuisce a far mancare l’incontro e la relazione con la particolarità e l’essere dell’Altro nella sua totalità.
Dall’altro lato il godimento femminile, capace secondo Lacan di accedere ad un “al di là” del godimento fallico, essendo dell’ordine dell’infinito e in grado di fare esperienza dell’eccesso come apertura, esorbitanza, manifestazione della vita. Libero dalla schiavitù del fallo, il godimento femminile è sganciato dalla tirannia del pezzo, del frammento di corpo, ma vive anche una fragilità identitaria, che porta a cercare conferma del proprio essere nel desiderio dell’Altro.
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Il rapporto sessuale non esiste
L’esperienza del godimento è strutturalmente destinata a fallire, perché rappresenta la ricerca ripetitiva di una pienezza immaginaria che risulta impossibile. «Non esiste rapporto sessuale», che naturalmente non vuol dire che non si compiano atti sessuali, significa allora che non c’è la possibilità che il rapporto tra i sessi sia simbolizzato, quindi gli esseri umani, sul piano del godimento sessuale, rimangono reciprocamente “in esilio”. Per nessuno dei due versanti il godimento riesce a “fare rapporto”, produrre condivisione, ma rimane uno iato, qualcosa che non va. Non è cioè mai possibile fare Uno con l’Altro attraverso la sessualità.
Anche se c’è, l’atto sessuale non arriva mai a cogliere il rapporto sessuale. Per Lacan è proprio il godimento dell’organo ad impedire il rapporto: «il godimento fallico è l’ostacolo per cui l’uomo non arriva a godere del corpo della donna, precisamente perché ciò di cui gode è il godimento dell’organo» (Il seminario. Libro XX. Ancora. Acquista). Per riassumere, il godimento sessuale non produce rapporto sessuale poiché il corpo “si gode” come un Uno senza l’Altro, in modo autoerotico. In questo senso, per Lacan «due corpi non possono fare uno».
L’amore come supplenza
Una volta chiarito che il godimento non possa essere la risposta, Lacan fa emergere come unica “supplenza” possibile l’amore, che diventa quindi un ponte in grado di far comunicare le due parti, restituendo loro la possibilità di incontrarsi al di là del godimento. Si tratta di una supplenza e non di un complemento, perché l’Uno rimane di fatto impossibile, tanto che nonostante l’amore sia una tensione verso l’Uno,«non fa mai uscire nessuno da se stesso». Dal momento che la propria incompletezza è destinata a rimanere tale, il partner diventa nell’amore il segno che ci risveglia come soggetti di desiderio, aperti all’incontro con la diversità dell’Altro e non ridotti alla ricerca di una pienezza chiusa su se stessa.
Così l’amore risponde all’impossibilità dei due di fare Uno: se sul piano del godimento non esiste rapporto tra i due godimenti sessuali, sul piano del desiderio è possibile ritrovare nel partner la condizione del mio aprirmi all’Altro: «solo l’amore permette al godimento di accondiscendere al desiderio» (Il seminario. Libro X, L’angoscia. Acquista).
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Una simmetria forzata
Mettiamo da parte l’amore: a questo punto che cosa può compensare questa dissimmetria fondamentale dei sessi? Non si tratta forse di qualche cosa di indispensabile e costitutivo? Di qualche cosa di cui in realtà facciamo esperienza continuamente, in ogni tipo di incontro, che non avviene mai tra “uguali”, ma tra piani sfalsati, che giocano a sopraffarsi e magari anche ad annientarsi reciprocamente, in quanto portatori di differenze di ogni genere? Una necessaria asimmetria questa, troppo spesso ridicolmente demonizzata per fare di tutto un “rapporto”.
Nel nostro caso, una sessualità forzata a diventare rapporto sessuale, che inevitabilmente perde il “profumo simbolico” della seduzione e del desiderio, e si pone quasi come un “contratto di scambio”, che firmiamo alla luce di una pesante e costante spinta al godimento. Un po’ come se quest’ultimo fosse riuscito a farsi obbligo, in una realtà che sembra doverci soddisfare a tutti i costi, sempre nell’ossessione per quella simmetria del tutto illusoria e priva di senso in cui incarceriamo gli incontri.
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