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La Spagna al voto: larghe intese all’orizzonte?

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Oggi, domenica 20 dicembre, la quarta economia europea si sta recando alle urne per scegliere il futuro primo ministro. Per la prima volta dopo la caduta del regime di Francisco Franco, in Spagna, non ci sarà un confronto bipolare tra il Partito Popolare (PP) e il Partito Socialista (PSOE). Alla contesa si aggiungono i neonati Ciudadanos e Podemos. Dopo il voto indipendentista di fine settembre in Catalogna e il calo drastico della fiducia nelle istituzioni e nei partiti tradizionali, il clima di tensione e confusione si è diffuso nell’intero paese.

Ad ambire alla prestigiosa poltrona c’è innanzitutto il primo ministro in carica Mariano Rajoy. Personalità sbiadita e dai tratti grotteschi, il primo ministro ha approfittato nel 2011 della pessima gestione socialista dei primi anni di crisi finanziaria per prendersi una maggioranza assoluta in parlamento. Da sempre sostenitore di una politica di austerità, Rajoy ha portato in questi quattro anni la Spagna a risanare le proprie finanze, aumentando però l’imposizione fiscale e tagliando con la cesoia le spese per la previdenza sociale. Nel frattempo gli scandali si sono susseguiti, fino all’arresto del precedente ministro dell’economia del PP per frode ai danni dello stato, tangenti e corruzione. Per quanto il presidente non sia stato direttamente coinvolto nello scandalo, i consensi nei suoi confronti si sono ampiamente dimezzati, fino all’attuale 22-25%.

A seguire Pedro Sanchez, giovane economista quarantatreenne, della cui abilità di portare il PSOE alla vittoria non sono in pochi a dubitare. Nonostante il programma rivolto a una generica critica alla sudditanza del PP rispetto alle misure di austerità volute dall’Europa e a una promessa di investimenti su scuola e salute, Sanchez sembra non convincere appieno i suoi elettori. Il tentativo del giovane leader è di sganciarsi dal peso del ricordo del periodo 2004-2011 a guida José Luis Rodríguez Zapatero, che ha permesso all’economia di andare fuori controllo, ricordando invece il periodo e i risultati di Felipe González, che tra gli anni Ottanta e Novanta modernizzò la Spagna facendo nascere lo stato sociale. Contemporaneamente, il giovane leader si trova a dover affrontare la mancanza di sostegno al partito, alla cui leadership mira da tempo il presidente dell’Andalusia, Susana Díaz.

Terzo partito della contesa è l’ex movimento anti-indipendentista catalano Ciudadanos, il cui leader è il giovane 36enne Albert Rivera, volto pulito contro la corruzione e gli sprechi del paese. Dopo essersi piazzato al secondo posto nelle elezioni in Catalogna e relegando il PP ad un misero quarto posto, Ciudadanos si prepara a soffiare il secondo posto al PSOE a livello nazionale se non addirittura ad imporsi come prima forza del paese (impresa ben più difficile). Più volte accusato di essere un partito di centrodestra con la maschera del centro e con l’intenzione di allearsi con il PP dopo le elezioni, Ciudadanos ha sempre respinto le accuse. Tuttavia non si può non ricordare che Ciudadanos e lo stesso Rivera hanno seduto dal 2006 sempre a fianco del PP nei seggi del parlamento catalano, né che lo stesso leader fosse membro del PP appena entrato in politica. A livello europeo Ciudadanos è però nel gruppo dei liberali, l’ALDE, ed effettivamente le proposte sono molto vicine a quelle dei partiti conservatori anglosassoni: liberalizzazioni e taglio delle tasse alle imprese. Non solo: i consiglieri di Rivera, Nada Es Gratis e Luis Garicano, sono economisti appartenenti al gruppo Milton Friedman e vicini alla scuola di Chicago.

Le stranezze di Ciudadanos emergono tanto più in relazione con il quarto concorrente alle elezioni di domenica: Podemos. Pablo Iglesias ha più volte definito Rivera un lupo vestito da pecora, e molti altri hanno visto nel neo-movimento solo lo specchio dietro al quale si nascondono gli interessi della grande finanza e dei grandi industriali. Non solo: se il movimento di Rivera cerca di rigettare e smarcarsi il più possibile dal passato, Podemos evoca sempre i valori della seconda repubblica e lo spirito spagnolo antifascista. Fondato nel 2014, Podemos è guidato dal leader trentasettenne Pablo Iglesias, professore universitario a Madrid. Contro le politiche di austerità, Podemos propone un ripensamento dello stato in Spagna, verso una linea molto simile a quella di Alexis Tsipras in Spagna. Contro la corruzione dilagante Iglesias propone un programma radicale in opposizione ai partiti tradizionalisti e all’ambiguità di Ciudadanos, e spera in una rimonta (difficile), facendo leva soprattutto sulle grandi città, Madrid, Barcellona e Valencia, dove già sta governando.

Come andrà a finire è difficile da dirsi. Certamente è possibile che il PP si affermi nuovamente come primo partito e che i socialisti seguano al secondo posto. Nell’ultima settimana sta crescendo molto il consenso di Podemos che potrebbe ambire ad un terzo posto. Indubbiamente hanno influito l’impietoso dibattito tra Rajoy e Sanchez, il rifiuto del premier di confrontarsi con Iglesias e forse influirà il pugno dato al presidente mercoledì, a termine di una visita a Pontevedra. Probabilmente ci sarà uno scisma netto tra le aree di voto e le fasce di età con le città e i giovani più spostati verso i neonati partiti mentre le campagne e i più anziani saranno più tradizionalisti. Quello che è certo è che nessun partito otterrà la maggioranza di seggi in parlamento e questo porterà a un inevitabile tentativo di creazione di una grande coalizione.

La prima possibilità all’orizzonte è un’alleanza tra il PP, guidato però non da Rajoy ma da Soraya Sáenz de Santamaría, con Ciudadanos. Se questo non dovesse avvenire allora toccherebbe ai socialisti l’incarico di provare a formare un governo e, a questo punto, potrebbe nascere una coalizione sia con Podemos sia con Ciudadanos, ricreando quindi una situazione molto simile a quella che c’è in Portogallo.

Nell’incertezza generale una cosa però è certa: con l’UE che spinge la Spagna a nuovi tagli del budget nel 2016, i mercati staranno bene attenti a quello che succederà.

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Francesco Corti

Dottorando presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano e collaboratore dell'eurodeputato Luigi Morgano. Mi interesso di teorie della democrazia, Unione Europea e politiche sociali nazionali e dell'Unione. Attivo politicamente nel PD dalla fondazione. Ho studiato e lavorato in Germania e in Belgio.

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