Era il 1956 e la neve scese su Roma. I più anziani, alzati gli occhi al cielo, sostennero di non aver mai visto nulla del genere e, freschi di un miracolo che trasformò San Pietro in una cupola di ghiaccio, dimenticarono i disagi e le difficoltà causate dal clima per scendere in strada, con un sorriso infantile sulla faccia, a toccare con mano la neve.
Si trattò della nevicata più intensa del secolo: un’ondata di freddo travolse l’intera penisola ed ebbe il suo picco tra il 1° e il 20 febbraio quando la neve cadde anche a bassa quota, travolgendo le regioni centrali e meridionali. Fenomeni simili si erano già manifestati nel 1929 e si sarebbero ripetuti nel 1985 e 1986, ma mai con la stessa intensità.
La canzone
Se si è italiani e un po’ conoscitori della musica leggera, non si può ignorare la canzone La nevicata del ‘56 di Mia Martini. Il testo, scritto da Franco Califano e Gabriella Ferri, racconta dell’evento del 1956 con una delicatezza struggente, resa nostalgica dall’incredibile voce di Mia Martini.
Pubblicata nel 1990 dall’artista e presentata al Festival di Sanremo, le consentì di vincere per la terza volta il premio della critica e di affermarsi ancora una volta come una delle migliori interpreti della canzone italiana. Il brano viene inserito nell’album La mia razza, commercializzato nello stesso anno, che vide il contributo artistico di altri grandi interpreti e cantautori, tra cui Fabrizio De André, Amedeo Minghi, Enrico Ruggeri.
La nevicata del ‘56 rievoca un passato idealizzato dalla mente dell’autore, immagini di un’infanzia che si mostra attraverso ricordi veloci e flash improvvisi, tra cui spicca inevitabilmente proprio la nevicata che rese Roma tutta candida, tutta pulita e lucida, un luogo fisico e della memoria che sembra ormai irraggiungibile se non con lo sguardo volto al passato.
La neve, infatti, è per noi italiani, prevalentemente abituati al clima mediterraneo, un evento miracoloso, più che raro. E proprio il miracolo della vista e dei sensi si espande fino a diventare un miracolo della mente: la neve traccia ricordi indelebili, rende raro l’ordinario, trasforma la città che si conosce da una vita in un altrove dove il protagonismo non è più comune, ma alterato in una felice unicità. Mia Martini ha portato, così, la storia al servizio della sensibilità individuale e, un po’ come Elsa Morante in La Storia, ha reso il comune uno spazio dell’ego.
Quella che fu la nevicata del secolo, con temperature da record, è rimasta nell’immaginario collettivo come un evento fiabesco. L’Italia, che restò imbiancata per circa venti giorni, si trasformò in un posto diverso dove, forse, i ricordi dell’allora non molto vecchia guerra restarono sepolti sotto la coltre bianca e, a distanza di decenni, fa ancora dire a chi l’ha vissuta Che tempi quelli. Lo disse Mia Martini dopo quasi quarant’anni.
Le nevicate di oggi
Ci vien da dirlo anche oggi, nel pieno di una nuova ondata di gelo e neve che, in un Italia alla deriva, ci consente di sognare e attribuire al presente il valore di un ricordo che già intuiamo sarà indelebile. Si tratta di un’ occasione rara che si inserisce in quel filone di eventi stranianti che ci consentono di ricordare cosa stessimo facendo quando qualcosa è accaduto.
Immagini bianche, freddo, occhi arrossati e i frammenti di una Roma nuovamente imbiancata: la nevicata del 2018 si prospetta più breve, meno consistente e intensa. Eppure se Mia Martini fosse ancora viva, ricanterebbe la sua canzone, per l’occasione, in modo non meno emozionante. Forse cambierebbe qualche parola, la adatterebbe, la farebbe più attuale. Ci mostrerebbe, ancora una volta, come l’arte può rappresentare uno scorcio di spazio o di tempo e farci sentire la neve ogni volta che vogliamo.