Roma è stata il teatro della vita adulta di Pasolini, palcoscenico ideale per indagare l’uomo e la sua evoluzione. Qui, all’Idroscalo di Ostia, il poeta è stato ucciso il 2 novembre 75. Il compito della città è ora quello di preservarne la memoria.
La Roma della Tuscolana, della Garbatella, del Pigneto. Le baracche del Mandrione, le eleganti vie di Monteverde, le periferie di Rebibbia e la chiesa dell’Eur. Ostia, la Magliana, il quartiere Pietralata. La Roma di Pier Paolo Pasolini è quella della vita adulta, degli anni tra il 1950 e il 1970, la Roma delle periferie e delle borgate, della sperimentazione, dell’abuso edilizio non ancora avviato.
Dopo un periodo difficile al Portico d’Ottavia, è Rebibbia (via Giovanni Tagliere, 3) a regalare a Pasolini la conoscenza della città, della gente, del dialetto:
Ah, il vecchio autobus delle sette, fermo al capolinea di Rebibbia, tra due
baracche, un piccolo grattacielo, solo
nel sapore del gelo o dell’afa…
Quelle facce dei passeggeri quotidiani, come in libera uscita
da tristi caserme,
dignitosi e seri
nella finta vivacità di borghesi
che mascherava la dura,
l’antica loro paura di poveri onesti.
Quanta vita
l’essere corso ogni mattina tra resse
affamate, da una povera casa, perduta nella periferia, a una povera scuola,
perduta nella periferia, a una povera scuola perduta
in un’altra periferia: fatica che accetta solo chi è preso alla gola,
e ogni forma dell’esistenza gli è nemica.
(La religione del mio tempo, 1961).
Qui, in una piccola casa al primo piano, Pasolini compie il suo apprendistato alla vita, quella vita romana che è diversa, è «per chi c’ha li denti», e che non si dimentica facilmente, nemmeno se ci si è spostati a Monteverde e si vive in un tranquillo appartamento di via Fonteiana: «povero come un gatto del Colosseo / vivevo in una borgata tutta calce / e polverone, lontano dalla città / e dalla campagna, stretto ogni giorno / in un autobus rantolante…». A piazza Ferriani c’è una targa, con i versi più veri che PPP abbia scritto: «Ah, giorni di Rebibbia / che io credevo persi in una luce / di necessità, e che ora so così liberi». Tra bandiere della Roma e antenne paraboliche sui balconi, conserva a futura memoria l’immagine di un uomo instancabile che voleva capire l’uomo partendo da lì, da una piazzetta di periferia, su un autobus sgangherato.
Gli anni di Monteverde sono quelli di via Fonteiana, vicino ai “grattacieli”, le case popolari costruite durante il fascismo cui si accede dal cosiddetto Ponte Bianco (con leoni e fasci littori scalpellati). Difficile parlare del quartiere senza richiamare alla mente Ragazzi di vita, il Riccetto e Marcello e la loro corsa per Donna Olimpia: «Dietro il Ponte Bianco non c’erano case ma tutta una immensa area da costruzione, in fondo alla quale, attorno al solco del viale dei Quattro Venti, profondo come un torrente, si stendeva calcinante Monteverde» (Ragazzi di vita, 1955).
Salendo dal Ponte Bianco, in una specie di conca, si trova una fabbrica di binari, la Ferrobeton (in Pasolini Ferrobedò) che il Riccetto conosce bene, come quella periferia «già bruciata dal sole»:
Il Riccetto col branco di gente attraversò il Ferrobedò quant’era lungo, in mezzo alla folla urlante, e giunse davanti a una delle casette. Ma lì c’erano quattro Tedeschi che non lasciavano passare.Accosto la porta c’era un tavolino rovesciato: il Riccetto se l’incollò e corse verso l’uscita. Appena fuori incontrò un giovanotto che gli disse: “Che stai a fa?” “Me lo porto a casa, me lo porto”, rispose il Riccetto. “Vie’ con me, a fesso, che s’annamo a prenne la robba più mejo”.
Il Ferrobeton, come la Purfina (Permolio in Pasolini) più a sud, detta anche Raffineria di Roma, non ci sono più. Della fabbrica non v’è più traccia, e la zona, considerata ormai “compromessa”, è stata cementificata dal Piano Regolatore. In via Donna Olimpia, 30 si era pensato di porre una targa a ricordo degli episodi dei Ragazzi di vita ma non se n’è fatto più niente. Il tempo passa, e la memoria è ingrata.
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Il Riccetto e gli altri si muovono tuttavia anche per le via del Pigneto, di Centocelle, Torpignattara e il Casilino:
Tutt’intorno s’alzavano impalcature e casamenti in costruzione, e grandi prati, depositi di rottami, terreni fabbricabili; da lontano, forse dalla Marranella, dietro il Pigneto, si sentiva giungere la voce d’un grammofono ingrossata dall’alto parlante. […] quando ch’ebbero lasciato alle spalle, passa passo, Porta Furba e si furono bene internati in mezzo a una Shangai di orticelli, strade, reti metalliche, villaggetti di tuguri, spiazzi, cantieri, gruppi di palazzoni, marane, e quasi erano arrivati alla Borgata degli Angeli, che si trova tra Tor Pignattara e il Quadraro […]
(Ragazzi di vita, 1955).
