L’avvento tecnologico ha avuto, come è noto, un impatto enorme sulla generazione attuale, e forse anche su quella precedente. La comodità è il motore intellettuale di chi, giustamente, pensa al progresso come un supporto alla quotidianità, facendo dei nuovi mezzi un trampolino di lancio verso il futuro. Parlando di punti di vista generazionali, però, non è strano accorgersi che non tutti si trovano d’accordo con questo tipo di novità, con l’evoluzione che mira all’agio, con il progresso che diventa sostegno. Sono, anzi, in molti a rimpiangere un certo stile di vita, fatto di un’educazione alla quale con difficoltà ci si oppone e con una costante macchia nostalgica che rende romantico pensare ai giorni andati.
L’approccio all’attualità segue, quindi, due direzioni diverse, cronologicamente opposte, in cui il rifiuto o l’accettazione del processo evolutivo sono frutti dello stesso albero. Si tratta di una reazione generata dal tempo e, più precisamente, da uno shock che assume le forme del desiderio inconscio. Il risultato è uno slancio ambizioso e irrequieto: passato nostalgico o impulso tecnologico, in ogni caso, due strade prive di un codice che le possa rendere leggibili. Ma ciò non esclude che si possano interpretare. Si può ammettere che la tecnologia sia effettivamente un sollievo: fatica risparmiata, in sostanza. Ma, soprattutto, è possibile individuare un rapporto sottile tra chi guarda malinconicamente al passato e chi si affida alle comodità della rivoluzione tecnologica. Un frammento di tempo in comune. Lo scrittore Antonio Tabucchi ne offre un disegno che ricalca il concetto della saudade, esotica combinazione e madre del sentimento del tempo, del desiderio.
Dal principio: il conflitto, di base, ha origine nel continuo scambio di opinioni, che mette in evidenza una generazione di mezzo, più genericamente uno strumento di passaggio. È la generazione tramite cui il nuovo si è sostituito al vecchio, congelando chi si è ritrovato a subire un po’ la velocità di una svolta simile. Velocità, appunto. Il rapido cambiamento del sistema quotidiano ha messo a soqquadro le abitudini della gente, costringendola ad un aggiornamento costante del mondo che avanza. È comunque una generazione di mezzo che trova conforto nell’età di cui dispone, sia chiaro: la cultura del presente sulla quale i più giovani stanno costruendo il loro percorso formativo è a tutti gli effetti la normalità. E il fatto che il 21esimo secolo abbia portato nelle scuole tutti gli strumenti figli dell’innovazione, sostituendo quelli che il passare degli anni ha reso obsoleti, ai più non stride, perché privi di un parametro opposto con cui confrontarlo. Analogo il procedimento in senso contrario; l’evoluzione è invisibile agli occhi di chi ha superato una certa soglia della vita, oltre la quale è impossibile pensare ad un mondo diverso da quello che il suo tempo ha concesso. Si parla di una generazione ampia, insomma, quella di mezzo, composta da chi possiede – o meglio, ha posseduto – l’altro. Da chi ha avuto un prima e progetta un dopo.
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In virtù di un rapporto tra prima e dopo, chi è in mezzo non può non porsi delle domande. Domande che sorgono dal confronto tra chi agisce sulle basi di un sistema legato al passato e chi è nato già proiettato in questo futuro. Sono due sistemi con obiettivi differenti, da cui nascono impulsi altrettanto differenti, ovvio. Tuttavia, il desiderio di compiacere quell’impulso è alimentato nello stesso modo, ovvero dall’eccesso, che è un’estensione naturale dell’entusiasmo. E in un gioco fatto di eccessi, il desiderio genera silenziosamente il caos.
Gli aspetti della vita che si sono imbattuti nel gigante moderno sono molti, a partire dal modo di comunicare, ad esempio, quasi completamente deviato dall’evoluzione tecnologica – come nel caso dei social network – mostrando tutta una serie di problematiche relazionali che soffocano le generazioni proprie di piattaforme virtuali e chat. Nel nuovo modo di comunicare, i canoni dell’arbitrio espressivo vengono riscritti, eludendo ogni forma di buon senso attraverso il mito – ormai stravolto – della libertà d’opinione. La conseguenza è il distacco fra le persone, in cui l’immobilità relazionale si scontra con la violenza da tastiera. Non solo: le piccole attività commerciali sentono il peso delle grandi aziende, mascherate dall’illusione di riverenza che si cela dietro un click. Perché sì, basta un click per ottenere qualsiasi cosa. E ancora: a pagarne sono tutte le forme d’arte, la letteratura, la musica, il cinema. Espressioni che boccheggiano e chiedono aiuto, che soffrono il calo di attenzione causato dall’agio tecnologico. La pigrizia ha messo in ginocchio l’entusiasmo intellettuale che era proprio di altre culture, di altre generazioni. Sono tutti disagi fomentati dalla stanchezza dei gesti, dalla dipendenza, sorda e letale, che addormenta ogni stimolo di conquista.
