Adele, con la sua atipica voce soul, avvolge l’ascoltatore e lo stringe a sé,
fino a impedirgli ogni movimento. Con lei la musica pop ha ritrovato
autenticità e sincerità, qualità che si credevano
ormai perse nella materialità dell’industria musicale.
di Mattia Marasti
Adele è silenziosa, entra nelle stanze, ma senza farsi sentire. Cammina appoggiando prima la pianta e poi sfiorando il pavimento con un movimento perpendicolare. Adele ha una carnagione chiara, quella classica carnagione da ragazza londinese cresciuta a bere thè fissando la pioggia che scorre sui vetri della finestra; alle feste Adele se ne sta in disparte, sorseggiando il suo drink, con gli occhi bassi e con addosso lunghi vestiti scuri, abbelliti da gioielli splendenti, il cui bagliore si disperde tra la folla. Ma Adele è anche quella bomba ad orologeria pronta a scoppiare da un momento all’altro, quella ragazza che hai sempre visto lontana, giù, nel piccolo spiazzo di cortile del tuo liceo dove vi nascondete per fumare, ma che poi scopri scrivere poesie lunghissime e malinconiche.
Stregare, è questo il verbo. Adele strega il suo ascoltatore. La sua voce non è la classica voce soul, una voce tecnica, ma che ben presto dimostra la sua inconsistenza, come un carico di plastica sbattuto in faccia; la sua voce all’inizio somiglia al canto del cigno morente che invoca i tempi andati e piange la sua sorte, ma presto si trasforma in un manto caldo, culla l’ascoltatore e come un polpo lo stringe fino a renderlo incapace al movimento. E sopratutto è sincera. Forse è questa la caratteristica che rende Adele unica nel panorama musicale non solo soul o anglofono, ma mondiale: è tremendamente sincera.
Nel suo ultimo video, uscito qualche giorno, che ha già fatto il boom di visualizzazioni su Youtube, Hello (alla cui regia c’è il geniale Xavier Dolan, regista omosessuale e emergente, premio della critica a Cannes per Mommy), Adele è rappresentata con un seppia malinconico, intenta ad accendere il fuoco per il the e sbattere le tende, mentre scorrono le immagini di una storia d’amore finita: con il suo volto piazzato là davanti alla telecamera – le guance paffute, gli occhi circoscritti da uno strato di matita – sembra davvero sputarti fuori tutto il suo dolore. Come se dicesse: ecco questa sono io. Si spoglia.
Allo stesso modo fa nelle interviste. Nell’ultima rilasciata a Rolling Stone Adele si mostra nella nudità della sua persona. Si pone davanti a noi che leggiamo nel modo più sincero e diretto possibile: ci parla del figlio, con costanza utilizza il termine fucking, parla di come si sia sentita male mentre il suo album precedente, 21, diventava sempre più importante, di come la pioggia abbia rovinato la gita allo Zoo con suo figlio, di come in realtà tenti di fuggire dalla sua vita da star, riprendendo anche le conoscenze di quando era adolescente. E questa presunta autenticità – concediamo il beneficio del dubbio – non può che giovare all’ascoltatore, soprattutto in un’epoca in cui il pop si dimostra quanto di più materiale, costruito e distante dall’intimità dell’artista possa essere concepito.
Il fatto che Adele sia ormai un fenomeno mondiale, con ascoltatori che si ritrovano nei bar, sui social, quasi a formare una famiglia, dimostra che ancora il pubblico ha bisogno di essere sviscerato, di vedere il dolore che si trasforma in stelle supernova che si bruciano nel cielo blu notte: come Pandora, infatti, Adele libera tutti i mali, ma allo stesso tempo tende l’arco trafiggendoli uno ad uno, soffocandoli poi nei suoi acuti.
C’è un aneddoto su Tommaso d’Aquino. All’Università il suo soprannome era Bue Muto: era un uomo di grossa stazza, sangue normanno, le spalle ben piazzate, il naso che scendeva dalla fronte in modo prorompente. Durante una disputatio, un dibattito tra studenti all’interno dell’Università medievale, interpellato da Alberto Magno lui, che tendeva al silenzio, alla riflessione, all’introverso, rispose con una tale chiarezza di pensiero che il maestro, rivolto alla classe, affermò che i muggiti di questo bue sarebbero risuonati in tutto il mondo. Non esiste modo migliore per parlare di lei, Adele, la ragazza in carne e dall’aria triste. Ha deciso di smettere di bere («i bambini se ne accorgono che non hai forze, loro non guardano molto al tuo stato fisico, anche se sei in un dopo sbornia» ha detto), di fumare sempre meno, sta imparando a crescere superando la crisi avuta dopo aver compiuto 25 anni.
L’unica cosa che non deve fare è rinunciare a divorare la sua intimità, rigettandola fuori sotto forma di canzoni.
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