Qui, grazie all’amico Sergio Citti, incontra Franco, l’indimenticabile protagonista di Accattone, quel Vittorio Cataldi che tra furtarelli e risse si trascina indolente per le strade di borgata: «Un giorno Sergio, mentre camminavamo, al semaforo della Marranella, per la Casilina, mi presentò suo fratello Franco che era un ragazzetto di diciassette anni». Girare Accattone tra quelle strade diviene quasi naturale:
Erano giorni stupendi, in cui l’estate ardeva ancora purissima, appena svuotata un po’ dentro, dalla sua furia. Via Fanfulla da Lodi, in mezzo al Pigneto, con le casupole basse, i muretti screpolati, era di una granulosa grandiosità, nella sua estrema piccolezza; una povera, umile, sconosciuta stradetta, perduta sotto il sole, in una Roma che non era Roma.
In Via Fanfulla da Lodi oggi c’è un murale, L’occhio è l’unico che può accorgersi della bellezza di Mauro Pallotta aka Maupal il quale, prendendo spunto da una citazione pasoliniana, rappresenta l’occhio del poeta che, a tratto spesso simile a carboncino, osserva la bellezza del Pigneto, da anni quartiere in fermento e di rinascita culturale. C’è ancora l’antico Bar Necci, al numero 68 della stessa via, che Pasolini usava frequentare sedendosi sotto l’enorme albero che ancora oggi fa ombra ai tavolini sempre affollati.
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Lo spirito è certo molto diverso, locale alla moda e nei circuiti della nuova movida, Necci ha perso molto dell’antico candore genuino, ma ha saputo mantener viva la memoria di uno dei suoi più illustri avventori grazie anche all’impegno del nuovo proprietario Massimo Innocenti, appassionato custode del Pasolini-Pigneto.
Gli ultimi anni di Pasolini trascorrono all’Eur, tra la campagna piena e assolata e un giro in giù, fino a Ostia, luogo infausto e drammatica quinta di un finale atroce. Rossana di Rocco, il volto che ripetutamente Pier Paolo aveva voluto ad incarnare l’angelo nei suoi film, vive all’Eur dove oggi sorge l’Hotel Sheraton e con i suoi occhi chiari e innocenti viene notata dal regista in strada, nelle vicinanze della Basilica dei Santi Pietro e Paolo che in Petrolio viene definita «un S. Pietro falso».
Qui, a via Eufrate, Pasolini vive in un bell’edificio residenziale, accanto a quei “signori” appena trasferitesi dal centro storico. Qui torna a casa, ogni giorno, ogni notte, dopo una vita trascorsa nel genio. Fino a quel 2 novembre 1975.
Quella notte Pier Paolo Pasolini viene ucciso in un campo degradato dell’Idroscalo di Ostia, a pochi passi dalle casupole abusive e dal Tevere maleodorante: «“Che, se n’annamo a Ostia? Fece il Riccetto, “oggi sto ingranato”. “Eh” fece spostando su e giù tutti gli ossacci della sua faccia Alvaro. “C’avrai dupiotte, c’avrai…”» (Ragazzi di vita, 1955).
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Lì, in un luogo surreale che sembra aver mantenuto intatta l’inquietudine di quei giorni fuori dal tempo e della storia, lo scultore Mario Rosati ha realizzato un monumento dedicato alla memoria del poeta. Una scultura in marmo, per anni rimasta abbandonata a se stessa tra fango, sterpaglie e acquitrini. Non una targa a ricordare il massacro, non una luce a far chiarezza nel buio. Il perimetro è stato poi bonificato, e la statua si trova ora recintata, circondata finalmente da natura rifiorita. Inserita nel Centro Habitat Mediterraneo della LIPU, è ora il punto cardinale del parco letterario Pier Paolo Pasolini, che ha – alla buon’ora – una targa a ricordo, testimonianza di una morte che «non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi».
A Ostia si trova inoltre un’altra scultura dedicata al poeta, nella centralissima Piazza Anco Marzio e realizzata da Pietro Consagra. Così, nel luogo che lo ha sottratto alla vita, Pasolini rivive nel marmo e negli occhi di chi, ancora oggi, rigetta un passato obliato. Non sappiamo ancora, dopo quarant’anni, da chi e perché Pier Paolo è stato ucciso. È stato «un massacro tribale» ha detto Simona Zecchi, ma ancor di più una tragedia italiana. Come materializzatosi da uno dei romanzi pasoliniani, Pino Pelosi si è preso le colpe. Ma quel che resta, oggi, è un enorme buco nero, colmato da qualche statua e qualche targa. Roma, tutta, non può dimenticare. Lo abbiamo sottratto alla vita, facciamo in modo, almeno, di preservarne la memoria.
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[…] si intersecano l’uno con l’altro nel corso del film, dalla rabbia di chi vive nella Roma borgata, a tratti quasi pasoliniana, dall’orgoglio di chi lotta per non perdere la propria dignità, […]