La noia è un romanzo di Alberto Moravia uscito nel 1960. Protagonisti assoluti sono un pittore trentacinquenne che non dipinge, e una ragazza diciassettenne che a malapena sa di esistere. Poi c’è la madre del pittore, una donna ricca e della cui ricchezza il figlio è nauseato. Se già la madre è un personaggio più che secondario, gli altri sono a malapena ombre. Uno viene presentato che già è morto. Altri sono visti di sfuggita e ritornano solo attraverso discorsi o allusioni.
Dino, il pittore trentacinquenne, è vittima di una condizione che chiama noia e che gli impedisce di dipingere. Secondo lui la causa è il lusso da cui è circondato. Decide allora di abbandonare la villa della madre e di trasferirsi in uno studio fatiscente in via Margutta, sempre a Roma. Tuttavia si accorge che, per quanto ci provi, non sarà mai un vero povero: il suo essere un ricco borghese lo perseguiterà sempre.
Così strappa la tela a cui stava lavorando e smette di dipingere. Torna dalla madre per chiederle di riaccettarlo nella villa. La madre non solo accetta, ma gli regala anche una costosa macchina sportiva. Non ci vorrà molto prima che Dino scappi di nuovo da casa.
Tornato in via Margutta, viene a sapere della morte di un vecchio pittore che lavorava nello studio di fronte al suo. Qualche giorno dopo entra in contatto con Cecilia, diciassettenne, modella del vecchio pittore morto, nonché sua amante. Cecilia è una ragazza svampita, istintiva, quasi animalesca. Vive ma senza accorgersene. Pare che l’unica cosa di cui si preoccupi sia soddisfare le proprie necessità fisiche. Morto il vecchio pittore è necessario sostituirlo. Diventa quindi l’amante di Dino.
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Dopo una lunga serie di amplessi quotidiani, l’ex pittore si annoia anche della ragazza. Ma nel momento in cui sta per lasciarla, Cecilia non si presenta al solito appuntamento e non ne dà spiegazioni. In Dino scatta qualcosa. L’improvvisa impossibilità del possesso è la molla che lo fa innamorare, che lo libera dalla noia. Ma Dino non sopporta quest’amore e da qui in poi non farà altro che cercare di disinnamorarsi. Vuole tornare ad annoiarsi. Meglio la noia all’amore. Meglio il nulla asettico all’eventualità di soffrire.
Per disinnamorarsi, dovrà ritrovare quell’illusione di possesso che pensava di avere su Cecilia. Ma presto si accorge che la ragazza è inarrivabile, lontana, in un mondo tutto suo: astratta come i quadri che dipingeva. Il possesso fisico è vano, quello mentale impossibile.
«Mi farebbe molto più piacere sapere che sei mia non soltanto sotto e sopra, ma anche dentro.»
«Dentro dove?»
«Dentro.»
La vidi ridere, con quel suo riso un po’ infantile che le sollevava le labbra sui canini aguzzi: «Dentro non sono di nessuno. Dentro ci sono i polmoni, il cuore, il fegato, gli intestini. Che te ne faresti?»
E le cose si complicano quando Dino scopre di non essere l’unico amante di Cecilia. A questo punto l’amore si fa davvero sofferenza. E i tentativi di sfuggire a questa miserabile condizione, e tornare nel limbo indifferente che è la noia, si fanno sempre più disperati.
Temi e stile de «La noia» di Alberto Moravia: un romanzo saggistico
La noia di Moravia è un romanzo sull’incomunicabilità tra uomo e cose, tra uomo e uomo, tra uomo e società. La società è quella italiana degli anni ’60: quella della ripresa economica, del boom. Eppure la sensazione che emerge dalle pagine di Moravia non pare affatto entusiasta. Piuttosto assomiglia a quel languore decadente, a quello spleen avvertito dagli artisti di fine Ottocento.
Il contesto è la borghesia romana: classe sociale dipinta impietosamente. Un manipolo di gente intellettualmente e moralmente scadente. Ma il romanzo non indugia a lungo nella critica sociale, tutt’altro. La storia si concentra su pochissimi personaggi, solo due. Si potrebbe dire che sia una storia d’amore. Lo è. Ma è una storia d’amore originale, dove un amante pare alieno a tutta la faccenda e l’altro non desidera che disinnamorarsi. È una storia d’amore rovesciata, dove il tema principale non è neppure l’amore. Di tema ce n’è solo uno: la noia.
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Cos’è questa noia? Già si è detto: è l’incomunicabilità con la realtà, che appare assurda e privata di ogni senso. È la tela bianca che rimane sul cavalletto del pittore quando decide di non dipingere più. Una risposta vaga, in fondo. Forse è meglio che sia Moravia stesso a darne esempio, così ne sarà fornito un secondo anche sullo stile con cui scrive:
«La noia, per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà. Per adoperare una metafora, la realtà, quando mi annoio, mi ha sempre fatto l’effetto sconcertante che fa una coperta troppo corta, ad un dormiente, in una notte d’inverno: la tira sui piedi e ha freddo al petto, la tira sul petto e ha freddo ai piedi; e così non riesce mai a prender sonno veramente. Oppure, altro paragone, la mia noia rassomiglia all’interruzione frequente e misteriosa della corrente elettrica in una casa: un momento tutto è chiaro ed evidente, qui sono le poltrone, lì i divani, più in là gli armadi, le consolle, i quadri, i tendaggi, i tappetti, le finestre, le porte; un momento dopo non c’è più che buio e vuoto.»
È una narrazione in prima persona, colloquiale, amichevole, eppure complessa e colta, quasi didascalica. È lo stesso Moravia a parlare de La noia come di un romanzo saggistico. E questo è chiaro dalla prosa ma anche dal fatto che l’opera è monotematica. Tutta concentrata su un solo argomento.
L’esperimento: l’immagine della noia
L’autore vuole esporre un concetto, ma la noia è vaga e indefinita. Quello che fa dalla prima all’ultima pagina è cercare di catturarla in un’immagine. Ed ecco perché il saggio indossa le spoglie del romanzo. Ogni capitolo, ogni dialogo, ogni invenzione narrativa sono un tentativo di esprimere la noia, di darle forma. Ogni capitolo è quindi un esperimento, dove gli effetti collaterali si riversano sulla storia d’amore che ne è la cavia. Inquinata e corrotta, non può che condurre a un tragico fallimento.
La noia rimane inafferrabile, così come Cecilia. La noia rimane inguaribile, così come l’amore del protagonista. Tuttavia, è proprio dalla soluzione finale a cui il protagonista è indotto che si dipana una nuova possibilità. Una cura, forse; oppure, semplicemente, un nuovo modo di vedere le cose, di sopportare l’ineffabile morbo che attanaglia il protagonista, l’occidente, il mondo intero.
Se ogni capitolo de La noia di Moravia è un fallimento, sia delle vicende del pittore, sia dell’intento dell’autore di dare figura al suo concetto, nel suo insieme l’esperimento di Moravia è un successo. Dall’opera complessiva emerge la sensazione che tanto accanitamente si è voluto descrivere: ecco allora che il concetto ottiene fisicità. È come chiedere: «cos’è l’amore? cos’è la vita?» E rispondere indicando un oggetto. Perché l’oggetto si è fatto custode e manifesto di una sensazione altrimenti evanescente. L’autore ci è riuscito. Alla domanda: «cos’è la noia?» La migliore risposta: il libro di Alberto Moravia.
Alberto Pisano
Titolo: La noia
Autore: Alberto Moravia
Numero pagine: 336
Casa editrice: Bompiani
Target: Pubblico adulto
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