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Ma al fianco di quelle che sono le eventuali conseguenze negative del progresso tecnologico, resta da capire i motivi che, al contrario, rendono così attraente guardarsi continuamente alle spalle. Capire su cosa si costruisce la tentazione di sfogliare pagine di libri già terminati e destinati a quella grande libreria che è il corso degli eventi. Ogni elemento ha il suo posto, certo, ma ogni posto è accessibile se la mente si libera dagli obblighi della logica. In tutta probabilità, gioca una parte non secondaria quell’abitudine un po’ romantica della mancanza, che prende allo stomaco e costringe a fare dei salti indietro alla ricerca di un ricordo. Quel sentimento che assume colore nella sfera della nostalgia, insinuandosi nei cassetti delle immagini andate. Qui, nella dimensione della memoria, resta stabile il confronto a due: per combattere un brutto ricordo, non si ricorre ad uno piacevole, ma nostalgico. Il fenomeno del ricordo piacevole appassisce insieme al tempo, fa parte di qualcosa che è impossibile raggiungere perché presume un momento felice legato al passato, e quindi accessibile solo al passato. Eppure la nostalgia esiste, la si cerca, ed è un desiderio tanto amaro quanto irrinunciabile.
Un paese intero, anzi una cultura intera, ha fatto di questo sentimento un tratto distintivo. I portoghesi, nell’espressione saudade, hanno sigillato un vero e proprio concetto, riuscendo a renderlo talmente personale da impedire una qualsiasi traduzione in un’altra lingua. In Viaggi e altri viaggi (acquista), Antonio Tabucchi affronta il tema del viaggio nel più intimo della sua accezione, offrendo al Portogallo una riserva speciale, in nome del legame che per tutta la vita l’ha accostato alla terra lusitana. Il rapporto fra Tabucchi e questo Paese emerge in molti dei suoi romanzi, è però nei Viaggi che racconta la saudade, facendo riferimento ad una delle suggestive vie che caratterizzano Lisbona, rua da Saudade, per l’appunto.
«La saudade è parola portoghese, di impervia traduzione, perché è una parola concetto, perciò viene restituita in altre lingue in maniera approssimativa».
La ricerca di una traduzione del termine in un dizionario portoghese-italiano non rende giustizia al suo significato naturale, perché viene in tutta probabilità associato a “nostalgia”: «parola troppo giovane (fu coniata nel Settecento dal medico svizzero Johannes Hofer) per una faccenda così antica come la saudade», precisa Tabucchi.
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Ad ogni modo, quella della nostalgia rimane la linea guida per il processo che si batte contro l’era tecnologica, ma nel suo senso impreciso, più liberamente interpretato. Allora Tabucchi porge l’altra guancia, proponendo di consultare un dizionario portoghese del calibro del Morrais:
«dopo l’indicazione dell’etimo ‘soidade’ o ‘solitate’, cioè ‘solitudine’, vi darà una definizione molto complessa: “Malinconia causata dal ricordo di un bene perduto; dolore provocato dall’assenza di un oggetto amato; ricordo dolce e insieme triste di una persona cara”».
È qui che Tabucchi mette in scacco la questione. Il nemico della tecnologia non è propriamente il sentimento – un po’ vago e indefinito – della nostalgia, ma quello intraducibile della saudade. Il difetto nell’accettazione del progresso abita una coscienza in mano alla saudade, «qualcosa di straziante, [che] può anche intenerire». Nella sua complessità sembra essere una verità di nebbia, perché di nebbia è fatta l’illusione del passato.
È complicato trovare un equilibrio fra desiderio nostalgico e agio tecnologico. Soprattutto è difficile individuare un collegamento che metta in relazione la metafisica della saudade e la praticità di cui si avvale il progresso. Se però esiste la regola del compromesso come vittoria intellettuale, questa strizza l’occhio all’assurdo. Sempre in riferimento alla saudade, Tabucchi aggiunge che «non si rivolge esclusivamente al passato, ma anche al futuro, perché esprime un desiderio che vorreste si realizzasse». Di fronte a questa ipotesi, lo scrittore non esclude un rapporto tra le due sfere (apparentemente) rivali, e «qui le cose si complicano perché la nostalgia del futuro è un paradosso». Un paradosso, dunque, in un contesto che riguarda sia il passato che il futuro, e la possibilità che si possano incontrare in un valore comune, nel desiderio, forte e implacabile, di qualcosa.
Che sia un’intensa ricerca malinconica del passato o lo stimolo nel domani non fa più differenza, sono percorsi diversi ma che hanno lo stesso punto di partenza. Più precisamente, Tabucchi guarda al problema della nostalgia del futuro da una prospettiva differente. Sembra che la osservi dall’alto, cercando di capirne i movimenti. In rua da Saudade, lo scrittore mette a disposizione l’«ora canonica della saudade», al tramonto, specificando che un momento del genere può generare nel viaggiatore «una sorta di struggimento». E si rivolge direttamente al lettore, ormai immerso nel fascino di quelle descrizioni:
«La vostra immaginazione, facendo uno sgambetto al tempo, vi farà pensare che una volta tornati a casa e alle vostre abitudini vi prenderà la nostalgia di un momento privilegiato della vostra vita».
Tabucchi elimina ora ogni strumento che renda codificabile il tempo, il quale smette di esistere. Il rapporto passato-presente-futuro viene abolito da una sensazione dolce e straziante che raccoglie tutto in un istante, nella saudade: «Ecco, il gioco è fatto; state avendo nostalgia del momento che state vivendo in questo momento. È una nostalgia al futuro». La teoria della nostalgia al futuro – e lo stravolgimento temporale che ne consegue – mette un punto al conflitto fra il passato e il presente che guarda al futuro, fra tradizione e tecnologia. La ricerca sfuma insieme agli impulsi che l’hanno generata, e mutano le direzioni imposte dal desiderio perché svaniscono le coordinate del tempo, rendendole indecifrabili. Sono desideri diversi, strade diverse, ma con lo stesso punto di partenza e lo stesso punto di arrivo.
Sergio Zaza
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